MotoGP | Suzuki: un progetto vincente chiamato XRH1

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di Andrea Ettori @AndreaEttori
17 Novembre 2020 - 09:27
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Suzuki si è presa il trono della MotoGP con un progetto ambizioso, partito da molto lontano


XRH1: è questo il nome in codice con cui, nel 2013, Suzuki definiva la sua MotoGP, che solo successivamente sarebbe diventata GSX-RR.

Una storia partita sette anni fa grazie a Davide Brivio, ex team Director Yamaha (azienda per cui ha lavorato per oltre 20 anni), chiamato dai dirigenti di Hamamatsu per riportare la Suzuki in MotoGP. Dieci stagioni con un solo successo, fino al ritiro mesto nel 2011.

Il manager italiano aveva quindi una grande responsabilità e una sfida tra le mani: quella di ricostruire un team da zero per tentare l’impossibile, ovvero la conquista del primo mondiale nella MotoGP. Grazie a uomini come Tom O’Kane, che aveva già lavorato nel team Suzuki e in quello di Kenny Roberts, e a diversi membri del “vecchio” team, la nuova struttura messa in piedi da Brivio ha iniziato a prendere forma tra il 2012 e 2013.

Il primo prototipo venne presentato nei test di Barcellona e Aragona, nel 2013. Una moto splendida, curata nei dettagli e notevolmente compatta nelle dimensioni, creata in 5-6 mesi dal reparto corse giapponese con il motore “quattro in linea”, sviluppato sulla base di quello del 2010 ma con i limiti di consumo imposti dal regolamento di quegli anni. Anche il motore, così come la struttura della moto, si mostrava agli occhi dei fotografi subito compatto, con i cilindri inclinati in avanti di chiara ispirazione Yamaha.

Gli stessi tecnici di Iwata, alla vista della nuova Suzuki, definirono la nuova arrivata come molto simile alla Yamaha. Il primo pacchetto aerodinamico, che nel corso degli anni sarebbe stato sviluppato sensibilmente grazie alla strada tracciata da Ducati, era piuttosto convenzionale e semplice. Nei mesi successivi, con gli sviluppi del motore e delle parti interne, la veste aerodinamica venne sensibilmente rivista.

La XRH1 nei suoi primi chilometri in pista aveva una gestione dell’elettronica basata sulla centralina Mitsubishi che equipaggiava la GSV-R, che Suzuki continuò a sviluppare negli anni successivi. Con l’arrivo di Magneti Marelli, i tecnici del reparto corse si sono ritrovati a dover sostanzialmente sviluppare tutto da zero, partendo parecchio indietro rispetto ai sistemi di Yamaha e Honda di quel periodo.

Il telaio, opera d’arte e carta vincente per la Suzuki già nella sua primissima versione, venne osservato parecchio dai tecnici avversari. Una vera opera minimalista, con una struttura a doppia trave in alluminio disegnata appositamente per ridurre ingombri e dimensioni. Ulteriori chilometri in pista vennero effettuati a Motegi dai tester ed ex piloti del mondiale Randy De Puniet e Nobuatsu Aoki e furono assolutamente positivi. La nuova moto, nonostante qualche problema classico di gioventù, mostrò subito una buona competitività.

Nel corso del 2013 e del 2014 il team girò per le piste di mezzo mondo per raccogliere dati utili allo sviluppo. Anche Kevin Schwantz, grande bandiera e campione della Suzuki, venne chiamato in causa per dare il suo contributo durante un test svolto sul tracciato di Austin. Il debutto ufficiale avvenne nell’ultimo appuntamento stagionale del 2014 sul tracciato di Valencia. Un esordio complicato, durato appena 12 giri per De Puniet a causa di un problema tecnico. Non bene la velocità di punta, con la nuovissima GSX-RR più lenta di quasi 25 km/h rispetto a Honda, Yamaha e Ducati.

Queste le parole di De Puniet al termine della gara: “Sapevamo che non sarebbe stato un weekend facile, ma non mi aspettavo di incorrere in questi problemi. Tutto il team ha fatto del suo meglio ma non è stato sufficiente per finire la gara, perché ho avuto un problema al cambio. Un peccato perché credo che in queste condizione avrei potuto spingere ed ottenere una buona posizione”. 

È esattamente in quel week-end che la Suzuki ha iniziato a costruire il suo successo futuro culminato nell’impresa di Joan Mir, capace di riportare il costruttore giapponese sul tetto del mondo a 20 anni dal mondiale firmato Kenny Roberts junior. Un risultato conquistato grazie al grandissimo lavoro di un team manager come Davide Brivio e al codice XRH1.

Immagini: Suzuki

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