La doppia vita di Lewis Hamilton

Autore: Alessandro Secchi
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Pubblicato il 1 Dicembre 2015 - 12:50
Tempo di lettura: 3 minuti
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La doppia vita di Lewis Hamilton
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Una volta che un pilota è sceso dalla sua vettura, bisognerebbe in teoria evitare di giudicare quella che è la sua vita privata, le sue abitudini e tutto quello che non è prettamente in ambito racing.

Fatico, però, a non notare il personaggio Lewis Hamilton che fa da contraltare al tre volte campione del mondo che vediamo in pista. L’escalation di popolarità di cui si sta accerchiando è notevole, talmente imponente da sovrastare in alcuni casi la figura del pilota, su cui appunto ci dovremmo soffermare.

Il Lewis Hamilton pilota lo conosciamo forse tutti. Anche se, ultimamente, alcuni suoi atteggiamenti mi hanno lasciato stranito. Non mi è piaciuto e non mi piace il suo modo di porsi quando perde dal compagno, con la tendenza a sminuire quello che fa l’altro, come se non contasse nulla. Dal suo punto di vista, in questa stagione, potrebbe anche pensarlo. Lui ha vinto quando c’era da vincere, Nico ha vinto quando non contava più nulla. Ma proprio per questo non capisco la frustrazione nel sottolineare la cosa. Non è fair. Su questo finale di stagione se ne sono dette tante. Ad esempio, che la vita modaiola e senza sosta fuori dall’abitacolo di Lewis, una volta vinto il mondiale, gli ha portato quel senso di rilassatezza sufficiente a non correre al 100% le ultime corse. Lui, dal canto suo, sostiene che da Singapore la Mercedes non è più quella di prima. Cosa ci sia di vero non lo so.

Al di là di quella che è la pista, osservo il Lewis Hamilton uomo. Quello che partecipa a festini vari per tutta la notte, che scatta selfie a manetta, che si tinge di biondo o va in giro con catene dal diametro impossibile al collo. I suoi canali Twitter e Instagram sono pieni di immagini, ma la mia sensazione è sempre la stessa. Che dietro tutto questo mondo d’immagini ci sia un ragazzo terribilmente solo. Non so se, come ipotizza qualcuno, il circo mediatico attorno a Lewis sia puntualmente pianificato e organizzato per creare un personaggio e aumentare l’audience della F1. Cosa che, evidentemente, non è fattibile con un Vettel, che da questo punto di vista è un monaco. L’Hamilton che vedo io, una volta spente le reflex, le telecamere e quant’altro, è un ragazzo molto più solo di quanto voglia far sembrare cercando di darsi l’immagine dell’uomo di mondo, per apparire diversamente da com’è veramente.

Certo, possiamo dire che sia meglio restare soli che male accompagnati, o che due cani siano meglio di decine di umani interessati (e questo è sacrosanto, ve lo posso assicurare), ma tra i selfie e le foto di scena che vedo continuamente pubblicate sono veramente poche quelle in cui leggo un sorriso sincero. Ripeto, sono solo mie sensazioni, ma fatico a credere a quest’immagine dell’uomo di mondo che Lewis continua a mostrare. Mi dà l’aria della maschera sotto cui nascondere un’insicurezza innata. Che poi è quella stessa insicurezza che traspare ogni volta in cui, in pista, Lewis ha un minimo dubbio su chi lavora intorno a lui, senza far niente per non sottolinearla, tra l’altro. Basta ascoltare i team radio con i suoi ingegneri.

Forse, in un mondo in cui l’apparenza conta quasi più della sostanza, Lewis preferisce tenere alta anche la prima per far sì che si parli di lui. L’importante è che continui a curare anche la seconda.

Quando i riflettori si spengono definitivamente è quello che hai fatto che rimane davvero nella memoria. Come vincere tre mondiali.

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