La foto di copertina è indicativa dell’argomento. Vado subito al sodo.
Chi è Kimi Raikkonen? Quello che ieri, con gomme medie, girava con lo stesso passo di Lewis Hamilton con le morbide (e su una Mercedes), o quello dell’anno scorso, impalato, martoriato, sfigurato da Fernando Alonso? E’ quello del 2007, campione al primo anno in Ferrari, o quello opaco per metà stagione 2008? E’ quello che ha vinto a Spa nel 2009 con la F60, o quello che sapeva solo lamentarsi della F14T?
E chi è Sebastian Vettel? Quello che ieri ha buttato via un podio o quello che ha vinto tre settimane prima in Malesia? Quello che ha vinto quattro mondiali alla “Ti piace vincere facile?” o quello che nel 2008 ha vinto a Monza la sua prima gara con una Toro Rosso? Quello che le ha prese da Ricciardo o quello che le ha date a Webber? Quello che fa il ditino antipatico o quello che quando parla di Schumi gli si illuminano gli occhi?
Ho preso come riferimento i due ferraristi, ma potrei andare avanti con tanti altri esempi: potrei citare il paracarro Button che poi va a vincere il mondiale, oppure Schumy che dopo 72 vittorie e cinque mondiali in rosso diventa un traditore, o ancora il nemico Alonso in Renault che diventa il “Principe di Maranello” con tanto di libro intitolato proprio così, e pubblicato appena dopo il suo arrivo in Ferrari.
Se qualcuno ha avuto la briga di leggermi in questi anni, conosce la mia veduta su questo argomento. I piloti sono sempre gli stessi, indipendentemente dal colore della tuta che indossano. Cambiare parere su di loro unicamente per questo motivo è una delle cose che meno apprezzo di quella pratica, tanto bella per carità, che si chiama tifo. Su un pilota ci si può ricredere, dopo una prima impressione, per quello che fa in pista, per come si comporta, per come ci convince di non essere quello che abbiamo pensato di lui. Ma giudicare un pilota in modo diametralmente opposto, autosconfessandosi, unicamente per un cambio di casacca, è quanto di più falso possiamo fare a noi stessi. Nessuno mi farà mai cambiare opinione su questo.
Così come non posso sostenere la tesi di chi scende e sale sul carro dal vincitore come se fosse niente. Insultare per poi enfatizzare, sminuire per poi esultare, non giustificare per poi giustificare troppo. In una stagione un pilota è un brocco, in quella dopo un idolo, in quella dopo un brocco ancora, per poi rinascere, morire, rinascere e così via. Una lunga sequenza di giudizi fini a se stessi che non considerano alcuna valutazione tecnica o ambientale. O sei un fenomeno, o sei un fallito. Per un giorno.
Per questo settimana scorsa ho criticato apertamente chi adesso ha da lamentarsi per le dichiarazioni fuori dai denti di Alonso. Per questo non sopporto chi sale sul carro del vincitore adesso che Raikkonen è tornato sul podio. Ed è per questo che non vedo con profonda simpatia chi, dopo anni ad insultare il ditino di Vettel, in Malesia piangeva di gioia. E, per espatriare verso le due ruote, ecco che magicamente Valentino Rossi torna di moda, dopo essere stato dato per morto nelle due stagioni in Ducati e nella prima di ritorno in Yamaha. “Guardate, cambia il capotecnico piuttosto che ammettere di non farcela più”, dicevano. Dove sono tutti questi personaggi, adesso? Dove sono quelli che “Kimi pensa solo a prendere i soldi e bere”? Dove sono i professionisti che per un anno si sono prodigati nel sottolineare ogni settore di ogni singolo giro di prova libera in cui Raikkonen faceva peggio di Alonso, per poi adesso criticare lo spagnolo ed esaltare la gara del Bahrain del finlandese?
Ecco, io queste cose non le sopporto. Perché qui non siamo al tifo, ma ai margini della propaganda, della promozione del proprio credo per cercare di convincere gli altri. I piloti non sono robot, sono esseri umani. E il mondo del motorsport è molto più complesso di quello che possiamo immaginare, a meno di farne parte e conoscerlo dall’interno. Poi, a volte, sono proprio coloro che dall’interno lo raccontano che mi lasciano basito per diversi motivi. Imparzialità, presunzione e quant’altro. Ma questo è un altro discorso.
Ci vorrebbe più coerenza, in tutto. Smettiamola di dare del “pirla” e del “fenomeno” per antipatia o simpatia. Dipingiamo virtualmente tutti i piloti e le vetture di nero, diamo a tutti la stessa voce. Vediamo cosa fanno in pista e cosa dicono, e cerchiamo di capire che una stagione storta può capitare a tutti, anche due magari, perché non stiamo guardando le gesta di robot ma di persone come noi, che hanno il diritto di avere il loro momento no ma che prima o poi, se sono dei campioni, tornano a galla anche più forti di prima. A dispetto delle dicerie, delle falsità, delle provocazioni e quant’altro.
State sereni, insomma, che non muore nessuno per una gara o una stagione no. Perché i conti si fanno sempre a casco appeso, non a pagella del weekend.
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