La vittoria definitiva di Halo. Sulle critiche, sul valore del bello a tutti i costi, sugli amanti del pericolo (altrui)

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
4 Luglio 2022 - 12:30
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Guardate l’immagine di copertina. Immaginate di essere lì. Appesi dopo secondi inenarrabili, senza capirci nulla. Ma vivi. Guardatela, riguardatela, immedesimatevi.

A quattro anni e mezzo dal suo arrivo in Formula 1, ieri Halo ha dimostrato definitivamente e senza appello quanto la sua introduzione sia stata probabilmente il più grande contributo che il Circus ed il Motorsport in generale abbiano conosciuto sul fronte della sicurezza a partire dal 1994. Il probabilmente è dovuto al fatto che non abbiamo riferimenti su quanto il collare Hans sia stato fondamentale nel salvare vite, giusto perché di difficile rilevazione. Lo stesso vale per tutte le altre misure di sicurezza adottate negli ultimi 28 anni da quel weekend maledetto di Imola. Ma su Halo c’è poco da dire, soprattutto negli ultimi anni. I casi sono limpidi, alla luce del sole, inconfutabili.

Sono contento di essere stato a favore del suo arrivo sin dall’inizio, anche quando riceveva aspre critiche così come Jean Todt. L’allora presidente della FIA ha spinto tantissimo per arrivare alla sua introduzione, con un’accelerata determinante dopo l’incidente di Suzuka 2014 che ci ha portato via, mesi dopo, Jules Bianchi. Premesso il fatto che anche in quella circostanza Halo non avrebbe probabilmente salvato Jules, martoriato dalla decelerazione più che dall’impatto in sé, quello che dà da pensare in modo clamoroso è come il numero di incidenti potenzialmente letali sia cresciuto proprio dopo che il dispositivo di sicurezza ha fatto la sua comparsa nel mondo del Motorsport.

I casi di Charles Leclerc a Spa nel 2018, di Romain Grosjean in Bahrain nel 2020, di Lewis Hamilton nel 2021 a Monza sono tra i più eclatanti dell’aiuto di Halo a salvare i piloti. E avevamo anche raccontato la storia della sua nascita.

Ma ieri Halo ha raddoppiato, salvando due vite nello stesso giorno e in due casistiche completamente diverse. Dapprima Roy Nissany, che sarebbe rimasto molto probabilmente ucciso, colpito in pieno dalla monoposto volante di Hauger durante la gara del mattino di F2.

Questa è una casistica di quelle probabilmente contemplate al tempo dello studio dell’Halo e abbiamo visto come sia stato determinante a salvare la vita dell’israeliano. Al netto delle sue stesse colpe nel mandare largo Hauger, così come quelle del salsicciotto rosso all’ingresso della curva Vale che ha fatto da trampolino.

Arriviamo poi al pomeriggio e al volo di Zhou.

Approfondiremo poi l’incidente in sé e il come è avvenuto, ma guardate questa immagine. Il casco di Zhou è ad un paio di centimetri dal suolo. La struttura roll bar principale, che dovrebbe restare intatta a 96 centimetri di altezza, evidentemente non c’è più. Halo, chiamato sempre nel regolamento “secondary roll structure”, è colui che salva la vita del pilota cinese.

Zhou viene colpito da Russell a 240 all’ora e a 230 metri dalle barriere, dei quali ne percorre praticamente 200 a testa in giù tra asfalto e ghiaia, prima di ribaltarsi ancora e finire nello spazio tra le reti di protezione e le gomme. Immaginate di essere lì dentro, avvolto dalle scintille che lo stesso Halo crea sfregando sull’asfalto, senza sapere cosa sta per succedere, impotente, in attesa solo che tutto finisca al più presto. Ora immaginate tutto questo senza Halo e su cosa staremmo discutendo in queste ore.

L’immagine che segue mostra l’Halo scalfito, grezzo ma intatto. Ha fatto il suo dovere, ha salvato una vita, la seconda del giorno.

Quella di Halo è una vittoria su tutti i fronti. Halo vince definitivamente sullo scetticismo iniziale, sulle critiche mosse da chi voleva mantenere nel nuovo millennio lo spirito macabro del pericolo nelle corse, ritenendolo una priorità per sentirsi ancora interessato a seguire il motorsport. Le corse non sono nate per esaltare il pericolo ma per scoprire chi è più veloce. Non per vedere quanti restano vivi ma chi è più forte. Chi segue le corse solo per vedere incidenti parte dal presupposto sbagliato e Halo è qui per questo, anche per convincere chi voleva a tutti costi mantenere il brivido sulla schiena rischiando la pelle, però, degli altri. E, magari, per poi piangere la scomparsa di qualcuno.

Oggi, senza Halo, Charles Leclerc, Romain Grosjean, Lewis Hamilton e Guanyu Zhou, per limitarci alla F1, forse non sarebbero più con noi. Se qualcuno pensa che il loro essere vivi abbia reso meno interessante la Formula 1 forse c’è qualcosa che non va.

Halo vince sulla cultura del bello e questo mi piace particolarmente. Faceva schifo perché era brutto, senza capirne le potenzialità. Oggi, dopo quattro anni e mezzo, abbiamo la prova che non necessariamente il brutto è qualcosa di negativo a prescindere.

Ecco perché quella di Halo rappresenta una lezione, oltre che ingegneristica, anche sociale. In un mondo dove il bello è diventato la priorità, a discapito di tante altre qualità, arriva dal Motorsport la dimostrazione più forte che l’apparenza inganna.

Ancora una volta, più delle altre, grazie Halo.

Immagini: ANSA

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