Nel 2023 il GP di Las Vegas diventerà il terzo evento a Stelle e Strisce in F1. L’ennesimo circuito cittadino che entusiasma pochi e crea nuove polemiche, che si vanno ad aggiungere alle tante che ormai si conoscono da tempo.
Eccoci qua, la F1 arriva a Las Vegas. O meglio ci torna: perché, se dobbiamo fare affidamento alla storia del campionato (qualcosa che a tratti pare mitologia per questa categoria), ci ha già corso nel 1981 e nel 1982. Vinsero due “sconosciuti”, dei piloti chiamati Alan Jones e Michele Alboreto. Ma non so se questi nomi siano importanti per la F1 attuale fatta di DRS, storie inventate, missili nelle inquadrature e circuiti rivedibili che nascono dall’oggi al domani. Anche se noi, appassionati di lunga data, diremmo l’esatto contrario, ovvero che questa F1 non merita di essere affiancata a nomi storici come quelli precedentemente citati.
La crescita fantoccio e l’allontanamento dalla storia
L’annuncio, fatto in piena notte europea (e senza un anticipo congruo per i media del vecchio continente, come di solito accade per avvenimenti del genere), fa capire quanto il focus si stia ormai spostando da quella fetta abbondante, se non prevalente, di pubblico che ha contribuito alla crescita e alla sostentazione di questo campionato e che probabilmente continua ancora oggi a farlo. Però ormai grazie alle serie TV sulla F1 – di cui gli stessi piloti si lamentano – che raccontano praticamente fan fiction su quello che accade in pista, con montaggi talmente insensati da far rivoltare nella tomba Stanley Kubrick, questo sport sembra aver catturato l’interesse degli americani a tal punto da offrire loro un GP nuovo a stagione e accesso privilegiato a qualsiasi possibilità.
Un interesse, quello del pubblico USA, al momento provato dal tutto esaurito di Austin nel 2021, dopo che per due anni non c’è stata nemmeno una gara in Nord America causa Covid, aumentando quindi il desiderio di tornare in pista dei fan (verosimilmente in arrivo anche da Messico e Canada, ndr) e dall’ancora tutto esaurito previsto per Miami, senza però attendere il riscontro ufficiale. Poi però, se si chiede un nuovo GP in Europa, è come se si pronunciasse una blasfemia.
La verità risiede in molti casi nel fatto – come abbiamo anche potuto appurare lo scorso weekend di gara a Jeddah – che a parlare è solo ed esclusivamente la banconota verde, al punto di veder ridefinito l’ormai vetusto slogan “We Race as One” in #WeRaceForMoney.
Come se non bastasse, oltre ad andare a correre in paesi dalla poca se non nulla cultura motoristica, i tracciati realizzati lasciano spesso più di qualche dubbio, poiché rispecchianti in serie lo schema seguente:
- Sono cittadini
- Sono composti da mille milioni (citando l’Ingegner Cane, al secolo Fabio De Luigi) di rettilinei super veloci, che permettono di usare 3 zone DRS consecutive per vedere scene poco edificanti tipo quella di domenica scorsa tra Leclerc e Verstappen in curva 27 o dell’anno scorso, sempre tra Verstappen e Hamilton.
- Sono tecnicamente carenti a parte i soliti concetti già visti e rivisti altrove – vedi le curve 11-12-13 di Las Vegas, una copia spudorata delle Singapore Slings – o il famosissimo e mai imploso tornantino al termine di un allungo.
Oltre al fatto che come è stato fatto notare sul web, il tracciato del Nevada, che stando a quanto riportato è stato selezionato dopo una valutazione tra circa 30 layout differenti, ricalca parzialmente quello che è il Circuito di Tokyo R246 della serie di videogiochi Gran Turismo. Solo che quello nipponico è ovviamente più entusiasmante e tecnico di quello che purtroppo saremo costretti a vedere probabilmente all’alba una domenica di novembre del prossimo anno.
Il calendario interminabile e non gradito
L’espansione esagerata del calendario che, da quando è arrivata Liberty Media, ha preso la tangente prima verso le 25 gare e, ora che ci siamo arrivati (perché quasi sicuramente nel 2023 ci saranno 25 eventi, a meno che non salti qualche tappa europea) punta direttamente verso le 30, lascia qualche dubbio. Un conto è correre 30 gare solo in uno stato (vedi Nascar), un conto è farlo in giro per il mondo, con tre tappe nello stesso paese fatte a maggio, ottobre e novembre e il Canada inserito a giugno, perché il back-to-back con Miami era troppo logico.
Il tutto senza contare i disagi per le squadre di meccanici, con i team che saranno prima o poi costretti a mettere in piedi due squadre da alternare e le battaglie sull’inquinamento e il “carbon neutral” che, con viaggi così disorganizzati e scollegati tra loro, perdono un po’ il loro senso originale. Alla fine, al momento, l’unico passo avanti tangibile in termini di inquinamento è il progresso lato motori, con il concetto hybrid che in F1 diventa sempre più sostenibile, anche se – in generale – l’inseguimento di questo ideale in tutto il panorama del campionato procede molto più lentamente di quel che ci si aspetterebbe.
Tutte obiezioni, quelle ricapitolate fino ad ora, delle quali Liberty sembra non interessarsi, anche quando i commenti arrivano direttamente sotto le notizie come quella di Las Vegas: “Cara F1, è il momento di limitare il numero di eventi a 20 per stagione. 18 per me sarebbero ottimi. Avere troppe gare ha un grande impatto sui team e i meccanici e disperde il valore della F1 per noi tifosi. La F1 era un evento occasionale e dovrebbe restare tale” oppure “Sepang, Istanbul, Hockenheim esistono ancora, ma abbiamo deciso di correre la terza gara negli USA. Pensavo che Stefano [Domenicali, ndr] sarebbe stato un passo in avanti rispetto a Bernie [Ecclestone, ndr], ma ho avuto la prova di essermi sbagliato nel tempo ancora una volta” sono due esempi di Tweet sotto l’annuncio della nuova gara.
Va ricordato come l’era Ecclestone non fosse certo votata alla pura beneficenza: negli ultimi lustri l’espansione della Formula 1 verso altri mercati aveva avuto il suo avvio ma pur sempre cercando di mantenere una distribuzione lineare degli eventi. Per vedere due GP nella stessa nazione si ricorreva al famoso GP d’Europa, che faceva un po’ da copertura di un secondo evento (organizzato tra Germania e Spagna) e al GP di San Marino che ora non è altro che un GP regionale, quindi un secondo GP vero e proprio.
Nonostante il buon vecchio Bernie fosse quindi altrettanto interessato alle questioni economiche, la spinta data da Liberty Media per americanizzare la Formula 1 è sotto gli occhi di tutti. Ma servirà?
Quanti circuiti infatti, belli o meno belli che fossero, sono stati abbandonati in pochissimo tempo? Istanbul Park (Turchia) è durato 9 anni nella sua prima esperienza, Yeongam (Corea) 4 e Buddh (India) 3. Anche la Malesia, nonostante fosse un evento tanto atteso, ha preferito fare le valigie dopo aver valutato costi (troppi) e benefici (pochi) della F1 rispetto alla MotoGP. Altri, invece, nonostante i problemi riscontrati e il favore negativo riscontrato da addetti ai lavori e non, rimangono imperterriti in campionato.
Non si era ancora arrivati, però, a correre a 10km dai missili perché d’altronde “Siamo qui, quindi è sicuro”. Il limite raggiunto dalla gestione Ecclestone fu quello di disputare il Gran Premio del Bahrain 2012, mentre nelle piazze della capitale Manama i manifestanti protestavano proprio contro la F1 giunta nel loro paese per correre.
I circuiti cittadini
Tanti puristi della F1 continuano a criticare la Formula E perché “non corre in circuiti veri”. Premesso che al sottoscritto interessa poco il tipo di propulsore che muove una vettura da corsa, dato che il motorsport non ha una definizione che impone numero di cavalli, deciBel e cilindri per essere definito tale, il prossimo anno la tanto amata categoria regina vedrà ben 7 gare cittadine su un ipotetico calendario di 25. Jeddah (pseudo-cittadino), Melbourne, Miami, Monaco (cittadini), Montreal (semi-cittadino), Baku, Singapore, Las Vegas (cittadini), con l’incognita del nuovo circuito del Qatar; chissà che non arrivi un ottavo appuntamento a muri stretti. Di tutti questi personalmente salvo solo Melbourne, Montreal e Singapore perché sono quelli che più hanno le sembianze di un circuito vero e proprio. Tolto Monaco che è storico – e a me non fa impazzire – gli altri sono tutte forzature mal riuscite per portare la F1 in centro città. Stranamente, proprio l’obiettivo della Formula E.
Se prendiamo in considerazione i circuiti introdotti negli ultimi quindici anni (non si considera Losail che è stato un tappabuchi per le questioni legate al Covid), i numeri parlano chiaramente:
- 2008: Valencia e Singapore (cittadini)
- 2009: Abu Dhabi (permanente)
- 2010: Yeongam (cittadino)
- 2011: Buddh (permanente)
- 2012: Austin (permanente)
- 2014: Sochi (semi-cittadino)
- 2016: Baku (cittadino)
- 2021: Jeddah (pseudo-cittadino)
- 2022: Miami (cittadino)
- 2023: Las Vegas (cittadino), Qatar (?)
Dal 2008, su undici piste entrate a far parte del calendario di F1 per la prima volta, solo 3 sono stati circuiti permanenti e tutti gli altri dei cittadini, di cui solo quelli realizzati un decennio e mezzo fa possono definirsi quanto meno accettabili. Sintomo di una tendenza brutta, ormai apparentemente irreversibile, di voler portare la F1 ovunque a scapito di tutto. Tanto, poi, ci pensa Drive to Survive a creare lo spettacolo o i videogiochi della F1 (a leggere quel che potrebbero introdurre nel 2022 mi vengono i brividi), che porteranno nuova linfa a una categoria: “fiorente” per chi sta ai piani alti, “in declino” per chi la ammira ancora. Sì, ma per quanto?
Immagine di copertina: F1 / Twitter
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