È proprio quel “ma” a stonare in una frase evitabile dopo l’ennesima doppietta Mercedes. Quel sottolineare che, nonostante una Mercedes più veloce “e più fortunata” (in cosa, nell’essere la migliore?) la Ferrari ha comunque fatto registrare il giro più veloce. Con un pit stop a pochi giri dalla fine effettuato appositamente per montare gomme morbide e fresche.
Confido nel fatto che il presidente John Elkann volesse intendere altro con la sua frase e volesse, cioè, sottolineare in qualche modo che non tutto è perduto, che il campionato è lungo e che la Ferrari se la può ancora giocare. Doveroso, obbligato gesto per infondere rassicurazione, fiducia e quant’altro.
L’intenzione però non basta se la si espone nei modi errati, perché il giro più veloce nei Gran Premi odierni non ha alcuna valenza prestazionale. Regala un punto da quest’anno, questo è vero. Ma messa in questo modo sembra voler dire che comunque la Ferrari è veloce. Tutti lo sono, con un pit a quattro giri dal termine. Tranne la Williams.
Escluso il Bahrain, dove Leclerc stava facendo il diavolo a quattro (e mi viene da dire più lui che la Ferrari, a questo punto), il filone del weekend si sviluppa con una Rossa estasiante dopo le prove libere, con un passo gara da titoloni speranzosi del sabato mattina e da una Mercedes che, dalla Q3 del sabato in poi, porta in pista la macchina al 100% della potenza e solo quando serve. Il risultato è quello che vediamo dall’Australia in poi: quattro doppiette di fila (record), due vittorie a testa per Hamilton e Bottas e l’Italia impegnata, invece che a chiedersi perché la SF90 non riesce a tenere il passo della Mercedes o quanto meno quello mostrato nei test (sempre affidabilissimi, vero?), a dividersi nelle fazioni che discutono su chi deve prendersi il ruolo di prima guida tra Vettel e Leclerc. Argomento che non fa altro che ampliare le polemiche e rendere ancora più accesi gli animi, la pressione, le responsabilità.
Il giro più veloce non può essere la maschera per nascondere la verità, ma dovrebbe essere la ciliegina sulla torta di un weekend con pole, vittoria, magari doppietta. Dovrebbe essere un tocco in più, non l’obiettivo del weekend o il traguardo di cui vantarsi. Inutile continuare a raccontare quanto la Rossa sia veloce ed imprendibile nel passo gara al venerdì: dopo quattro gare (o quattro anni?) dovrebbe essere appurato che la Mercedes gira con la mappa “Classe A”.
La Ferrari ha portato a Baku aggiornamenti: quanto siano stati utili non sta a me dirlo perché non ho accesso ai dati della Ferrari, ma evidentemente c’è ancora da lavorare. Viviamo in un periodo storico nel quale c’è sempre più fretta e sempre meno tempo per lavorare e migliorare. Non ci sono test, si vive di simulatori e recuperare terreno è difficile, molto. A Maranello c’è stato quattro mesi fa un cambio di Team Principal, con Binotto che contemporaneamente svolge il ruolo di Direttore Tecnico. Inoltre è arrivato un pilota che, per bravura sua e supporto pubblico, sta contribuendo ad allargare la fila di argomenti di cui parlare e che distraggono dalla cosa più importante: la SF90 non è al livello della SF71H né della SF70H. Lo dicono i risultati in pista, in qualifica e in gara.
Se si vuole lottare con questa Mercedes la prima cosa da capire è con quale dei due piloti farlo. I campioni in carica al momento possono attaccare con due punte, la Ferrari no. Che sia Leclerc o Vettel poco importa: per quattro gare si è giocato al “chi è più bello” tra team radio e polemiche incrociate ed ora la classifica è già nera. Invertire la tendenza è difficile ed ora arriva Barcellona: quella delle grandi, ennesime illusioni invernali, dove la Mercedes sarà pronta a far vedere ciò che ha nascosto a febbraio. Perché i giri veloci contano solo quando sono davvero necessari.
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