“Life is about Passions. Thank you for sharing mine”
“La vita è fatta di Passioni. Grazie per aver condiviso la mia”
Martedì 27 Novembre, ore 23.30
Sono seduto a letto, con il portatile sulle gambe. Mia moglie, a fianco, è avvolta da un piacevole sonno. Ho 29 anni. Domenica è stata l’ultima di Schumi. Quando ha iniziato a correre in F1, nel 1991, ne avevo 8. Terza elementare. Giocavo con i Lego, le Micro Machines, il Megadrive.
Nel tempo trascorso da quell’anno a questa giornata sono cresciuto, ho studiato, amato, odiato. Ho imparato tanto, mi sono formato, fisicamente e caratterialmente. Ho commesso degli errori, ma ho anche preso decisioni giuste. Ho capito che farsi influenzare nelle scelte è sempre sbagliato. Che, a volte, è meglio mettersi contro tutti e andare avanti per la propria strada, che abbassare la testa e accettare compromessi, ricatti, situazioni favorevoli sul breve periodo e pericolose nel lungo. Ho sempre confidato nelle mie possibilità. A volte è andata bene, altre meno, ma queste ultime non fanno mai male, anzi. Aiutano a prevederne altre e mettere le mani avanti. Ho imparato a fare di testa mia, pur nel rispetto degli altri. E se gli altri non mi rispettano pazienza. Parleranno i fatti.
In tutti questi anni di cambiamenti, che mi hanno portato dall’essere un bambino ad un ragazzo sposato, c’è sempre stato un punto fermo: la Domenica da Gran Premio. Troppo piccolo per ‘vivere’ Ayrton come avrei voluto, abbastanza grande per ricordarmi la prima vittoria di Michael in Rosso. GP di Spagna 1996. Diluvio, sorpassi, magia, dominio. Quando ti innamori sportivamente di qualcuno da piccolo, lo porti con te per sempre. Diventa il tuo idolo, e guai a chi te lo sfiora. Così è stato.
Quando ho iniziato a scrivere pubblicamente, ho sempre pensato che il mio punto debole sarebbe stato proprio lui. Schumi. Perché il conflitto di interessi c’era, c’è stato, non ci sarà più. Mi veniva da ridere, quando mi dicevano che tifavo Hamilton, poi Vettel, poi Alonso, poi Massa, poi Button. Voleva dire che, in fondo, avevo trovato il sistema per mantenermi sotto l’asticella del dubbio nel parlare di lui. Ora non c’è più bisogno di quell’asticella. Posso esprimermi liberamente.
Con il ritiro di Schumi se ne va un pezzo di Storia. Da solo ha occupato 1/3 della vita di tutta la Formula 1. 21 anni su 63 mondiali. Ma se ne va, soprattutto, un’abitudine della MIA Storia. 2/3 della mia vita. Era già successo nel 2006, è vero. L’avevo presa malissimo. Perché erano stati 10 anni fantastici. A dirla tutta, quelli pre-mondiali erano stati per certi versi ancora più intensi ed emozionanti di quelli successivi. Perché è in quelle stagioni che Schumi si è guadagnato l’affetto dei ferraristi, e il mio.
Quando cioè la macchina non era all’altezza e lui ce la portava. Quando si rompeva senza che lui si lamentasse pubblicamente, quando la differenza si poteva fare e lui la faceva. Il periodo d’oro fu godimento assoluto, come sarà ora per la Red Bull. Quel quinquennio fu la logica conseguenza degli sforzi di quattro anni a rincorrere. L’avevo presa malissimo perché quel motore fumante di Suzuka, con lui che torna ai box e saluta uno per uno i suoi meccanici, grida vendetta ancora oggi. Perché quel Gp del Brasile mi aveva lasciato l’amaro in bocca. Uno che correva così non era pronto per ritirarsi, aveva più voglia dei giovincelli. Si vedeva. Più che un ritiro, era sembrato un accompagnamento. Il sorpasso su Kimi, il successore, fu strappalacrime, così come la successiva domenica a Monza, alla festa per le Finali Ferrari.
Schumi mi ha accompagnato, silenziosamente e inconsciamente, dall’adolescenza (qualcosa meno) all’età adulta. Domenica dopo Domenica, Mondiale dopo Mondiale, Trionfo dopo Trionfo. E anche Errore dopo Errore. Perché ne ha commessi: come me, come tutti, anche grossolani. Se ne ricordano un po’, certo, ma la sua carriera è stata così lunga che proporzionalmente è logico ricordarsi più sbagli. Ma anche più vittorie. Qualcuno tende a ricordare anche che lui non ha mai parlato l’italiano. Eppure di gente che lo snocciolava bene ne è passata, in Ferrari, ma non è servito a vincere i Mondiali. Mai capita, come affermazione. Mai stato d’accordo.
È universalmente riconosciuto come uno non facile per quanto riguarda i rapporti personali. Qualcuno lo definisce proprio stronzo, senza mezzi termini. Chiariamoci, non che sia fondamentale per le prestazioni di un pilota essere Mister Simpatia anche fuori dall’abitacolo. Con Schumi ho avuto a che fare tre volte, tutte da quando è tornato con la Mercedes. Tutte a Monza. Sarò stato fortunato (ogni tanto..), eppure con me si è sempre comportato bene, con gentilezza. “Certo”, direte, “con tutti i soldi che prendono DEVONO essere cordiali”. Ma non dimentichiamoci che, prima che personaggi di sport, sono soprattutto uomini. E ognuno reagisce a modo suo alle situazioni. A lui non piace essere assalito, reagisce in malo modo. Bisogna avvicinarlo con calma, come se fosse una persona normale. Il fatto che lui sia tornato poco prima che io iniziassi a scrivere è una coincidenza, certo. Ma, per lo meno, mi ha dato la possibilità di avvicinarlo quanto basta per poter avere una foto ricordo con lui, acciuffata in ‘Zona Cesarini’ il sabato sera proprio di Monza, quest’anno. L’ultima occasione. Mi è andata bene, di lusso. La custodirò con soddisfazione, così come le decine di cappellini e di modellini che ho collezionato negli anni.
Ci sono momenti, legati ad alcune sue gare, che ricordo come se fosse ieri. Me ne tornano in mente tanti, se ci penso. Ma ne scelgo tre:
Silverstone 1999: perché quando lo vidi schiantarsi mi si gelò il sangue, mi tornò alla mente Ayrton per quell’attimo che passò dal botto al vederlo agitarsi dentro l’abitacolo. Fu bruttissimo, rimasi impietrito in piedi davanti alla televisione in attesa di sapere qualcosa. Per fortuna, tutto bene, a giudicare dagli anni successivi.
Suzuka 2000: l’emozione sportiva più intensa mai provata. Ero sul letto, con le mani fredde e al tempo stesso sudate. Immobile a seguire quello che succedeva. Mattino presto, ovviamente. Penso di aver svegliato quasi tutto il palazzo quando è passato sotto la bandiera a scacchi da Campione del Mondo, con la Ferrari. Ed io avevo vissuto pochi di quei 21 anni senza Titoli..chissà chi li aveva trascorsi tutti.
Suzuka 2006: è passato qualche minuto dalla rottura del motore che consegna, di fatto, il Mondiale ad Alonso. Michael viene inquadrato mentre, tornato ai box, saluta e abbraccia uno ad uno i suoi meccanici. Una trentina di secondi di un’intensità incredibile. Non sembra una squadra, ma una vera famiglia. Cose forse viste raramente in ambito sportivo.
Questi tre anni. Quanto da dire..
Io penso che l’uomo sia stato dotato di un gran dono, quello della parola. Ma che, al tempo stesso, non gli sia stato consegnato anche il misurino, per quantificarne l’utilizzo. Voglio dire che siamo tutti bravi, dal divano, dalla seggiola, dalla tribuna, a giudicare questa o quella cosa, questa o quella persona, questo o quel pilota. Michael è stato mediaticamente annientato in questo rientro. E non è necessario andare a citare questo o quell’articolo, questa o quella frase. Si conoscono luoghi e persone che hanno praticato questa attività con massimo impegno.
Io credo che, al di là delle classifiche, Michael abbia dimostrato di poterci stare, in questa F1, a dispetto dell’età. Credo anche che, abituati al ‘tenore di vita’ della sua prima carriera, siano state sottovalutate le sue prestazioni. Spesso è stato preso in giro per il discorso dell’anagrafe, ma è fisiologico avere un calo, magari inconsapevole. Nonostante questo, ci sono state occasioni (Canada, Spa e Monza 2011, Pole di Montecarlo e Valencia quest’anno) in cui ha corso sui suoi livelli, quelli che conosciamo, facendo impallidire il suo giovane compagno. Evidente è anche come la Mercedes non gli abbia fornito una grossa mano. Per assurdo, all’inizio del 2012 (cioè quando la macchina pareva andare bene) ha collezionato quasi tutti i suoi ritiri. Da qui la marcata differenza in classifica con Nico.
È comunque evidente che il triennio non sia stato all’altezza delle aspettative. Non sono certo così cieco da non ammetterlo. Ma, in tutte le esperienze negative, c’è qualcosa da imparare. E Michael, per sua stessa ammissione, ha imparato ad accettare gli avvenimenti con più serenità rispetto alla sua prima esperienza. Ma, cosa ben più importante, ha imparato a perdere. Ed è questa, la vittoria più grande per un uomo. La prima carriera di Schumi è stata una cavalcata all’insegna delle vittorie prima e dei domini poi. La sconfitta non era contemplata negli obiettivi, e quando arrivava era indigesta. In queste tre stagioni ha imparato a conviverci, a sportellare per un decimo posto, a vivere quello che non aveva vissuto nei primi anni in F1. Per qualcuno roba inutile, deplorevole, dequalificante, per uno col suo Palmares. Lesiva dell’immagine di Campione.
Palle. Gigantesche, mirabolanti palle, a mio modo di vedere.
Da questo triennio ne esce un uomo migliore, perché il Campione non aveva bisogno di dimostrare niente, e ci mancherebbe. Aveva quella sete di vittoria che contraddistingue quelli della ‘sua’ razza, un club del quale fanno parte in pochi. Non ha trovato le vittorie sportive, ma ne ha trovata una, morale, che gli servirà per tutta la vita, e della quale forse aveva bisogno per sentirsi completo, anche se lui non lo sapeva.
E mi fa piacere sapere e leggere di tante persone, appassionate vere di questo sport e che in passato non lo hanno sopportato (come succede per tutti coloro che vincono troppo) che invece di sfruttare questi tre anni per attaccare e denigrare il loro ex-avversario hanno imparato a conoscerlo meglio, l’hanno rivalutato soprattutto dal punto di vista umano, a tratti l’hanno anche supportato e tifato, come in Canada nel 2011. Persone che hanno compreso la fame pura e unica di questo ragazzo di quasi 44 anni per uno sport che non è più per quelli della sua età, ma per quelli contro i quali lui ha lottato, sentendosi ancora, nello spirito, come loro. Persone, appassionati, che servono come il pane a questo mondo dove comandano esclusivamente soldi e raccomandazioni, dove tanti personaggi sono pronti a comportarsi in modo diametralmente opposto. Salendo prima sul carro del vincitore, da grandi amiconi, per poi denigrare e sputare sentenze, come se non si parlasse dello stesso uomo ma di un oggetto, una pedina dello scacchiere, inanimata.
Non tutti i mali vengono per nuocere, insomma. Certo, non è stato il massimo vedere Schumi annaspare in mezzo al gruppo, sbattersi per pochi punti, essere oggetto di strategie fantasiose per cercare di recuperare qualche posizione, essere denigrato e scaricato da chi aveva mangiato di più in passato anche grazie a lui. Ma ho accettato la sua scelta di tornare a fare quello per cui ha vissuto, nonostante i rischi fossero tanti. Di certo, ho apprezzato la sua voglia di rimettersi in gioco, come uomo e come pilota, indipendentemente da come sia andata e dai pochi risultati ottenuti. Ognuno deve sentirsi libero nelle sue scelte, sempre e comunque. È sempre facile parlare dopo, ma è prima che si deve dimostrare di avere il coraggio. Lui l’ha avuto, chissà se altri lo seguiranno.
“Tutti mi descrivono come una leggenda delle corse, io preferirei essere ricordato come un guerriero, uno che non ha mai mollato”
In questa frase, nella conferenza stampa in cui ha annunciato il suo ritiro, a Suzuka, Michael racchiude tutto. La consapevolezza di essere stato e di rimanere per sempre uno dei Grandi, e quella di averci sempre provato, anche se i risultati non arrivavano e le cose non procedevano per il verso giusto.
Io, Schumi, lo ricorderò sempre come una specie di fratellone maggiore, che per 15 anni almeno mi ha dato appuntamento fisso davanti allo schermo, senza saperlo. Regalandomi gioie ed emozioni, facendomi urlare, incazzare, esultare. Aiutandomi, con vittorie, sconfitte ed errori, a crescere un pochino più in fretta, ad amare la Formula 1, a vivere e alimentare la passione che mi porta a scrivere, ogni giorno, su queste pagine.
Lo ricorderò passare sotto i miei occhi con il dito alzato al Tabaccaio a Montecarlo, dopo la sua ultima Pole. Che poi sia stata conteggiata o meno, chi se ne frega, sinceramente. Rimarrà sua, per me e per chi vive questo sport.
Con il suo ritiro, mi congedo anche io. Da tifoso. Finisce un’era, se ne apre un’altra per la F1. Per me si è chiusa quella del tifoso, ma si apre ufficialmente quella dell’appassionato. E, forse, è un bene così. Vorrà dire che potrò scrivere con più libertà e seguire le gare senza occhi dedicati a qualcuno in particolare.
Detto questo..“La vita è fatta di Passioni. Grazie per aver condiviso la mia”.. Grazie a te, per avermi aiutato a scoprirla e farla diventare ciò che è ora.
Grazie, Thanks, Danke, Michael.
Di tutto.
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