40° giro del Gran Premio della Malesia 2016. Ti chiami Lewis Hamilton, sei il campione del mondo in carica, stai vincendo il Gran Premio in controllo e il tuo compagno, azzoppato in partenza e rispedito in fondo da un inaspettatamente alleato Vettel, è dietro, perde punti, tornerà dietro in classifica.
Insomma, si configura la giornata ideale per rimettere a posto le cose: perché la tua regola prevede di essere sempre davanti, baciato da Dio, nel mito di Ayrton, imprendibile, intangibile nella sua leggenda.
Poi è un attimo: fumo. Non è nebbia, tanto meno calura. Fumo denso, bianco, fiamme. L’occasione sfugge, si trasforma in disfatta. Le mani sul casco, mentre le Red Bull sfilano, soprattutto mentre l’altro, l’innominabile, sfila.
Scendi, t’incazzi, pensi che Vettel si ti ha aiutato ma forse poteva farlo meglio. Torni ai box col casco in testa, esci a salutare i fan dal box, sorridi ma dopo la Mercedes sei tu che fumi, dalle orecchie. Non ci vedi più, dici che qualcosa o qualcuno questo titolo non vuole fartelo vincere, alludi al fatto che su otto motori tedeschi solo il tuo s’è fermato.
È qui che caschi ancora nel tranello, Lewis: quello di crederti vittima di un complotto mistico, un gigantesco disegno che vuole premiare il tuo compagno, un destino già segnato che vuole vederti soccombere, non raggiungere quella 50a vittoria che aspetti da tanto, non vincere il quarto titolo.
No Lewis, così non va, è vero. Ma non va per te: perché se invece di pensare solo ai flussi negativi intorno al tuo mondo ti concentrassi per trasformare tutto questo in tensione positiva, faresti prima di tutto un favore a te stesso, e daresti un’immagine migliore di te a chi, come me, ti segue da fuori. Nella vita di un campione ci sono momenti alti e momenti bassi. Quello di oggi, per te, è bassissimo e me ne dispiace perché la gara era tua, ma se sei un Campione, di quelli con la ‘C’ maiuscola, i complotti devono restare altrove. 10 anni fa un motore mandava in fumo del tutto i sogni mondiali di uno Schumi già a quota 7. E lui reagì sorridente salutando e abbracciando i suoi meccanici.
Questo, da te, ci si aspetta. Cancellare i fantasmi, smetterla di sentirti il Calimero o il Paperino della situazione e pigiare su quel fottuto pedale destro, perché quando lo fai si vede eccome. Il destino non è solo quello che viene scritto per noi, è anche quello che siamo noi stessi a scrivere. Vincere è bello ma non sempre accade, perdere è molto più istruttivo se lo si fa accettando la sconfitta senza vedere ombre intorno a sé.
Come on Lewis, see you in Japan.
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