La favola dei campioni morali

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
27 Novembre 2016 - 22:00
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La favola dei campioni morali è vecchia, trita e ritrita. Se volessimo riscrivere la storia della Formula 1, assegnando i vari titoli al pilota più veloce e/o meritevole del momento, l’Albo d’oro verrebbe completamente stravolto. Scopriremmo che il titolo del 1993 magari lo meritava Ayrton, quello del 2012 Alonso, quello del 2008 Massa e così via. Proprio quello perso da Felipe, poi, i tifosi di Lewis lo ricordano molto bene. È una storia che viene chiamata in causa soprattutto quando un mondiale viene deciso all’ultimo, un po’ per giustificarsi, un po’ sentirsi meno perdenti. È un gioco psicologico, che non cambia comunque il risultato della pista.

Che Lewis Hamilton sia più veloce di Nico Rosberg lo sanno anche i muri, e il titolo di Nico non ridisegna certo le gerarchie nel ranking dei piloti. Sebbene, forse, questo Rosberg sarebbe leggermente da rivalutare rispetto a quanto si pensava di lui tempo fa. La Formula 1 (così come gli sport motoristici in generale) non è fatta di storie che premiano solo chi è più veloce, ma anche più intelligente, tattico, costante ed abile a mantenere i nervi, soprattutto in un periodo storico nel quale i piazzamenti valgono di più rispetto a 15 anni fa. Perché non conta solo la velocità pura, quella data dal talento. Sono tanti gli elementi che vanno a comporre il pedigree di un pilota.

Questa sera Nico si siederà da qualche parte chiedendosi con quali nervi sia riuscito a resistere alla gara di oggi. Se anche questa non riesce a dimostrare che quest’anno il titolo se l’è meritato, io non so più da che parte girarmi. Nico non solo ha dovuto tentare per forza di cose l’affondo su un Max Verstappen che tutti temono e con il quale molti hanno fallito (ricordate cos’è successo a Suzuka con Lewis?) ma ha dovuto resistere 15 giri in un panino orchestrato chirurgicamente dal compagno, che da davanti lo tappava clamorosamente, soprattutto nel settore più lento, mentre Vettel e Verstappen stavano rientrando a suon di decimi al giro. Sull’azione di Lewis vedo che molti si scandalizzano definendola scorretta: secondo me è stato solo l’estremo tentativo, disperato, di riuscire a ribaltare un destino ormai scritto. Solo alla fine, quando dal muretto ha preso parola direttamente Paddy Lowe, allora Lewis avrebbe forse dovuto mollare un po’ le redini. Ma d’altronde non siamo noi in auto, e forse tutti ci saremmo comportati allo stesso modo.

Che Lewis Hamilton sia stato penalizzato durante la stagione da problemi tecnici l’abbiamo visto tutti: d’altra parte, sostenere che il suo mondiale sia stato perso unicamente in Malesia, quando il campionato conta 21 gare e in parte di queste l’inglese ha commesso errori, è lavoro che lascio ai suoi più accaniti tifosi. Mi ricorda il 2010 della Ferrari, quando Abu Dhabi è stata sì la pietra dello scandalo ma comunque figlia di una stagione intera. L’ultima gara conta quanto le altre (a parte il 2014 con il tragicomico doppio punteggio), e questo va capito. Altrimenti sarebbe molto più facile correre per la gloria 19 Gran Premi e assegnare i punti validi per il titolo solo all’ultimo.

In ogni caso, minimizzare il titolo di Nico con i problemi di Lewis è storicamente e sfacciatamente sbagliato, perché l’inglese non è stato solo vittima ma anche carnefice del suo secondo posto.

Non è un problema di Rosberg se Hamilton sbaglia la partenza in Australia e deve rincorrere.
Non è un problema di Rosberg se Hamilton sbaglia la partenza a Sakhir e viene centrato da Bottas.
Non è un problema di Rosberg se Hamilton fa una pole pazzesca a Monza e poi si pianta al via.
Non è un problema di Rosberg se Hamilton sbaglia ancora lo start a Suzuka.
Non è un problema di Rosberg se Hamilton va a sbattere in qualifica a Baku e parte decimo.

Alla luce del risultato di oggi, con una sola partenza corretta tra i primi quattro episodi citati, Lewis sarebbe campione. E i suoi errori valgono tanto quanto il motore in fumo a Sepang. Tra l’altro, proprio della cruciale (per molti) Malesia si dimentica il fatto che Nico, senza il missile terra-aria di nome Vettel alla prima curva che l’ha fatto finire in fondo al gruppo, avrebbe portato a casa punti in più, forse dieci. Il tutto senza andare a richiamare episodi di anni precedenti nei quali anche lui è stato vittima di rotture in gara quando era in testa. Infine, per aggiungere carne al fuoco, aggiungo i provvedimenti disciplinari che spesso hanno lasciato più di un dubbio in questa stagione.

Non che voglia chiamare in causa a mia voglia dei complotti, sia chiaro (i commissari sono, spesso, solo inadatti), ma nel computo di una stagione non si può tenere conto solo di quello che conviene. È per questo che parlare di campioni morali è solo un esercizio stilistico fine a se stesso.

Forse, semplicemente, bisognerebbe fermarsi a ripensare alla globalità degli eventi e accettare quello che la legge della pista sancisce, senza sminuire nè enfatizzare troppo. Limitandosi a rispettare ciò che l’Albo d’oro ci consegna.

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