Mick Doohan ad Hockenheim nel ’92, la pole più dominante in classe regina?

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Tempo di lettura: 7 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
15 Aprile 2020 - 16:00
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Gli appassionati più incalliti di motociclismo si ricordano spesso i più piccoli dettagli anche delle gare e dei weekend meno ricordati dal grande pubblico, magari perché poco entusiasmanti e avvincenti. E’ il caso, per esempio, del Gran Premio di Germania al vecchio Hockenheimring, della stagione 1992 e disputato nel weekend del 14 giugno.

Se si ha un minimo di conoscenza dell’Epoca d’Oro del Motomondiale, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del decennio Novanta, si rammenterà di certo del grande duello tra Kevin Schwantz e Wayne Rainey, con l’incredibile staccata del texano su Suzuki all’ingresso del Motodrom come ciliegina sulla torta, valevole per la vittoria finale. Questo scontro avvenne proprio sul tracciato della Foresta Nera… ma nel 1991, un anno prima rispetto all’edizione da noi oggi trattata.

Iniziamo col chiederci: cosa c’è di memorabile da ricordare di quel weekend? Osservando i risultati del Gran Premio, in teoria nulla di ché. Il successo andò nelle mani di Michael Doohan sulla Honda ufficiale sponsorizzata Rothmans (che per l’occasione utilizzò una generica scritta “Racing” sulle carene delle NSR 500 factory, in modo da nascondere, in maniera posticcia, il marchio di tabacco), dopo una gara di dominio condotta dal primo all’ultimo giro, a eccezione della prima curva in cui è stato superato al via da John Kocinski. Grand chelem per l’australiano, giusto un antipasto dell’era Doohan che sarebbe iniziata un paio di anni dopo.

Alle sue spalle, il vuoto. A ventiquattro secondi il vincitore della scorsa edizione Schwantz, mai realmente capace d’impensierire il rivale, meglio attrezzato e in stato di grazia in quell’inizio del 1992, mentre ad altri dieci giunse un gruppetto molto compatto composto da sei piloti: Wayne Gardner, compagno di Doohan, agguantò il podio seguito, nello spazio di due secondi e mezzo, da Àlex Crivillé, John Kocinski, Eddie Lawson, Alex Barros e Doug Chandler su quattro moto diverse, tra Honda, Yamaha, Cagiva e Suzuki. La loro battaglia, seppur limitata a un solo posto sul podio, ha comunque mantenuto alta l’attenzione del pubblico sugli spalti, durando tutta la gara. Assente da questa contesa Wayne Rainey, stoico nel provare a correre nonostante una caduta alla Sachs-kurve durante le prove che gli ha causato due infortuni, alla mano e alla caviglia sinistra, ma alla fine il californiano ha dovuto alzare bandiera bianca per il dolore.

La sfida per la terza posizione: Crivillé guida il gruppo in uscita dalla Sachs-kurve, seguito da Chandler, Kocinski e Gardner. (Fonte immagine: Twitter / MotoGP Fan Zone)

Fin qui, staremmo raccontando una delle tante gare dominate nella lunga carriera di Doohan, in una stagione che quasi sicuramente l’avrebbe visto iridato a fine anno senza gli eventi di Assen tredici giorni dopo.
Nulla di particolarmente memorabile da ricordare, a parte la bella battaglia per la terza posizione e la maiuscola prestazione del vincitore.

Il nostro sguardo si rivolge quindi alla giornata di qualifiche, perché è qui che va in scena una delle prestazioni più incredibili del fenomeno Doohan, quella che si potrebbe definire come la pole più sensazionale e dominante della classe regina del Motomondiale, per lo meno degli ultimi trent’anni. Se poi durante la domenica Doohan metterà tutti in riga, durante le prove ufficiali l’australiano mette subito in chiaro come voglia rifarsi dalle due precedenti sconfitte del Mugello e a Catalunya.

Il binomio Doohan-Honda si dimostra imbattibile in quell’inizio di 1992. (Fonte immagine: motogp.com)

Il #2 di casa Honda percorre i 6.725 metri del velocissimo tracciato tedesco immerso nella foresta in 1:58.325, due secondi più veloce del tempo fatto da egli stesso l’anno precedente, nonché un secondo e mezzo più veloce del tempo record fatto durante la gara del ’91. Durante le qualifiche solo due piloti riescono a scendere sotto al muro dei due minuti, cosa che non era avvenuta durante le qualifiche dell’anno prima. Oltre a Doohan, è il campione Rainey a scendere sotto questa soglia, cosa che avviene ovviamente prima della caduta che poi lo costringerà al ritiro il giorno dopo.

Nonostante questo, l’abisso che separa Doohan da Rainey è pari a 1″406. Il terzo classificato, Schwantz sulla Suzuki, paga un distacco di un secondo e sette, mentre a chiudere la prima fila troviamo John Kocinski sulla seconda Yamaha Marlboro del team Roberts, già a quasi due secondi. Nonostante le indiscusse capacità dei tre americani, la prestazione dell’australiano fu ineguagliabile quel giorno, specie in confronto ai compagni di marca: Gardner si fermò a una 2:00.677 (ovvero 2″352 di ritardo dal connazionale), mentre Àlex Crivillé, suo futuro avversario nel team Repsol e in quella stagione pilota di Sito Pons, è decimo a 3″246.

Quali sono le motivazioni che hanno portato a un giro simile, oltre all’abilità del pilota in questione? In primis la bontà del modello del ’92 della Honda NSR 500, moto simbolo dell’ultimo periodo delle 500cc e in diverse annate il miglior mezzo in campo, proprio come nel ’92; il gap rispetto alle altre due moto giapponesi era notevole, ben più ampio rispetto al 1991. I segreti della competitività di questa moto risiedevano in più parti quali il telaio, a travi laterali ramificate e con tubo anteriore regolabile, il tutto in materiali quali carbonio e alluminio per alleggerire il peso e abbassare il baricentro della moto, rendendola più agile nei cambi di direzione, cosa parecchio utile nelle chicane di Hockenheim. Da non dimenticare il motore V4 “big bang” con angolo di 112° e valvole RC a controllo elettronico, sì studiati per puntare più sull’erogazione della potenza e garantire una miglior trazione in uscita dalle curve, ma che di certo non rendevano la velocità di punta un Tallone d’Achille di questa moto, tutt’altro. Proprio nel 1992, la moto segnò i 320 km/h sui rettilinei in fondo alla foresta.

Un esemplare del V4 montato sulle Honda NSR 500, modello che ha corso per quasi due decenni in top class. (Fonte immagine: honda.it)

Come ultima possibile motivazione c’è sicuramente il tracciato stesso. Il vecchio e mai dimenticato Hockenheim rappresentava un circuito in cui l’efficacia del mezzo era fondamentale, specie in termini di potenza ma anche di equilibrio per poter dare il meglio nella sezione mista del Motodrom. Non a caso, alcuni dei distacchi maggiori nelle qualifiche di questo periodo, tra poleman e ultimi qualificati, si hanno proprio nelle edizioni del GP tedesco svolte qui, tra il 1991 e il 1994.

Ma come detto qualche paragrafo più su, dietro a una grande prestazione c’è sempre un grande pilota, definizione che calza a pennello a Mick Doohan. Se la gara è stata una “prassi” per l’australiano che si sarebbe ripetuta per molte volte a fine decennio, ciò che avvenne di sabato andò oltre l’ordinario, anche per i suoi standard.

C’è da chiedersi se questo 1:58.325 fatto in una pista oramai ombra di sé stessa è davvero il giro della pole più dominante di sempre. Non mancano i candidati in grado di spodestarlo, come la pole di Schwantz l’anno dopo a Donington Park o quella sempre di Doohan nel 1994 e sempre ad Hockenheim, e se si considerassero anche le qualifiche con condizioni miste si avrebbe, ai giorni nostri, prove quali quella di Casey Stoner a Brno nel 2008 e soprattutto quella di Marc Márquez, sempre in Repubblica Ceca, del 2019. Ma guardando solo alle prove con condizioni di asciutto è difficile, se non impossibile, rivaleggiare col giro messo a segno da Doohan in quel 13 giugno.

Fonte immagine: Internet (per segnalare il copyright info@p300.it)


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