Liberty di fare tutto. Come possedere la F1 senza averla mai capita (e non volerlo fare)

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Tempo di lettura: 8 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
3 Aprile 2023 - 13:04
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Lo spettacolo di Melbourne grida vendetta. La F1 non può essere ridotta così

Guardate gli occhi di Carlos Sainz. Sono suoi come nostri in un’unione ideale tra pilota e tifoso nel momento dell’incredulità, della disperazione, della rassegnazione.

Pochi giorni fa sono stato attaccato personalmente, con il pretesto di un titolo fuorviante – che non era, ma ne parlerò in altra occasione – per la mia idea contraria all’indirizzo che i padroni del Circo hanno dato ad uno sport che hanno deciso scientemente di mandare a farsi benedire. Credevo che ci sarebbe voluto del tempo per avvalorare la mia tesi. Il fato, anzi la fame di spettacolo, ha fatto sì che la prova arrivasse subito, da quel di Melbourne.

“Our race in Melbourne did not disappoint!”. Così dice la F1 dopo la gara di ieri. Secondo loro tutto è andato bene, lo spettacolo è stato grande, la risonanza mediatica enorme. Peccato che ieri tutti si siano svegliati dal torpore indignati, dopo aver appoggiato silenziosamente questo modus per anni. Da ieri tutti si lamentano, incredibilmente, della magra figura messa in mostra da una Formula 1 orgogliosa dei 444.000 spettatori che hanno solcato la zona dell’Albert Park nell’arco del weekend. Un pubblico folto, da lei stessa rimpolpato in gran parte, accecato dal nuovo corso al punto da mostrarsi contento a fare la ola in tribuna mentre, sotto i suoi occhi, si consumava uno dei capitoli più bassi di una categoria con 73 anni di onorata storia, di cui ormai una gran parte ne conosce al massimo 5.

Ricordate la gente che fischiava ad Indianapolis 2005? L’opera di promozione di questo prodotto è stata così accurata che oggi, quello stesso pubblico, potrebbe applaudire soddisfatto 14 macchine che si ritirano prima di partire.

Sono anni che ci lamentiamo di questo, quello o quell’altro. Sono anni che critichiamo alcune scelte, alcune incongruenze. Mi e ci hanno dato dei rompicoglioni, dei boomer. “Se non ti piace non seguirla”, “Siete vecchi, svegliatevi”. Ci hanno detto di non comprendere per quale motivo si segue uno sport per poi criticarlo quotidianamente. Ebbene eccolo il motivo, tornate ad inizio gara e premete play. È facile abbandonare uno sport quando non piace più, ma è molto più difficile continuare a seguirlo, con il coraggio di criticare chi ne mina quotidianamente la storia, soffrendo nel vederlo distrutto anno dopo anno; tirato giù mattone dopo mattone, sostituito con del cartongesso riciclato da 5 millimetri, verniciato però alla perfezione.

La Formula 1 prima di Liberty Media non era rose e fiori, per niente. Aveva problemi, ed anche grossi. Negli ultimi vent’anni, proprio a partire dal 2003, ha iniziato a cambiare in peggio, ma con passi lenti e ben definiti. Il Parco Chiuso, i primi componenti contingentati, l’abolizione dei test che ha promosso e promuove cicli infiniti (Red Bull, Mercedes, ora ancora Red Bull) e via dicendo.

Ma mai, mai, si era arrivati a mettere in discussione a più riprese la natura stessa dello sport, il suo essere tale, il suo nucleo, in favore di un surrogato tramite il quale alimentare le casse di chi questo prodotto lo comanda con un solo fine: guadagnarci, a qualsiasi costo, a qualsiasi condizione, morte sportiva compresa. Il format, il rischio costante di perdere le piste storiche perché non stanno al passo con pretese economiche che possono essere soddisfatte solo dai paesi del petrolio.

I tifosi e gli appassionati della Formula 1 non sono azionisti di Liberty Media. Non guadagnano niente dagli introiti che la grande macchina produce e dal suo valore che si dice triplicato dal 2018 ad oggi. Anzi, gli appassionati sono quelli che pagano (sempre di più, tra abbonamenti TV e biglietti) per avere poi, nel corso dell’anno, almeno due o tre eventi che propongono spettacolini come quello dell’Australia. Chi può avere il coraggio di difendere non tanto le singole azioni, ma l’idea generale di gara e di show che emerge da una gestione simile? Solo chi ne ha una qualche convenienza. E sono certo al 100% che, anche all’interno della stessa F1, qualcuno ieri si sia posto delle domande su cosa sia effettivamente successo.

Domande che non usciranno e che verranno coperte dalle solite dichiarazioni di facciata. “Il pubblico vuole l’azione”. “Il pubblico vuole divertimento”. “Il pubblico vuole suspense”. Quindi dobbiamo pensare che il pubblico vuole tre partenze nella stessa gara con incidenti dietro l’angolo? Il pubblico vuole ordini di classifica tirati indietro di un giro e penalità date per azioni annullate?

È il caso di smetterla di usare il termine pubblico a sproposito, ora basta prendere per scema la gente. Si usi il termine corretto: Liberty vuole l’azione. Liberty vuole divertimento. Liberty vuole suspense. Liberty vuole le tre, quattro, cinque partenze. Magari un giorno verrà divisa la gara in parti uguali apposta per creare show. Inutile dirlo, se tutte le gare fossero come Melbourne a Liberty andrebbe bene. Punto.

Aziendalmente ineccepibile, sportivamente distruttivo. Non è il pubblico che vuole questo, non è quello che abbiamo visto a Melbourne che il pubblico chiede e tanto meno quello che merita. Non lo meriterebbero i vecchi appassionati, quelli che ormai non servono più, perché non possono essere spremuti e che, sotto certi aspetti, si spera mollino presto per avere meno critiche. Non lo meritano, però, neanche i più giovani, la nuova guardia del tifo. Dovrebbero essere coccolati, istruiti, indirizzati. Vengono contattati con l’inganno del contorno mediatico e poi gli si propone questo contenuto? Beh, chapeau.

Non lo meritano neanche i piloti, tutto questo. Il fatto che la sicurezza sia a livelli altissimi non autorizza a mandarli in pista a fare tre partenze da fermo per vedere cosa succede alla prima curva, soprattutto in un mezzo imbuto come quello di Melbourne. Riguardate gli occhi di Sainz: sono i vostri, i miei, quelli di chi ha assistito a due ore di immagini cercando di capire cosa stesse succedendo. Più che un pilota sembra un ragazzo normalissimo che si chiede “Ma cosa ca**o stanno facendo?!”. Vi sembra normale?

Non ricordo a memoria personale un campione in carica dire che potrebbe andarsene se verrà stravolto ancora di più lo sport nel quale corre da quasi 10 anni. Forse è passato in sordina, ma il messaggio di Verstappen è un allarme gravissimo. Immaginate da qui a un paio d’anni se decidesse di lasciare, stanco delle rivoluzioni pro show. Quale scusa verrebbe propagandata per attenuarne il danno d’immagine enorme che ne scaturirebbe?

Anno dopo anno sembra di vivere una specie di escalation che, ad ogni tassello, diventa sempre più palese nel trasformare l’aspetto sportivo in uno show, al quale manca il copione per avere il wrestling a quattro ruote. Abbiamo iniziato con il logo nuovo, abbiamo continuato con la grande apertura ai social (che ci voleva visto l’immobilismo precedente, ma non mi si dica che non ci si è fatti prendere la mano) e con la finta battaglia del “We race as one”, mentre si stringevano accordi con i paesi più lontani da quella concezione.

Poi sono arrivate le prime Sprint Qualifying, il cui vincitore veniva insignito della pole position per le statistiche (!). Le Sprint da tre sono diventate sei (in attesa di capire quando diventeranno fisse, vedi MotoGP), si è capito che impostate come prima erano un insulto ed ora non sappiamo come si disputerà la prima di quest’anno: qualifica a parte, giro secco, boh! È tutto una sorpresa, un inventarsi format, un cercare il modo di incasinare il weekend per il pubblicolo spettacolo… gli introiti. Sempre e comunque. Questo modo di ribaltare le carte in tavola ogni volta non può essere definito normale. Non sarebbe degno della Formula E che ha 10 anni di vita, figuriamoci di chi ne ha più di 70.

E attenzione, qui nessuno è contrario a qualsiasi modifica. Lo sport si evolve e deve evolversi, ma deve rimanere tale, preservare le sue radici, avere una linea di continuità attorno alla quale costruire il futuro. Non può essere trasformato in altro solo perché bisogna aumentarne il valore, perché da qui a trovarci i monopattini in pista il passo è brevissimo.

I numeri sono belli ma nascondono spesso delle sorprese. Tanti spettatori, tanti introiti, il valore aumentato. Tutto bello. Ma qual è il prezzo da pagare? Esattamente quello che abbiamo visto ieri mattina. Continueranno a dirci che “si può migliorare”, che “si lavora costantemente per rendere il prodotto migliore”. E intanto si cambiano format come biancheria. Scusate se in mezzo c’è un campionato del mondo, che dovrebbe essere una cosa seria e non una palla di Didò, a cui cambiare forma una volta al mese fino a quando “Al pubblico non piace”. Il pubblico.

Su queste pagine da blog, dopo gare come queste, non potrete che leggere risentimento. Perché sulle passioni, che non sono cose passeggere, non si scherza. E, quando vengono sistematicamente offese, non si può fare altro che rimarcarlo, in tutti i modi possibili. Con buona pace di chi difende ed offende per convenienza.

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