Il 24enne, pilota di SpeedRS, si è aperto ai nostri microfoni, parlando del suo percorso in Moto2 e della carriera motoristica.
Celestino Vietti è uno dei giovani talenti cresciuti dalla VR46 Racing Academy di Valentino Rossi. Il #13 è stato con noi per parlare del suo percorso nel Motomondiale, ed anche dell’esperienza maturata sinora con il suo attuale team: SpeedRS.
Ciao Celestino, ti ringrazio per il tuo tempo. Riavvolgiamo il nastro della tua carriera; come ti sei appassionato al motociclismo ed alle corse in generale?
“Tutto nasce da una passione di famiglia, perché soprattutto mio papà e mio zio sono sempre stati molto appassionati. Loro andavano spesso in pista con le loro moto, anche se non correvano effettivamente delle gare. Papà ha fatto qualche gara in salita e da lì ha cominciato a correre mio fratello più grande, che ha quattro anni in più di me. Guardandolo, poi, è venuta anche a me la voglia di avere la minimoto e da quel momento è partito tutto il mio percorso. Diciamo che la mia è una famiglia di motori”.
Sei stato scelto dalla VR46 Racing Academy molto presto, tanto che hai cominciato a correre in Moto3 a 17 anni, sostituendo Nicolò Bulega. Ci puoi raccontare qualche retroscena riguardo alla tua selezione?
“È stato bello, ma secondo me ho avuto anche un po’ di fortuna. Nel 2015 io correvo col team RMU nel campionato italiano Pre Moto3 e, proprio in quell’anno, è iniziata una collaborazione tra il team e l’Academy. Facevo parte di un programma con altri tre piloti italiani: Nicholas Spinelli, Bruno Ieraci e Dennis Foggia. Noi quattro eravamo messi ‘sott’occhio’ dall’Academy, per poi capire se prendere qualcuno di noi. In quell’anno sono stato bravo ed anche fortunato, ma in sé è stato comunque una buona annata perché ho vinto il campionato ed a fine stagione ricevetti la bella notizia di poter entrare a far parte dell’Academy. Penso che sia stata sicuramente l’opportunità più bella di tutta la mia carriera, che mi ha poi permesso di cominciare il mio percorso verso il Motomondiale. Sfortunatamente Nicolò si fece male e dovetti sostituirlo, però l’occasione la sfruttai bene e l’anno dopo ho corso il mondiale”.
Hai ottenuto il tuo primo podio alla seconda gara assoluta in Moto3, a Phillip Island, come ti sei sentito quel giorno?
“Per me fu incredibile già solo partecipare al mondiale come wildcard, perché la settimana prima del Giappone [tappa in cui esordì nel 2018, n.d.r.] ero ad Albacete a fare una gara nel CEV e durante il weekend mi chiamò Pablo [Nieto, n.d.r.] che mi chiese se avevo il passaporto. Io gli risposi di no e lui replicò di farlo subito, perché sarei dovuto andare a Motegi a fare la gara. Io e mio padre eravamo euforici, feci il passaporto in fretta e furia e volai in Giappone. Quel che ricordo meglio della gara dell’Australia è che al penultimo giro, quando passai sul traguardo, ero secondo ma non sapevo come fare perché non pensavo di potermi giocare il podio. Quel che venne fuori dopo fu inimmaginabile per me e mio papà e tornammo a casa senza aver ancora realizzato che cosa avessi ottenuto. Questo risultato fu una conferma del fatto che questo mondo potesse effettivamente diventare il mio lavoro e da lì in poi ci abbiamo creduto un po’ di più”.
Nel 2019 sei diventato pilota titolare in Moto3 e, dopo un 2020 dove hai ottenuto 2 vittorie, sei salito di categoria. Come ti sei trovato in sella alla Moto2, una moto più potente e pesante, la prima volta?
“Secondo me il salto tra Moto3 e Moto2 è abbastanza importante, soprattutto dopo il cambio di regolamento che ha portato in griglia il motore Triumph, che ha cambiato lo stile di guida rendendolo più stop and go e da ‘moto grande’. Bisogna stare molto attenti in trazione ed al ‘pick-up’, cosa che si faceva già col motore 600, seppur permettesse uno stile di guida più “tondo”. Per me non è stato facile: negli anni ho visto che chi viene dalla Moto3 ha bisogno almeno di una stagione di apprendimento, salvo casi come Acosta e Raúl Fernández che hanno imparato subito ad andare forte, perché cambia molto il peso della moto ed anche l’inerzia in frenata è differente. Ci vuole almeno un annetto, poi però quando capisci i meccanismi del mezzo, come lo spin della gomma in uscita di curva, diventa tutto in discesa”.
Nel 2022 hai cominciato benissimo vincendo le prime gare, poi però sei andato in calando durante la seconda metà della stagione. Secondo te, che cosa non ha funzionato?
“A posteriori penso che quello sia stato un anno che ho veramente buttato, perché occasioni così non ti capitano sempre. Credo purtroppo di aver peccato d’inesperienza, mi sono fatto prendere dalla paura di perdere e dall’ansia che mi venissero a riprendere durante la gara, ed è andata molto peggio di prima. Ho cominciato bene, ma durante l’anno sono migliorati tutti ed il livello si è stabilizzato un po’. Probabilmente avrei dovuto accontentarmi in più occasioni di arrivare 5° o 6°, magari riuscendo a mantenere il mio gap nei confronti degli altri e non come ad inizio stagione, in cui ero sempre sul podio. Ci voleva un po’ più di calma e testa, che io non ho avuto, ma quest’esperienza mi ha insegnato tanto. Mi è servito per non farmi prendere dal panico quando sono un po’ più indietro ed essere più calmo. L’anno scorso, ad esempio, si è visto con Ogura, che secondo me è il migliore nel farlo. Il campionato è lungo ed è meglio arrivare quinto, settimo o ottavo, piuttosto che ritirarsi o comunque fare uno zero oppure arrivare 12° per colpa della foga e degli errori. Purtroppo io l’ho capito tardi e se quell’anno lo avessi sfruttato meglio, probabilmente, mi avrebbe dato qualcosa in più”.
Il ricordo più bello che hai di quella stagione?
“Sicuramente il Qatar è stato speciale. Durante l’inverno non ebbi momenti bellissimi, perché dal punto di vista personale avevo una visione diversa delle cose rispetto ad altri in casa e ci sono stati degli scontri. Dopo quella vittoria mi tolsi qualche sassolino dalla scarpa e mi convinsi ancora di più di aver ragione io, ma poi nel corso dell’anno ho capito che le persone ti dicono qualcosa che può essere ‘scomodo’, ma alla fine lo fanno per il tuo bene. Purtroppo sono un po’ ‘di coccio’ e ho capito solo dopo che fossero dei consigli, ma poi il conto è arrivato ed ho cominciato a prendere diverse scoppole”.

Nel 2023 il team VR46 è diventato Fantic Racing. Tu come hai vissuto questa transizione, seppur mantenendo diversi membri del personale con cui già lavoravi o coi quali hai lavorato in passato?
“Da un certo punto di vista è stato un gran cambiamento, perché una parte dell’organizzazione del team è cambiata, tra cui alcuni dei punti di riferimento che avevo sin da quando ho cominciato a correre nel mondiale, e quindi è stata la prima volta che mi sono sentito in parte ‘fuori casa’, ma dal punto di vista personale è stato bello perché ti fa crescere e non stai sempre nella stessa ‘bolla’. Conosci delle persone nuove e hai nuovi input cercando di prendere il meglio da tutto ciò che ti arriva. Sicuramente un po’ mi ha spiazzato, ma gran parte delle persone che avevo intorno erano le stesse. Da questo punto di vista penso che le cose siano cambiate un po’ di più l’anno dopo quando sono andato in Ajo, dove ho conosciuto persone con cui non ho mai lavorato. Lì è cambiato tutto, tra cui l’interagire con la squadra; infatti dovevo spiegarmi spesso in inglese, quindi quello è stato un bel salto a livello personale, che mi ha fatto bene”.
Che lati positivi hai tratto dalla tua esperienza con la squadra di Aki Ajo?
“Sono veramente contento di aver potuto lavorare con loro e con Aki, perché penso che lui sia proprio un uomo di motorsport. Non è un caso che il suo team abbia vinto tutti questi campionati. Lui vuole vincere e se crede in te è un’ottima cosa. È riuscito a convincermi del fatto che potessi vincere e mi ha dato una grande mano nel gestire dei momenti di difficoltà, in cui avevo in corpo rabbia e tensione, facendomi credere di più in me stesso. Diverse volte mi dava la carica in maniera vigorosa prima dei turni, quasi come se ci credesse più di me. Così, da Assen in poi, mi ha fatto cambiare mentalità e sono diventato veramente competitivo. All’interno del box il livello è molto alto e lavorano tutti molto bene, quindi è stata una bella tappa secondo me”.
Con loro hai ottenuto il primo successo in Italia da quando corri il Motomondiale. Come ti ha fatto sentire vincere in patria per la prima volta?
“Non mi era mai successo ed è stato bellissimo. Penso sia stata una delle vittorie più belle sin da quando ho cominciato a correre, perché fino all’ultimo metro non sapevo di aver vinto la gara. È stato fantastico anche perché era presente tutta la mia famiglia ed un sacco di gente proveniente dal mio paesino, ed anche liberatorio perché ero riuscito a dargli questa grossa soddisfazione dal vivo. Il Mugello è sempre il Mugello, perché siamo in Italia ed è gara di casa, ma abito a dieci minuti da Misano ed eravamo tutti incredibilmente orgogliosi, anche Valentino Rossi che era lì presente ed era super contento”.

Dopo l’anno passato con Ajo sei approdato nella tua squadra attuale: SpeedRS. Come sei stato accolto il giorno del tuo arrivo? Come ti trovi con loro ed il tuo compagno di squadra Alonso López?
“Come ho detto prima, andare nel team di Aki mi ha fatto crescere molto, ma tornare in un team italiano è sempre bello. Mi sono trovato subito bene, anche perché con i ragazzi del team mi trovo quasi sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Anche con Luca Boscoscuro, che da fuori me lo aspettavo più tosto, ma conoscendolo di più ho capito che anche lui è un personaggio che ha una voglia di vincere che probabilmente non tutti possiedono. Sembra scontato, ma quando arrivi in un team dove capisci che l’obiettivo è solo quello di vincere lavori per ottenere il miglior risultato possibile, lasciando il superfluo da parte. Qui ho trovato un gruppo che ha tanta fame e ci siamo trovati bene subito: la moto è molto competitiva perché l’anno scorso comunque sono stati sempre davanti ed hanno vinto. Il feeling è stato subito buono ed abbiamo raggiunto diversi obiettivi, anche se abbiamo avuto una piccola flessione ma stiamo capendo alcune cose. Mi trovo molto bene con loro, anche con Alonso che, da avversario, non mi sembrava uno che avesse le mie stesse idee, ma è molto simpatico; si ride davvero tanto in squadra. È bello arrivare alle gare col sorriso e non con un clima sempre molto serio”.

Hai ritrovato qualche tuo ex collega?
“Si. Sono tornato insieme al mio storico telemetrista, con cui ho sempre lavorato tranne nel mio primo anno in Moto2 ed in quello in Ajo, ovvero Enrico Matri. Con lui basta uno sguardo e ci intendiamo subito e questo in un weekend di gara è super importante, perché possono esserci momenti di tensione e con poco tempo a disposizione. Avere un legame del genere ti aiuta ad essere più efficiente e rende tutto più intuitivo”.
Prima hai menzionato il feeling con la Boscoscuro, che hai trovato praticamente subito, ma in generale come è stato il cambiamento dalla Kalex a questa moto?
“Subito non è stato facilissimo perché comunque arrivavo da diversi anni sulla stessa moto, quindi mi sono dovuto adattare. Ma allo stesso tempo, sin dal primo turno, ho capito che il potenziale era molto alto perché la moto era fatta veramente bene. Molte volte quasi non capisci dov’è il limite perché permette veramente tanto, ma ti può far esagerare. Ad esempio, a volte, quando mi trovo bene col davanti, esagero in ingresso e rovino l’uscita di curva oppure faccio fatica, ma mi sono trovato bene subito. La moto è diversa, ma ti fa capire subito che puoi comportarti un po’ come vuoi, perché te lo permette. Poi sta a noi bilanciarci ad essa. Forse abbiamo avuto un po’ di flessione ultimamente (anche perché ci abbiamo messo un po’ di più a capire le nuove gomme posteriori), ma credo che il test a Barcellona ci abbia aiutato tanto sotto questo lato. Il Mugello, infatti, è stato un bel weekend e possiamo ancora migliorare”.
Parlando delle gomme Pirelli: come ti trovi con esse?
“Molto bene. È stato uno step importante per la categoria. Non solo per i tempi, perché tutti hanno la stessa gomma e quindi se vai un secondo più piano anche per gli altri la situazione è simile, ma anche a livello di feeling e di sicurezza. Gli anni scorsi, infatti, c’erano tante cadute e molti dicevano di non capire il perché finissero a terra, ma soprattutto nelle condizioni difficili (come Le Mans o l’Australia con il freddo) si scivolava tantissimo e diventava quasi pericoloso girare. Con queste gomme la gestione della distanza gara è un po’ più difficile, perché non puoi spingere al 200% andando sempre uguale come con le gomme precedenti, ma ora c’è un po’ più di cautela che però ti aiuta in un possibile futuro in MotoGP, perché rende più l’idea sulla gestione dello pneumatico. Poi si spinge di più e si arriva al limite più facilmente e ciò aiuta ad essere più vari nel proprio stile di guida, senza più seguire un solo modello come prima”.
Restiamo sulla tecnica: il nuovo modello di gomme l’hai capito subito o ti è servito del tempo?
“Onestamente mi sono trovato subito abbastanza bene. Forse ho faticato un po’ di più a gestire il grip del posteriore, dovendo comprendere come farla derapare in uscita di curva con questo nuovo tipo d’aderenza. Poi però quando il meccanismo ti entra in testa è abbastanza intuitivo”.
Al Mugello hai sfiorato il podio arrivando 5°. Hai avuto dei rimpianti alla fine della gara e, se sì, quali?
“L’unico rimpianto che ho avuto è stato quello di essere partito troppo calmo, perché col fatto del gestire la gomma ho voluto adottare un approccio meno aggressivo. Avevo González davanti a me ed il mio obiettivo era cominciare a seguirlo una volta che avrebbe aumentato il ritmo, perché sapevo che era il più veloce. Facendo così, però, sono sempre rimasto una o due posizioni più indietro rispetto a lui, nella pancia del gruppo, e quando ero 6° un contatto con Salač mi ha, di fatto, spedito fuori pista facendomi perdere diverso tempo. Da lì in poi si è complicato tutto perché l’asfalto era caldo ed avevo da gestire la gomma, poi stando in scia agli altri diventa ancora più difficile perché si scalda tanto l’anteriore e fai fatica a gestirlo. Quindi il rimpianto più grande è che nei primi giri avrei potuto spingere un po’ di più e gestire nella parte centrale di gara, ma ho fatto il contrario ed alla fine ho sfiorato il podio solo perché [Moreira e Canet, n.d.r.] si sono disturbati”.

Pensi che avresti potuto raggiungerli con un altro approccio oppure no?
“Più che altro se non avessi subito quel contatto, sarei potuto restare nelle prime tre posizioni e creare un gap sugli altri. González forse ne aveva un po’ più di me, ma con Arenas si poteva effettivamente lottare”.
Ti faccio una domanda personale: hai un sogno nel cassetto?
“Il primo che mi viene in mente è quello di diventare campione del mondo un giorno. Non mi prefisso una categoria, perché è molto difficile compiere questa impresa. Il sogno più grande è diventarlo in MotoGP, perché significa che in quell’anno sei stato il pilota più forte del mondo su un mezzo a due ruote, quindi quello è il sogno ideale. Ma partiamo dal basso, perciò vorrei diventare campione del mondo di una categoria motoristica”.
Tre aggettivi per descriverti fuori dalla pista?
“Simpatico, rompiscatole e testardo”.
Ringraziamo Celestino e Nicole del Team SpeedRS per la loro disponibilità e per reso possibile questa intervista.
Media: Celin13 on Instagram, teamspeedup.it, ajo.fi
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