Motocross delle Nazioni e Bol d’Or: l’intreccio tra Bayle e Bolley nel 2000

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di Federico Benedusi @federicob95
21 Settembre 2022 - 18:30
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Quando due discipline tanto distanti si incontrano possono nascere sfide elettrizzanti: ecco come due campioni di motocross si ritrovarono di nuovo sulla stessa pista, ma in un contesto ben diverso dall’ordinario


Cosa lega l’endurance motociclistico al motocross? Decisamente poco, si direbbe. Tuttavia, al di là dei puri risultati, a rendere grande un pilota è anche la capacità di adattarsi a mondi completamente diversi. Se le corse su pista di per sé non hanno nulla a che vedere con il fuoristrada, se non per il mero utilizzo di motociclette, l’endurance ha quantomeno una componente fisica, di resistenza, preponderante al punto tale da rendere queste due specialità leggermente più vicine.

In queste righe trattiamo di due competizioni storiche e tipiche di questo periodo dell’anno: una appena andata in archivio, il Bol d’Or, e l’altra dietro l’angolo, il Motocross delle Nazioni. Questo perché nel settembre di 22 anni fa, nell’edizione numero 64 della maratona endurance francese nonché la prima a Magny-Cours, si formò un curioso doppio filo tra le due competizioni: denominatore comune, senza sorprese, è proprio la Francia.

Il pioniere di questo collegamento tra pista e fuoripista, o perlomeno colui che ha avuto maggior successo in entrambe le specialità, è Jean-Michel Bayle. Dopo avere vinto tutto nel motocross a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, sia a livello iridato che americano, nel 1992 “JMB” si lancia in una sfida clamorosa, quella del passaggio alle corse su pista: si presenta a Magny-Cours, in occasione del Gran Premio di Francia di quell’anno, in sella ad una Honda 250cc che curiosamente condivide la livrea con quella del campione in carica Luca Cadalora. Solo quella, tuttavia: sotto la carena si nasconde un mezzo più che privato, sul quale Bayle rimane inchiodato in fondo alla classifica finendo pure doppiato in gara.

Bayle non si dà per vinto e continua, persevera nel suo progetto di diventare un grande anche sull’asfalto. Corre come pilota ufficiale di Aprilia e Yamaha, poi sulla recalcitrante Modenas 500cc, senza però mai raggiungere un podio nel campionato mondiale. Una nuova occasione gli si presenta sul finire del decennio. Nel 1998 partecipa infatti al Bol d’Or di Le Castellet con Yamaha Motor France, istruito nientemeno che da Christian Sarron, ben figurando fino ad un violento incidente a Signes; nel 1999 l’intenzione è quella di ripetere ma un infortunio in mountain bike lo relega ad un ruolo di special guest del fratello Christian (altro ex crossista); non finisce qui tuttavia, perché nel corso di questo weekend prende contatti con un’altra scuderia di grande prestigio dell’endurance: la Suzuki SERT di “Le Chef”, Dominique Méliand.

E veniamo proprio al 2000, anno in cui Bayle lascia definitivamente il Motomondiale per inseguire una strada più vicina al suo passato di fuoristrada. Alla 24h di Le Mans è secondo, nell’equipaggio composto anche da Christian Lavieille e Arnaud van den Bosch, e nella successiva 8h di Estoril porta a casa il suo primo successo internazionale su pista insieme ai due connazionali. La moto, una GSX-R 750, porta un curioso # 0 e la ragione è la stessa per cui la Williams di F1 utilizzò a sua volta questo numero nel biennio 1993-1994: il campione in carica del mondiale endurance (titolo che ai tempi veniva assegnato al pilota e non alla squadra), Jehan d’Orgeix, tra 1999 e 2000 lasciò SERT per passare alla rivale Honda France privando così il team Suzuki della possibilità di usare il #1.

A seguire le orme del grande “JMB” è Frédéric Bolley e qui la storia si fa davvero leggendaria. Due volte campione in carica della classe regina del motocross, la 250cc, Bolley è letteralmente in cima alla montagna del fuoristrada ma appena una settimana prima del Bol d’Or ha subito un durissimo colpo: al Motocross delle Nazioni di Saint Jean d’Angély, su una pista meravigliosa e stracolma di appassionati francesi, la Francia ha l’occasione (e la squadra giusta) per vincere il suo primo Chamberlain Trophy in quello che sarebbe un tripudio totale. La grande festa viene involontariamente rovinata dallo stesso Bolley, che nella prima gara della domenica viene colpito da un sasso fratturandosi il naso e ritrovandosi pure un occhio nero.

Bolley aveva già firmato un accordo con una struttura privata, Honda Shop Moto Salon, e non si tira indietro. Anche in questo caso il mentore è Sarron, autentica leggenda delle corse su pista in Francia, e i compagni di squadra sono i fratelli Marc e Bernard Garcia, ricordati per i loro trascorsi da privati nella classe 500cc di metà anni ’90. Bolley si presenta a quello che Moto Revue, rivista organizzatrice del Bol d’Or, definisce “Le Bol de Bobol” ancora con il volto tumefatto e scende in pista senza timori reverenziali, dopo essersi fatto quattro giri di pista a piedi e 12 in scooter ed avere riempito un intero taccuino di appunti offerti dai suoi due compagni di equipaggio.

L’inizio non è dei migliori, nelle prime prove gira a sei secondi dai fratelli Garcia su una pista sconosciuta e molto fisica, anche di più rispetto a Le Castellet viste le tante varianti e staccate disseminate per il percorso. Il marsigliese, nonostante gli acciacchi fisici, migliora di sessione in sessione e lo stesso Bayle si dichiara sorpreso dei suoi progressi dopo averlo incrociato nella zona del Lycée, l’ultimo settore della pista.

Per entrambi, il Bol d’Or 2000 non si rivela fortunato: Bayle e il suo equipaggio sono rallentati dall’infortunio di van den Bosch in prova, sostituito da Philippe Dobé che in gara cade e si infortuna a sua volta; Bolley e i fratelli Garcia viaggiano a cavallo della top ten (ma primi tra le Superstock) fino al sorgere del sole di domenica mattina, quando la rottura del cambio li costringe al ritiro dalla nona posizione.

La carriera di Bayle in pista proseguirà con due successi al Bol d’Or, nel 2002 e nel 2003, e uno alla 24h di Le Mans sempre nel 2002, mentre Bolley ci riproverà (ancora senza fortuna) nel mondiale Supersport del 2003. Troverà una via di mezzo passando, prima a fasi alterne e poi a tempo pieno dal 2004, al supermotard, specialità in cui non avrà lo stesso successo del motocross pur raggiungendo comunque tre successi nel campionato mondiale.

Si ringrazia Alessio Piana per la collaborazione.

Immagini: Good-Shoot, RacerX, Moto Revue, MotoGP Fan Zone Twitter

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