La quarta sinfonia di Eddie Lawson

Storia
Tempo di lettura: 3 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
17 Dicembre 2019 - 17:00
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Trenta anni fa, nel 1989, Eddie Lawson conquistava il suo quarto e ultimo titolo mondiale della 500cc in sella alla Honda HRC ufficiale. Un’impresa, quella di “steady Eddie”, entrata nella storia grazie soprattutto al passaggio dalla “docile” Yamaha, con cui l’americano aveva vinto tre titoli, alla “scorbutica” NSR. La storia di quel campionato è strettamente legata a Lawson e agli altri due “moschettieri”, Wayne Rainey e Kevin Schwantz, agguerriti avversari in un mondiale particolarmente interessante.

Sul finire del 1988, con il terzo titolo in tasca, Lawson decise di intraprendere una di quelle sfide che segnano un campione, soprattutto se portate a termine con successo. Firmare con la Honda dopo una carriera passata in Yamaha andava al di là di una penna e un foglio di carta. Lawson decise di intraprendere un percorso così complicato “spinto” paradossalmente dal team principal della squadra ufficiale Yamaha, Giacomo Agostini. Il 15 volte campione del mondo, nonostante i successi ottenuti con Lawson, aveva un'”ossessione” chiamata Kevin Schwantz. Il texano in forza alla Suzuki era stato contattato a più riprese dal manager italiano che aveva provato a portarlo nel suo team ma senza successo.

Questo fece indispettire Lawson che quindi, anche per una questione economica, abbracciò la causa Honda grazie anche alla presenza di Erv Kanemoto. La storia tra Honda e Lawson parte ufficialmente con un test segretissimo in Giappone, seguito da un minuzioso lavoro di sviluppo in terra europea, improntato sul “feeling” che l’americano e la sua NSR andavano cercando. Le critiche arrivarono anche dall’interno, con Wayne Gardner dubbioso sulle capacità del nuovo compagno di squadra di essere subito vincente con la nuova moto.

Le cifre di Lawson in quella stagione furono incredibili: quattro vittorie, sei volte secondo e tre volte terzo, con un quinto posto come risultato peggiore. La differenza però, rispetto a Rainey e soprattutto Schwantz, Lawson la fece nella regolarità. Nessun ritiro, nessuno zero e sostanzialmente nessun errore per il campione americano, capace di ricavare il massimo anche in situazioni complicate. Come in Belgio, con la “farsa” delle tre manche (l’ultima non valida) al termine delle quali Eddie ottenne una vittoria importantissima, e ad Anderstorp, successo arrivato dopo un duello strepitoso con Wayne Rainey finito poi a terra.

Due furono anche i fattori determinanti per il successo finale. Il primo risiede nel continuo sviluppo di Honda, che ad ogni gara portava materiale per Lawson al contrario di Yamaha, la quale con la “grana” Spencer nel team di Agostini non supportò abbastanza Rainey lasciando lo sviluppo (poco) alla struttura gestita da Kenny Roberts. In secondo luogo le gomme, che nel corso delle gare mostrarono tutto il loro valore: le Michelin di Lawson ebbero la meglio contrapposte alle Dunlop di Rainey, soprattutto nella già citata gara svedese.

Probabilmente il binomio Lawson-NSR non fu il più veloce, perché in questi termini quello composto da Schwantz e Suzuki si dimostrò superiore, ma fu nettamente il più regolare e adatto ad ogni situazione che la pista presentava. Un titolo quasi sorprendente che, di fatto, fu l’ultimo lampo di Lawson prima del lento declino, iniziato con il grave infortunio di Laguna Seca 1990 dopo il ritorno in Yamaha. Un Campione con la C maiuscola, capace poi di regalare il primo successo alla Cagiva a Budapest 1992.

Immagine copertina: Wikimedia

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