La Peugeot 405 T16: un piccolo regalo per una grande storia

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 12 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
10 Dicembre 2020 - 10:00

Seppur meno storica della “sorella più piccola”, la 205, anche la 405 ha un passato meritevole di esser raccontato.


Il periodo delle festività natalizie si avvicina a grandi passi, anche in un anno sventurato come questo. In qualche modo, la magia del Natale riesce ad avvolgere tutti, chi più chi meno. Natale, oltre essere sinonimo di un periodo da passare in compagnia della gente che si ama, è anche un periodo dove si danno e ricevono doni.

Ciò che (mi) piace del Natale è che ogni famiglia lo festeggia… un po’ a modo proprio. Si parte dagli addobbi dentro e fuori casa, passando per la presenza o meno di albero natalizio e presepe fino al come si svolge la fatidica serata del 24 dicembre, la vigilia. Nella mia famiglia non siamo tipi molto fantasiosi a dire il vero, e perciò, anziché provare a regalare qualcosa d’imprevedibile al prossimo, preferiamo chiedere a priori cosa c’è nella lista dei desideri di coloro a cui vogliamo bene.

Nella mia quest’anno c’era un modellino d’auto, ma non uno qualsiasi. Il mio interesse si è infatti concentrato su una vettura che ha fatto la storia delle corse automobilistiche, soprattutto quelle fuoristrada. Sto parlando della Peugeot 405 T16, nella versione Grand Raid del 1990 che, nella colorazione giallo-blu dello sponsor di tabacco Camel, dominò la 12a edizione della Parigi-Dakar. Fortunatamente, il regalo è arrivato sotto l’albero (con largo, larghissimo anticipo a essere onesti… non c’era nemmeno l’albero ancora).

Questa è anche l’occasione ideale per raccontare, tramite quest’articolo, la storia dietro la nascita di questa straordinaria vettura. Il tutto, a dire il vero, non parte tanto dalla Dakar quanto più dai rally più classici, quelli del campionato mondiale.

Gli anni ’80 del rally sono infatti divenuti, nell’immaginario collettivo, l’epoca d’Oro di queste competizioni, con l’arrivo di marchi e piloti dal livello assoluto e la nascita di una nuova categoria di mezzi, il Gruppo B. Esso nacque ufficialmente nel 1982, ma le sue radici sono ancora più profonde e risalenti al 1979, quando la Federazione Internazionale dello Sport Automobilistico (la FISA) decise di abolire il veto sulle vetture a quattro ruote motrici presente fino ad allora, permettendo anche alle auto a trazione integrale di accedere in campionato.

La prima grande Casa a lanciarsi a capofitto in un progetto all’epoca avveniristico fu l’Audi. A cavallo tra i due decenni il marchio dei Quattro Cerchi aveva già effettuato degli importanti test segreti per un eventuale approdo nelle competizioni, e queste speranze si concretizzarono nell’Audi quattro, progetto chiamato inizialmente con la sigla “EA 262”.

Nel 1980 il modello stradale venne lanciato, mentre nel 1981, al Rally di Montecarlo, la berlina tedesca fece il suo debutto nel mondiale dopo una prima apparizione sempre nell’’80 nello Janner Rally in Austria. Nonostante il risultato al “Monte” fu deludente per lo squadrone Audi, con Hannu Mikkola fuori per incidente e Michèle Muton ritiratasi per dei problemi dovuti a della benzina sporca, si capì da subito il vantaggio tecnico di cui disponeva la quattro, grazie alle quattro ruote motrici e al motore turbo cinque cilindri, con oltre 300 cavalli di potenza. Fu l’inizio di una nuova era.

Michèle Muton e Fabrizia Pons al Rally di Sanremo 1981. Le due ragazze saranno il primo equipaggio tutto femminile a vincere una gara. (Fonte immagine: pinterest.cl)

Un’era tanto intensa quanto breve, va detto. Nel 1982 nacque, come detto in precedenza, il Gruppo B, categoria nata per spronare i grandi marchi a competere nel mondiale rally e a spingersi ai limiti (e anche oltre) dell’innovazione motoristica e tecnologia. Ciò era permesso anche dal regolamento molto permissivo, che permetteva di costruire solo 200 esemplari di un modello da far gareggiare e di implementare ulteriori evoluzioni costruendo soltanto altre 20 auto (le cosiddette “innovazioni annuali”).

Questo aumentò drasticamente l’interesse per il campionato sia da parte delle Case sia da parte degli appassionati, e i video che oggi si è in grado di reperire in rete fanno capire che livelli raggiunse la febbre del rally in quella prima metà degli anni ’80. Il rovescio della medaglia fu però drammatico: queste vetture, sempre più estreme, leggere e potenti, erano anche sempre più pericolose.

Guidare dei mostri come la Lancia Delta S4, l’Audi Sport quattro S1 o la Ford RS200, mezzi oramai capaci di erogare 600 cv e oltre di potenza, su stradine sconnesse e scivolose con ali di folla incontrollata che si scansavano all’ultimo, significava varcare quella soglia che separa il coraggio dalla follia più totale. Le conseguenze, nel 1986, furono tragiche: al Rally del Portogallo dell’8 marzo, un incidente scaturito da un fuoripista di Joaquim Santos uccise tre spettatori (tra cui due bambini), ma il colpo di grazia arrivò al Tour de Corse nel primo fine settimana di maggio, quando Henri Toivonen e Sergio Cresto morirono sul colpo nel rogo della loro S4, a seguito di un’uscita di strada in un tratto privo di guardrail.

I resti della S4 di Toivonen e Cresto, ripescati dal fosso della SS18. I due morirono sul colpo. (Fonte immagine: carthrottle.com)

Le prime avvisaglie del disastro, in realtà, ci furono sin dal 1985: sempre in Corsica un altro pilota Lancia perse la vita, in questo caso Attilio Bettega sulla 037, mentre in Argentina Ari Vatanen rischiò davvero la pelle quando, durante una serie di cappottamenti della sua vettura, il sedile si sganciò dalla sua base e il pilota venne sballottato nell’abitacolo. Tutti questi eventi non lasciarono scelta alla FISA, che dal 1987 avrebbe messo al bando le Gruppo B, impedendo anche la creazione del futuro Gruppo S che, nell’88, avrebbe dovuto sostituire la categoria precedente.

La Peugeot 205 di Vatanen e Terry Harryman, dopo l’incidente in Cordoba. Mentre l’inglese ne uscì quasi illeso, il finlandese vide la morte in faccia. (Fonte immagine: rally.it)

In questi due anni funesti, a dominare la scena del mondiale non era più l’Audi, bensì la Peugeot. Al contrario della quattro, nata ancora nel regime del vecchio Gruppo 4 e ancora sottostante ai limiti di omologazione previsti, la 205 T16 sfornata dalla Casa del Leone fu la prima vettura da rally concepita esclusivamente per il Gruppo B. La vettura venne lanciata sul mercato internazionale nell’83, mentre per il debutto della prima evoluzione da rally fu necessario attendere fino al 3 maggio 1984, col debutto al Tour de Corse.

La 205 vantava diversi vantaggi rispetto alla quattro: il motore, un quattro cilindri in linea turbocompresso da 1.779 cm3, era stato posizionato centralmente e questo permetteva di distribuire molto meglio i pesi, al contrario dell’Audi che lo montava ancora a sbalzo sull’anteriore, complicando notevolmente la maneggevolezza. Un altro punto di forza risiedeva nel passo: nonostante fosse ben più corta come lunghezza, la piccola vettura francese aveva un passo più lungo per permettere una maggiore stabilità.

I titoli piloti e costruttori del 1985 vennero così vinti in carrozza dal marchio francese, mentre nel 1986 la competizione fu più dura, avendo come avversaria principale la Lancia con la sua Gruppo B definitiva, la Delta S4. Alla fine, in una stagione martoriata sia dagli eventi tragici in gara che dai reclami al di fuori di essa (con la cancellazione del Rally di Sanremo, gara che aveva visto la squalifica delle 205 appunto), la Peugeot riuscì a conquistare nuovamente i due titoli, quello piloti grazie a Juha Kankkunen, al primo di quattro centri iridati.

La 205 al RAC Rally dell’85, alla guida c’è il campione del mondo di quell’anno Timo Salonen. (Fonte immagine: pinterest.com)

Mentre l’Audi si concentrò sulla competizione del Pikes Peak in Colorado vincendo per tre volte consecutive la cronoscalata e la Lancia rimase nei rally dominando il neonato Gruppo A, la Peugeot si ritrovò con una vettura straordinariamente competitiva ma senza ancora una gara specifica nel quale farla correre.
Sprecare però una tale esperienza e un tale potenziale sarebbe stato un sacrilegio, e quindi la scelta ricadde sulla Parigi-Dakar.

La maratona franco-africana, competizione nata nel 1979 per mano di Thierry Sabine (la cui idea era venuta dopo essersi perso durante uno altro raid, la Abidjan-Nizza tre anni prima), era ancora una gara piuttosto giovane ma già capace, a metà degli anni ’80, di attirare i curiosi e i più coraggiosi corridori; nel 1986, ad esempio, furono ben 486 gli iscritti. Inoltre, il successo che stava avendo in Francia era paragonabile solo a quello del Tour de France, quindi si trattava della vetrina perfetta, per la Peugeot, per pubblicizzare ulteriormente il proprio marchio e la propria 205.

Sulla carta, però, l’impresa di vincere la Parigi-Dakar con la 205 T16 non era poi così scontata. La vettura, concepita per gareggiare al massimo in tappe ben più brevi e con condizioni molto diverse rispetto a quelle del deserto del Sahara, presentava dei limiti nella carreggiata, nel passo e anche sul piano dell’affidabilità potenzialmente. Così, per l’edizione 1987, la prima dell’equipaggio Peugeot in forma ufficiale capitanato da Jean Todt, la vettura venne depotenziata e ingrandita, in modo da renderla più adatta ai curvoni veloci e alle condizioni estreme delle distese di sabbia.

Pur non essendo perfettamente adatta ai raid, la supremazia della 205 durò per due anni nella Dakar. (Fonte immagine: racedepartment.com)

I primi risultati arrivarono subito, con la vittoria nella categoria Auto della Dakar del 1987 per l’equipaggio Ari Vatanen-Bernard Giroux. Il finlandese, forte del supporto di Peugeot, negli anni successivi si dimostrò particolarmente avvezzo alla competizione africana, anche se questa sua prima vittoria, a essere onesti, passò quasi in secondo piano visti gli eventi nella categoria Moto, con il duello tra Cyril Neveu e Hubert Auriol risoltosi a favore del primo, dopo che il suo avversario si ruppe entrambe le caviglie durante una speciale, arrivando poi al traguardo in lacrime per il dolore. Una scena tanto straziante quanto storica.

Tornando alla Peugeot, è da qui che inizia la storia della “sorella maggiore” della 205, ovvero la 405 T16 Grand Raid. Nonostante il successo del 1987, solo due Peugeot raggiunsero il traguardo nelle prime posizioni (oltre a Vatanen, anche quella del keniano Shekhar Mehta, quinto), rendendo quindi necessari dei cambiamenti. La 205, nonostante i miglioramenti, non era adatta a questa competizione ed era necessario guardare avanti, a una nuova vettura.

I tecnici Peugeot decisero di prendere la meccanica della vincente 205 e di “spostarla di peso” su una nuova vettura con un telaio più adatto. Come base venne scelta la nuova coupé, con altezza da terra maggiorata, passo più lungo e sospensioni in grado di affrontare anche i fondi più disconnessi. Immancabile la trazione integrale, mentre il motore di 1.900 cm3 disponeva di 400 cv.

L’edizione 1988 (raccontata in passato anche dal nostro Andrea Ettori) fu particolarmente ricca di sorprese, emozioni e anche tragedie. La Peugeot non si esimé da questa serie di eventi, con il vincitore della scorsa edizione Vatanen ora a bordo della 405. Mentre stava dominando il rally, però, il finlandese fu letteralmente derubato della sua vettura mentre questa si trovava a Bamako, con Todt contattato anche per un riscatto di cinque milioni di franchi per riavere la vettura. Alla fine di tutta questa telenovela la vettura di Vatanen, ritrovata nel deserto, verrà squalificata e la vittoria andrà al suo compagno di squadra Juha Kankkunen, ancora sulla vecchia berlinetta compatta e affiancato dal copilota Juha Piironen.

Non ci vorrà molto perché anche la 405 sia vittoriosa. Nel 1989 la Peugeot tornò in forze nella storica gara nel deserto e questa volta non ci furono né intoppi né furti improvvisat: il “Poeta dei Rally”, nonostante un cappottamento nel prologo di Barcellona, vinse la sua seconda Dakar, davanti a Jacky Ickx sulla vettura gemella staccata di oltre cinque minuti; a un abisso i restanti avversari, con Patrick Tambay terzo a quasi quattro ore sulla sua Mitsubishi Pajero.

Il primo successo della coupé francese giunse nell’89, sempre grazie alla coppia Vatanen-Berglund. Fu doppietta per le 405, con Ickx poco più staccato. (Fonte immagine: peugeot-sport.com)

Abbandonata la colorazione bianco-azzurra della Pioneer, nel 1990 la 405 si “vestì” dei colori della Camel, già usati sulle 205 nel 1987; inoltre, la Dakar cambiò la propria tappa d’intermezzo, che passò da essere Tunisi a Tripoli, col passaggio per il deserto libico-nubiano. Questi cambiamenti non modificarono però i valori in campo e, per la terza volta in quattro anni, Vatanen dominò incontrastato la competizione. Per la Casa del Leone fu addirittura tripletta, con Björn Waldegård seondo e il francese Alain Ambrosino terzo.

Vatanen si sarebbe dimostrato, a cavallo tra i due decenni, come l’asso della maratona africana, con quattro successi totali e tre con Peugeot. (Fonte immagine: peugeot-sport.com)

L’avventura della coupé portata dalla Peugeot, a dire il vero, durò solo tre anni. Dal 1991 il Gruppo PSA decise di puntare sul marchio Citroën, che nei successivi cinque anni conquistò altre tre vittorie per i francesi. In compenso la 405 apparve negli Stati Uniti, lanciando la sfida ad Audi proprio nella cronoscalata del Pikes Peak in Colorado del 1987. La vettura portata dalla Peugeot aveva raggiunto un livello estremamente alto di avanzamento tecnico, poiché era dotata di quattro ruote motrici e sterzanti, oltre 600 cv di potenza, un peso ridotto a meno di 900 chilogrammi e un pacchetto aerodinamico ad alta deportanza, in modo da mantenere la vettura schiacciata a terra il più possibile per sfruttare l’imbarazzante potenza fino in fondo. Chissà se anche le Gruppo B si sarebbero spinte così in là, se la categoria avesse resistito.

In quell’anno particolare la 405 uscì sconfitta dalla battaglia contro la coppia Walter Röhrl-Audi (nella versione Sport quattro SL), ma la Peugeot si rifece nel biennio successivo ottenendo due vittorie consecutive con Vatanen e Robby Unser.

Un video della scalata di Vatanen nel 1988 sulla sua vettura, con tanto di camera car interni.

E così, si conclude la storia di questa vettura storica, nata in realtà come sostituta di una macchina ancor più storica di lei ma capace allo stesso modo, seppur in misura minore, di entrare nel cuore degli appassionati, specie degli amanti della Dakar come il sottoscritto. Una vettura leggendaria, che in quest’anno celebra anche il suo trentennale dalla sua ultima Dakar svolta, e che è anche la prova tangibile del successo della Peugeot nel decennio ’80.

Fonte immagine: Internet (per segnalare il copyright info@p300.it)

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