MotoGP | Dal 2006 al 2022: i 16 anni di Gresini Racing dall’ultima volta

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di Matteo Gaudieri
14 Marzo 2022 - 20:30
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I primi anni di vita di Gresini Racing in MotoGP hanno rappresentato il punto più alto mai toccato dalla scuderia imolese. Nel quinquennio che va dall’ingresso nel 2002 al 2006 sono stati raccolti un totale di 14 vittorie, 41 podi e 1544 punti, con la classificazione di vicecampione del mondo nella classifica a squadre nel 2004, portando al medesimo risultato Sete Gibernau (2003 e 2004) e Marco Melandri (2005). In aggiunta, c’è da tenere conto dell’alta considerazione a livello tecnico che Honda Racing Corporation aveva della squadra.

Ampliando l’attenzione sulla stagione 2006, Gresini Racing era riuscita a confermarsi, ancora una volta, come riferimento delle squadre satellite. I test avevano visto Melandri, fresco di intervento per sindrome compartimentale, essere competitivo a Phillip Island e Qatar, mentre Toni Elias non è mai riuscito a registrare cronometrici significativi nelle varie sessioni. Il campionato è partito ufficialmente a Jerez con il 4° e 5° posto dello spagnolo e del romagnolo, con quest’ultimo vincitore in Turchia, bissando il successo del 2005. Melandri replica la vittoria a Le Mans, per poi arrivare allo spaventoso incidente in Catalogna con Loris Capirossi e Daniel Pedrosa, evento spartiacque di tutta la stagione.

Nel frattempo, Elías naviga all’interno della top ten, alle volte chiudendo al di fuori dei migliori dieci e confermandosi lontano dalla velocità dimostrata da quello che è stato vicecampione del mondo nel 2005, anche se in qualifica le cose vanno leggermente meglio, come testimonia la prima fila centrata in Qatar.

Toni Elias stringe la mano a Loris Capirossi nel parco chiuso del Lusail International Circuit al termine delle qualifiche del Gran Premio del Qatar 2006. Sullo sfondo, il poleman Casey Stoner (Foto: Facebook / Gresini Racing)

Marco nel frattempo rientra ad Assen e infila tre podi consecutivi tra Donington Park, Sachsenring e Indianapolis; vince ancora in Australia, conquista la piazza d’onore a Motegi per poi concedere gloria al compagno di squadra in territorio iberico, in Portogallo.

Si arriva esattamente a quel Gran Premio, ormai disputato quasi una vita fa. Il calendario attuale dice 2022, sono passati ormai 16 anni e l’ultimo di quei piloti si è ritirato nel 2021, ossia il secondo classificato dell’Estoril. Evento cruciale e, per alcuni, chiave per l’assegnazione di un titolo che, dopo quanto successo tra Hayden e Pedrosa, poteva tornare ancora una volta nelle mani di Valentino Rossi. L’attenzione, dunque, è tutta catalizzata sullo scontro tra quello che oggi è 9 volte campione del mondo (e che in quel 2006 non vincerà) e lo statunitense, iridato al termine della corsa finale a Valencia.

Rossi non capitalizza il ritiro di Hayden per 2 millesimi, al photofinish, precedendo Kenny Roberts Jr ma finendo dietro a Toni Elías, al primo podio in stagione e al suo primo successo in carriera in MotoGP. Se 16 anni fa il faro era concentrato sulla lotta per l’alloro massimo, oggi si sposta su quel trofeo alzato proprio da Elías, simbolo di riscatto dopo una stagione passata all’ombra del compagno di squadra e che, però, porterà Gresini a vivere un digiuno di 5620 giorni.

I tanti podi, l’attesa di un trionfo e la tragedia

Estoril 2006 non è stato solo l’ultimo successo di Gresini Racing in MotoGP, ma anche l’ultimo di una squadra non ufficiale fino al Gran Premio d’Olanda 2016, quando Jack Miller aveva riportato la bandiera australiana sul gradino più alto del podio. Dalla Honda Fortuna a quella Marc VDS: la Casa di Tokyo resta protagonista, considerando anche i due trionfi LCR con Cal Crutchlow tra Brno e Phillip Island.

Nel mezzo, un decennio colmo di piazze d’onore, di punti sottratti alle squadre ufficiali in lotta per i titoli, di obiettivi ridimensionati a causa dello strapotere de “I fantastici quattro”: Stoner, Rossi, Lorenzo e Pedrosa hanno portato avanti un dominio praticamente incontrastato nel corso del tempo; a questa scacchiera, basta semplicemente sostituire qualche pezzo, ma il senso della partita resta lo stesso. Da Valentino si è passati a Ben Spies, vincitore ad Assen nel 2011, per poi tornare al pesarese, ben 3 volte vicecampione nel suo secondo stint a Iwata; da Casey si arriva a Marc Márquez, vincitore di ben 6 titoli mondiali in top class e quest’ultimo passaggio di consegne è simbolico e, forse, di pura derivazione naturale.

Nel 2007 Gresini si colloca perfettamente nella sua nuova normalità, in una classifica che si può dividere, come si è fatto per la Formula 1 negli ultimi anni, tra “top” e “migliore degli altri”. È in quest’ultima dimensione che la struttura di Fausto si impone, con un 5° posto nella classifica a squadre con 297 punti, maturati grazie anche ai 5 podi della line-up confermata dal 2006. Melandri in classifica piloti è 5° nel panino delle Rizla Suzuki, quindi dietro a Hopkins e davanti a Vermuelen; Elías è 12° a causa dei tre GP saltati (Olanda, Germania e Stati Uniti) per la frattura del femore sinistro.

Il 2008 segna la rivoluzione in termini di piloti: Fausto cede a Ducati Melandri ed Elías (l’italiano firma per la squadra ufficiale, lo spagnolo per l’attuale Pramac, ndr) e li sostituisce con Shinya Nakano e Alex de Angelis. I punti diminuiscono e, dallo sfiorare quota 300 dell’anno precedente, si passa a 226. Nel frattempo, in classifica inizia a palesarsi prepotentemente Tech 3, 4^ con 249 punti e capace di battere la rivelazione Suzuki del 2007. Gresini è 6°.

Nel 2009 Elias fa ritorno alla corte degli imolesi, riportando la squadra sul podio a Brno, seguito da De Angelis a Indianapolis. La situazione in classifica resta la stessa, con Tech 3 che si issa al 4° posto con 27 punti di vantaggio su Gresini. Il 2010 porta in dote un pilota figlio dell’incredibile capacità di Fausto nello scovare e valorizzare talenti: arriva la firma di Marco Simoncelli, campione del mondo 250 nel 2008 e 3° classificato nel 2009. Così come Loris Capirossi, Alex Barros, Daijiro Kato e Melandri (tornato nella scuderia italiana proprio in quella stagione), Marco è figlio dell’occhio attento e vigile del due volte campione 125 che, nel frattempo, ha anche espanso il proprio programma di lavoro nella neonata Moto2, vincendo il campionato con Toni Elías e Moriwaki.

L’anno di transizione per l’apprendistato di Simoncelli, che sfiora un 3° posto in Portogallo per 6 millesimi, regala a Gresini 228 punti e l’ennesimo 5° posto, ma le promesse per il 2011 sono ottime: arriva Hiroshi Aoyama, ultimo campione 250, e l’alfiere di Coriano avrà a disposizione materiale ufficiale HRC, sintomo della fiducia che da Tokyo viene riposta nel binomio romagnolo. Fiducia che viene prontamente ripagata con la pole position di Catalogna e le due piazze d’onore a Brno e Philip Island.

Marco Simoncelli sul podio dell’Automodrom Brno. Per lui si tratta del suo primo piazzamento d’onore in MotoGP, penultimo in carriera (Foto: Facebook / Gresini Racing)

E poi arriva la tragedia. Così com’è accaduto già a Suzuka nel 2003 con Daijiro Kato, Gresini è costretto ad affrontare il secondo lutto nella sua carriera da team manager: Simoncelli perde la vita a Sepang durante lo svolgimento del Gran Premio della Malesia. Fausto, pilastro delle corse, ha conosciuto i rischi del mestiere e non solo da proprietario di una scuderia. Da Kuala Lumpur si vola a Rijeka, rimbalzando indietro di ben 28 anni. Si stava disputando il Gran Premio della Jugoslavia 1983 della classe 125 quando Rolf Rüttimann perse la vita in seguito a un incidente. Erano altri tempi, ma già da allora si invocava a una maggiore sicurezza, soprattutto vista la mancanza delle balle di fieno nel punto preciso in cui l’elvetico è andato a collidere fatalmente.

La dinamica dell’incidente di Marco non ha bisogno ormai di spiegazioni ed è totalmente slegata dal discorso incentrato sulla prevenzione di questi eventi. È fatalità, caratteristica buia che in questo sport va accettata con fatica. Conta il ricordo e la sua forza può accrescere in base alle modalità. Sul circuito di Ricardo Tormo, nel 2011, Michele Pirro firma, in Moto2, una vittoria commovente dedicata al giovane asso romagnolo.

Nel 2012, con una Honda totalmente colorata di nero in segno di lutto, il sostituto di Simoncelli prende forma nel nome di Álvaro Bautista; un ingaggio figlio di uno scherzo del destino: Bautista e il SIC , sporadicamente uniti a Héctor Barberá, hanno dato vita a un derby Italia-Spagna che infiammava le domeniche delle piccole cilindrate, soprattutto se considerata l’incredibile parte giocata dai media nazionali all’epoca, dalle interviste (“Barberá ha detto che avevi aperto una gamba” “Sì, sua sorella l’ha aperta” riferito all’incidente tra lui e Héctor Barberá al Mugello nel 2008) e dagli eventi in pista. All’iberico si aggiunge Michele Pirro, a cui sarà affidata una FTR alla luce dell’ingresso delle moto CRT.

Alvaro Bautista impegnato a Silverstone, 2012. Livrea nera per ricordare Marco Simoncelli (Foto: Gresini Racing)

La colorazione bianca tornerà a farla da padrone con un messaggio chiaro: bisogna andare avanti. L’Autodromo di Misano intitola la propria casa al campione di Coriano e Bautista sale sul 3° gradino del podio in quell’occasione. Ennesimo scherzo del destino di un 2012 colmo di questi. La stagione si chiude con un 4° e 5° posto a Valencia, teatro della commozione solo 12 mesi prima.

Il 2013 e il 2014 segnano l’ultimo biennio da struttura indipendente per Gresini Racing. Bautista resta al timone, mentre Bryan Staring prima e Scott Redding poi lo accompagneranno nel corso di queste due stagioni. La squadra è sulle spalle dell’alfiere di Talavera de la Reina, complice le sopraccitate CRT che tagliano le gambe, in termini di prestazioni, all’australiano e al britannico. A Le Mans, nel 2014, l’ultimo podio prima dell’inizio di un’avventura tortuosa.

Il ritorno di Aprilia, il duro lavoro, la perdita di Fausto

Il 2015 segna per la MotoGP il ritorno di due Case: Suzuki (anche se il debutto vero e proprio è avvenuto nel Gran Premio della Comunità Valenciana del 2014, ndr) e Aprilia. Se la struttura giapponese è riuscita a mettersi in proprio, il costruttore di Noale ha deciso di collaborare con Gresini Racing per puntare al vertice, dopo un’avventura difficoltosa nei primi anni duemila figlia di un progetto tecnico, quello di Luigi Dall’Igna, considerabile pietra miliare dal punto di vista tecnologico, ma poco redditizio in termini di prestazione.

La vecchia RS Cube, scesa in pista per l’ultima volta nel 2004, ha lasciato posto alla RS-GP, affidata alle mani del confermato Bautista e di Melandri, di ritorno dalla SBK dopo l’esperienza proprio con Noale del 2014. Marco taglierà la sua ultima bandiera a scacchi in campionato ad Assen, prima di essere sostituito da Stefan Bradl. Il tedesco affiancherà Bautista anche nel 2016, ma è chiaro che la gioventù di un nuovo progetto porta con sé i suoi problemi e, come dirà il tempo, i primi risultati si vedranno molto più avanti.

Marco Melandri in azione a Sepang nel corso dei test pre-stagionali del 2015. Quell’anno segna la sua ultima esperienza in MotoGP (Foto: Gresini Racing)

I podi non si vedono più e le top ten, alla luce dell’esperienza tecnica degli altri marchi, sono sempre più sudate. Nel 2017 viene stravolta la line-up: Bradl e Bautista lasciano posto ad Aleix Espargaró, direttamente da Suzuki, e Sam Lowes, promosso dalla Moto2. Se la stagione dell’inglese si può reputare assolutamente negativa, con tanto di frizioni che tutt’ora riemergono quando si sfiora l’argomento, il maggiore dei fratelli Espargaró è sempre andato in top ten quando ha tagliato il traguardo, eccezion fatta per la 13^ posizione a Brno; inoltre, è stato il miglior pilota di una squadra indipendente in Qatar grazie al 6° posto. C’è luce in fondo al tunnel, ma la strada è lunga.

Nel 2018 torna Redding alla corte di Gresini, ma anche in questo caso si tratta di un anno di transizione. Scott sancirà il suo passaggio nelle derivate di serie prima nel BSB e poi nel mondiale SBK, salutando il Motomondiale. I risultati di Espargaró non migliorano, ma resta comunque un 6° posto in Aragona a dare morale. Il 2019 vede un nuovo compagno di box per l’iberico: da Suzuki arriva Andrea Iannone ed è quest’ultimo a mostrare la bontà della RS-GP in Australia, lottando coi piloti di testa ed evidenziando, allo stesso tempo, un preoccupante gap di motore rispetto alla concorrenza. Anche in questo caso è 6° posto a Phillip Island, ma come se non bastasse entra in campo il fattore sfortuna: l’abruzzese viene trovato positivo al drostanolone e sarà squalificato per quattro anni.

In un 2020 funestato dall’inizio della pandemia, Aprilia Gresini porta in pista Bradley Smith e conferma ancora una volta Espargaró. L’inglese era stato protagonista di quattro wild card nel 2019, ma la sua avventura giunge al termine dopo il Gran Premio di Teruel in favore del campione italiano SBK Lorenzo Savadori. I risultati continuano a non migliorare e, a fine stagione, si deve fare i conti con la positività al Covid di Fausto Gresini. Ospedalizzato a Bologna e inizialmente in ripresa, Fausto sarà stroncato dal virus a febbraio.

Il motociclismo italiano e globale ha dovuto fare i conti con la perdita di un carattere vivace e di uno sportivo vincente. Un uomo che da pilota si è fatto rispettare a suon di successi e titoli e che da team manager ha coltivato e costruito le carriere di tanti giovani. La sua eredità è stata poi raccolta dalla famiglia ma, nel frattempo, è arrivato l’annuncio della futura separazione da Aprilia, che ha posto la base all’inizio dell’indipendenza vera e propria di Noale. Nell’ultimo anno con Gresini, la commemorazione ha lasciato spazio all’attività in pista, con una RS-GP visibilmente migliorata e in grado di portare in dote speranze per il futuro. Il ricordo di Fausto, giustamente, è tornato più forte che mai in seguito al ritorno sul podio nel Gran Premio di Gran Bretagna, grazie a quell’Aleix Espargaró oggi simbolo e trascinatore del costruttore italiano in campionato. La giusta ricompensa dopo il duro lavoro. C’è anche il tempo dell’ultimo ingaggio: Maverick Viñales sostituisce Savadori.

Il bivio, la rinascita. Una nuova vita

“Smetto per sempre”. Questa è la testimonianza che Nadia Padovani, vedova di Fausto Gresini, ha raccontato al Corriere della Sera dopo la morte di Marco Simoncelli. Sono state le parole di suo marito, devastato per la scomparsa di un gran talento motociclistico ma, prima di tutto, di una persona incredibile. La devastazione per la scomparsa del suo pilota aveva, magari, riportato in mente quella per Kato.

Nadia, dal canto suo, ha vissuto qualcosa di più personale. Si va ovviamente oltre il lato sportivo, perché si tratta di una metà sempre presente dal 1988. Da infermiera e mamma, si è ritrovata a capo di un’azienda assieme ai figli Lorenzo e Luca, tra l’altro quest’ultimo pilota nella scuderia del padre nel CIV Moto3. E la forza, la determinazione con cui ha portato avanti questo progetto storico è semplicemente ammirevole. Dalla scrivania dell’ufficio che una volta era di Fausto, ha riorganizzato l’azienda, appreso il mestiere con volontà anche grazie all’aiuto dei fedelissimi Gresini, come Carlo Merlini. E no, fortunatamente non ha venduto tutto come le ha consigliato di fare Fausto in caso di tragedia, un racconto che lei ha fornito in un’intervista a La Repubblica.

Con la rinuncia del progetto Moto3, che aveva portato un titolo mondiale con Jorge Martin, riparte Gresini Racing in forma indipendente: due Kalex a Filip Salač e ad Alessandro Zaccone in Moto2, due Energica ad Alessio Finello e a Matteo Ferrari (primo campione del mondo di categoria, ndr) in MotoE e due Ducati GP21 a Enea Bastianini e Fabio Di Giannantonio in MotoGP, quest’ultimi seguiti e apprezzati da Fausto sin da ragazzini.

Fabio Di Giannantonio in azione nello shakedown a Sepang (Foto: Media Gresini Racing)

I test simboleggiano l’inizio della stagione, anche se le danze si sono aperte ufficialmente con la prima gara in Qatar. Bastianini dimostra subito competitività in qualifica e centra la prima fila, poi in gara compie un autentico capolavoro, sferrando l’attacco decisivo a Pol Espargaró a 5 giri dalla fine e portando a casa il suo primo successo in carriera in MotoGP. Nemmeno uno dei registi cinematografici più qualificati saprebbe riprodurre un finale con lo stesso carico emotivo e con così tanti simbolismi. È la vittoria di Nadia, Luca e Lorenzo ma soprattutto: è la vittoria di Fausto. Lacrime, dita puntate al cielo, qualsiasi riferimento porta all’uomo che ha dato vita a questa favola.

L’attesa è finita e sul gradino più alto del podio della classe regina torna un pilota Gresini. Enea e Nadia alzano i rispettivi trofei e lo sguardo torna a osservare il buio qatariota. Tra Estoril e Lusail c’è una distanza di poco più di 10 ore percorribile in aereo. La distorsione del tempo in ambito sportivo ha permesso a queste 10 ore di diventare 5620 giorni, l’equivalente di 16 anni. In tutti questi tre lustri, un ragazzo riccioluto aveva detto in Malesia che voleva raggiungere gradino più alto del podio, quello più bello; un ragazzo di Ravenna in Qatar ci è salito. Fili e storie, questi, che si intrecciano e che riconducono tutti a quell’imolese che, sulla Garelli #3, si laureava campione del mondo nel 1985 e che nel 1997 ha dato vita a una pagina di storia che necessita ancora di tanto inchiostro.

Immagine di copertina: Media Gresini Racing

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