La tecnica della Kawasaki ZXR 750 R: l’ultima SBK mondiale con i carburatori

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Tempo di lettura: 2 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
3 Luglio 2023 - 15:00
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Dopo aver messo le basi attraverso le scelte all’interno del team, la struttura gestita da Rob Muzzy doveva occuparsi dello sviluppo della bellissima ZXR 750 R. Per tentare l’assalto al titolo SBK ad Akashi decisero di cambiare filosofia, “copiando” quella vincente portata da Ducati.

Serviva omologare una moto sportiva ad uso stradale e non il contrario, come fatto fino al 1992, portando una moto più vicina ad un prototipo rispetto alla versione da concessionario. La ZXR 750 R era dotata di un telaio replica, fedele al doppio trave superiore in lega leggera della Kawasaki utilizzato nel mondiale endurance, con una sola differenza: quello della versione SBK era più rigido, grazie all’adozione di fogli di alluminio dallo spessore maggiore. Il forcellone garantiva a sua volta una maggiore rigidità ed era stato completamente ridisegnato dai tecnici giapponesi.

La caratteristica a livello visivo che colpiva maggiormente della “verdona” era il foro per il condotto di aspirazione che portava aria in pressione all’air-box presente sulla trave superiore di sinistra del telaio. Altro cambiamento non di poco conto riguardava il passaggio dalle gomme Michelin, utilizzate fino al 1992, alle Dunlop. Questo aveva permesso di aumentare la dimensione del cerchio superiore consentendo ai piloti, una volta aperto il gas, di scaricare in modo migliore a terra i tanti cavalli a disposizione.

Il quattro cilindri bialbero della ZXR 750 R raffreddato a liquido manteneva sostanzialmente le caratteristiche del motore 1992, ma con cinque cavalli in più che portavano la potenza a quota 150 con un regime di rotazione a 13.800 giri. Cambiava il kit di aggiornamento versione 1993, con diversi componenti speciali lavorate dalla struttura gestita da Muzzy, la quale si occupò anche della realizzazione dello scarico che garantiva prestazioni migliori rispetto a quello prodotto in Giappone grazie al lavoro dei tecnici “interni”.

Era lo stesso Muzzy a ricordare con grande stima che i componenti del motore di Russell si potevano ritrovare anche nella versione stradale: a fare la differenza era lavorazione di queste parti. Le sospensioni che equipaggiavano la ZXR 750 R erano le Ohlins, con una forcella a steli rovesciati uniti ad un monoammortizzatore pluriregolabile.

Il peso a secco della moto era di 166 chili, soltanto uno in più rispetto al peso minimo del regolamento dell’epoca. È bene ricordare infine come la ZXR 750 R sia stata l’ultima SBK a carburatori a vincere il titolo mondiale, in una storia che in questi mesi compie 30 anni.

Immagini: WorldSBK Twitter

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