Montoya: “Sono stato fortunato ad aver guidato per i team migliori al mondo”

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Tempo di lettura: 7 minuti
di Andrea Gardenal
10 Luglio 2015 - 08:30
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Nei giorni in cui il Consiglio Mondiale della FIA si riunisce a Città del Messico per discutere delle proposte per rinnovare e dare nuovo vigore al motorsport, è contestualmente andata in scena l’annuale “Sport Conference” organizzata dalla Federazione stessa. Tra gli ospiti invitati ad esprimere le proprie opinioni sull’attuale situazione dello sport dei motori c’è anche una vecchia conoscenza del Circus della Formula 1, Juan Pablo Montoya, vincitore un mese e mezzo fa della 99ª edizione della 500 Miglia di Indianapolis nonché leader della classifica del campionato Indycar.

Montoya rappresenta uno dei pochi piloti realmente eclettici dei nostri tempi, forse l’unico ancora in attività: in un’era di “specializzazione”, in cui un top driver si focalizza per l’intera carriera su una sola disciplina in cui eccellere, il colombiano ha corso nelle categorie più disparate lasciando sempre il segno: ha vinto in Formula 3000, in CART, in Formula 1, nella NASCAR e nella Indycar, prendendosi pure il lusso di fare qualche comparsata di successo alla prestigiosa 24 Ore di Daytona. Ecco perché ad oggi è difficile trovare un pilota più adatto di lui a parlare del momento che sta vivendo non solo la Formula 1, ma l’intero sport dei motori. Queste sono le sue parole; in fondo alla pagina troverete un estratto dell’intervista pubblicata sul canale Youtube ufficiale della FIA

Quest’anno hai vinto per la seconda volta in carriera la 500 Miglia di Indianapolis: com’è cambiato lo sport nei 15 anni che sono passati dalla tua prima vittoria?

È cambiato tantissimo sotto l’aspetto della sicurezza. Per fare un’esempio, oggi può sembrare divertente a pensarci ma quando venne introdotto il collare HANS io ero fermamente contrario perché lo trovavo davvero scomodo. Per contro qualche tempo dopo, quando ormai era stato reso obbligatorio in Formula 1, avevo avuto un problema col mio dispositivo, così la mia squadra mi ha detto: “Faremo un solo installation lap senza di esso, rilassati”;  e così ho fatto, ma guidando senza l’HANS non mi sentivo affatto al sicuro, percepivo che mancava qualcosa. Questo genere di cose è importante, ma credo che la differenza più grande rispetto al passato sia il fatto che la potenza dei motori è calata nel corso degli anni mentre il livello di grip è aumentato tantissimo, così come è migliorata l’efficienza dei freni.

Hai avuto un grande successo in tantissime discipline e sei sempre stato in grado di vincere poco tempo dopo aver esordito. Come fai a prendere così velocemente confidenza con le vetture?

Credo di riuscire ad adattarmi abbastanza facilmente e soprattutto di avere una grandissima voglia di farlo, penso di volerlo più di quanto lo vogliano gli altri piloti.

Sei orgoglioso del fatto di aver vinto in così tante categorie?

Penso che sia fantastico essere riuscito a vincere con qualunque cosa io abbia guidato, ma in fondo non è forse questo il mio lavoro? I piloti non vengono ingaggiati dalle squadre per portare a spasso la vettura e finire 15° ad ogni settimana: si prova a dare sempre il massimo, si guida sempre al limite e ci si mette sempre il massimo dell’impegno.

Dando uno sguardo alla tua carriera si nota che hai avuto sempre un grande successo in tutte le categorie in cui hai corso. Se potessi tornare indietro nel tempo faresti di nuovo lo stesso percorso oppure rimarresti più a lungo in Formula 1 nella speranza di vincere il titolo mondiale?

Dopo aver corso per sei anni in Formula 1 ho realizzato che se non sei nella macchina giusta al momento giusto e se non sei il pilota su cui la squadra punta per vincere il campionato, il campionato non lo vincerai mai. È semplice. Detto ciò, ho fatto delle buone prestazioni, ho avuto la possibilità di lottare per il campionato e ho vinto tutte le gare più importanti [Montecarlo, Monza ecc. ndt]; l’unica gara che mi dispiace non aver mai vinto è quella della Malesia: amavo Sepang, è probabilmente una delle mie piste preferite e lì sono sempre andato molto forte. E poi ho corso contro Michael [Schumacher, ndt], ci siamo scontrati così tante volte in partenza e abbiamo gettato via alcune gare lottando l’uno contro l’altro; è stato divertente.

Sei uno dei pochi piloti ad aver vinto due delle tre grandi classiche, cioè il GP di Monaco, la 500 Miglia di Indianapolis e la 24 Ore di Le Mans, e solo Graham Hill è riuscito a vincerle tutte e tre. Il fatto di non aver ancora vinto a Le Mans ti dà l’impressione di un lavoro non ancora completato?

Sinceramente cinque anni fa non me ne importava nulla. Oggi? Forse se avessi la possibilità di correre con la macchina giusta ci penserei su, ma ora come ora sono veramente felice in Indycar. Adoro correre per Roger [Penske] e a questo proposito ti dirò la verità: sono stato abbastanza fortunato da guidare per le migliori squadre del mondo: se parli dell’America nel motorsport parli di Penske e Ganassi, in Formula 1 parli di McLaren e Williams. Guardare alla storia di queste squadre e poter dire di essere stato in grado di correre e vincere per loro… Beh, è veramente fantastico.

Come certamente saprai, la Formula 1 in questo momento sta vivendo un periodo di transizione. Cosa pensi della Formula 1 di oggi?

Tanto per cominciare, la Formula 1 di oggi è tecnologia. Il problema è che non credo che i fan capiscano cosa c’è dietro a tutta questa tecnologia; secondo me l’idea di correre con motori più piccoli sia buona. Penso anche che sia giusto porre un limite al modo in cui i piloti arrivano in Formula 1: il motivo per cui esistono le serie propedeutiche è per dare una formazione al pilota, in modo che quando si presenta un’opportunità sia pronto a coglierla. Oggi invece i piloti esordiscono molto giovani, dopo un solo anno di corse e per di più non trovano le vetture difficili da guidare. Ai miei tempi le vetture di Formula 1 erano 10-12 secondi al giro più veloci della GP2, il passaggio tra le due categorie era davvero notevole.

Ci sono molte discussioni in questo periodo sul modo in cui cambiare la Formula 1 a partire dal 2017: se dovessi scegliere due o tre cose che vorresti verso cui la F1 dovrebbe interessarsi, quali sarebbero?

Probabilmente vorrei che ci fosse più aderenza, ma in un modo che permetta di seguire da vicino le altre vetture. Credo che il problema della Formula 1 sia che le macchine sono così efficienti che è molto difficile stare in scia a chi ti sta davanti, la competizione non è abbastanza serrata.

Passando alla Indycar, in questi giorni si sta sviluppando un dibattito che riguarda il pericolo che voi piloti correte e l’intrattenimento a favore del pubblico. Cosa ne pensi?

Non è facile, perché più la competizione è serrata e più il pubblico si diverte, ma secondo me questo non significa entrare in cinque appaiati in una curva [che è quanto accaduto a Fontana a fine giugno]: quello che l’Indycar dovrebbe fare è trovare un buon equilibrio tra le battaglie che si vedono oggi in pista e la necessità che c’è di completare i sorpassi, perché questa è la difficoltà maggiore che personalmente ho incontrato qui.

A proposito di social network, sei seguito su Twitter da oltre un milione di persone. Quanto è importante per un pilota avere un rapporto diretto con i fan?

Personalmente non uso tanto i social sotto l’aspetto delle gare, quanto per dare la possibilità alle persone di vedere chi sono al di fuori dei circuiti; in questo modo la gente arriva a vedere il normale essere umano che c’è dietro alla celebrità, al grande pilota.

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