Tra tante foto scattate a Barcellona ne ho scelta una simbolo: una F1 che viaggia verso il tramonto. I dati degli ascolti 2018, che ho recuperato in giornata per pura curiosità, nella loro totalità sono a dir poco inquietanti e sottolineano ancora una volta come il giochetto della Formula 1 in Pay non funzioni e non solo da noi. Addirittura Lewis Hamilton in persona ha alzato la voce dopo il crollo in UK per il passaggio alla Pay TV.
Faccio un passo indietro: l’ultimo anno trasmesso in monopolio dalla Rai in Italia, il 2012, ha tenuto incollata agli schermi una media di quasi cinque milioni di spettatori. Un dato già basso di suo se confrontato con quanto successo dalla seconda metà degli anni 90 in poi. Un vero e proprio boom che ha portato la Formula 1 alla sua massima popolarità, complice la rincorsa della Ferrari al titolo mondiale culminata nel 2000.
Nella tabella sottostante ho riassunto quanto successo dal 1987 al 2018, con alcune note: mancano infatti i dati di Tele+ del periodo 1997/2003 e di Sky del periodo 2007/2009. Quindi, se possibile, i relativi dati sono carenti di qualche centinaio di migliaia di unità.
Quello che emerge, oltre all’aumento o diminuzione dei dati in base all’andamento in campionato della Ferrari – abitudine relativamente logica nel nostro paese – è il netto taglio al ribasso del 2013. Il passaggio dal monopolio RAI alla divisione con SKY, che ha ridotto a circa la metà le gare trasmesse in diretta dalla TV di Stato, ha portato in due anni alla perdita di quasi due milioni e settecentomila spettatori medi, ovvero il 41% in meno rispetto al 2012. Il ritrovato entusiasmo del 2015 con l’arrivo a Maranello di Sebastian Vettel ha contribuito a far risalire i numeri di 400.000 unità, mentre nel 2016 l’essere sin dall’inizio fuori dalla lotta per il titolo ha fatto perdere gran parte di quel guadagno. Una nuova parziale risalita si è vista nel 2017, con la Ferrari tornata finalmente competitiva nei confronti della Mercedes ed una media di quattro milioni e quattrocentomila spettatori.
Veniamo al 2018: la RAI molla del tutto e si passa a TV8, il canale in chiaro di SKY. Le differite spesso sono in orario serale, quando ormai i risultati sono più che acquisiti. Le gare trasmesse in diretta, inoltre, scendono da quasi la metà a sole cinque, tra l’altro da settembre in poi. Il risultato, nonostante un’altra lotta Ferrari – Mercedes, è disastroso. Due milioni e ottocentomila spettatori di media: il dato più basso in assoluto da quando vengono rilevati i dati. Un terzo rispetto ai primi anni 2000, meno della metà rispetto al 2012.
Nell’era in cui tramite i social si può vedere ormai qualsiasi cosa, la Formula 1 in Italia è praticamente sparita dalla circolazione. Un controsenso. Se aggiungiamo i test aboliti da più di dieci anni, che non permettono più ai tifosi di avvicinarsi a team e piloti e i regolamenti che hanno progressivamente sconvolto lo Sport, il quadro è completo.
Il grande problema, per quella che è la mia modesta opinione, è che si sia creduto di poter ottenere dalla Formula 1 lo stesso risultato del calcio. Errore madornale. Un campionato da 20 gare non può essere confrontato con le centinaia di partite che uno spettatore può guardare durante un’intera stagione giustificando, così, il prezzo dell’abbonamento. I campionati spezzatino permettono di vedere anche sei o sette partite nell’arco di un solo weekend, figuriamoci in un lasso di tempo di diversi mesi.
La soluzione non è di certo aumentare il numero dei Gran Premi durante l’anno per raccogliere più abbonati. Si avranno più introiti dai diritti TV, certo, ma al tempo stesso i team saranno costretti a sostenere ingenti spese agguntive per tutto quello che occorre a gestire le eventuali trasferte in più. Pensate alla Williams… Per quanto si possano aggiungere gare al calendario, inoltre, ci sarà sempre una fetta di pubblico che non potrà comunque permettersi un abbonamento. Aspetto, questo, sottolineato anche da Hamilton. Quindi di cosa stiamo parlando? Il dato 2018 definisce chiaramente il fallimento della “Formula 1 in Pay TV” indipendentemente dai broadcaster, con la prima gara del 2019 che ha fatto registrare oltre 800.000 spettatori in meno in differita nonostante un anticipo di sei ore rispetto all’anno passato, dalle 20.00 alle 14.00.
Qui si tratta semplicemente di aver tolto progressivamente al pubblico italiano il secondo sport più seguito dopo quello del pallone, anche per le richieste troppo alte da parte di chi gestisce i diritti di trasmissione. La Formula 1, per essere seguita, deve tornare in chiaro. Lo vuole la gente, lo dicono gli oltre sette milioni di spettatori che hanno visto il Gran Premio d’Italia di qualche mese fa sulla RAI, l’unico andato in onda anche sulla TV di Stato che gode, comunque, più appeal di TV8.
So bene che si tratta ormai di fantascienza, ma non vedo altre soluzioni per riportare la F1 a portata di tutti. La tanto bistrattata (dai puristi) Formula E, sotto questo aspetto, ha parecchio da insegnare. Forse bisognerebbe levarsi di dosso una certa aria di superiorità: a furia di fregiarsi del titolo di “categoria regina” si è finiti in un tunnel apparentemente senza uscita. E non serve solo sperare che termini presto: bisogna iniziare a fare qualcosa.
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