“Killing me softly”, F1 edition

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
29 Aprile 2023 - 18:05
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La ruota persa dall’AlphaTauri di Yuki Tsunoda nel primo giro della Sprint di Baku, che rotola lentamente fino a fermarsi esausta, è la rappresentazione perfetta di quello che sta succedendo sotto i nostri occhi, di cui siamo tutti testimoni e, in parte, complici. L’uccisione, lenta, della F1.

Onestamente mi interessa zero di come andrà la gara domani. È il senso di disagio che provo dopo due giorni di questo vergognoso format a prevalere, a far quasi passare la voglia di proseguire nel seguire un qualcosa che ti è stato trasformato nella sua brutta copia e solo per i propri interessi personali.

Chi sostiene che questa Sprint sia stata spettacolare, migliore di una qualsiasi qualifica standard, è complice interessato di questo schifo. Un’insignificante processione di 17 giri i cui momenti di alto interesse sono stati le prime tre curve (o meglio, le toccate delle prime tre curve, perché sono incidenti che interessano e non le vere battaglie) e la litigata di fine gara tra Verstappen e Russell, pompatissima perché ormai contano più certe cose che quello che succede in pista. Ma quali lotte, ma quale spettacolo.

Chi sostiene che questo format è più entusiasmante dello standard è ancora una volta complice. Chi dice e crede che togliere tempo di guida ai piloti crea spettacolo ed imprevedibilità andrebbe fermato seduta stante perché non ha o, ancora peggio, fa finta di non capire cosa sia il Motorsport. Preparazione, dettaglio, cura, strategie hanno lasciato spazio all’anarchia, al casino, al lancio dei dadi.

Chi pensa che la categoria motoristica più importante e costosa del mondo possa basare i suoi weekend su prove libere di una sola ora (magari azzoppata da una bandiera rossa) e sulle difficoltà create volontariamente a piloti che non possono prepararsi adeguatamente per ciò che viene dopo, vuole solo il male di 73 anni di storia e dei piloti stessi, portati a rischiare incidenti in percentuale maggiore rispetto a prima.

La propaganda dietro tutto questo è ancora più imbarazzante. Ed io non ci sto a farmi raccontare da chi fa solo politica e i conti col portafoglio che questa Formula 1 è sempre più entusiasmante. Questa Formula 1 è sotto una violenza sportiva mai vista prima. Assoggettata, violentata, smembrata, polverizzata a colpi di decisioni improvvise per cercare di plasmarla settimana dopo settimana alle esigenze economiche di chi la comanda e non ha alcun interesse ad un lato sportivo in terapia intensiva.

Le prime tre gare di questo mondiale si sono corse con un regolamento, dalla quarta in poi ce n’è un altro. Il format della Sprint è stato deciso all’inizio di questa settimana. Nello stesso momento si è deciso di concedere un elemento in più (da 3 a 4) su alcune componenti della Power Unit, quando c’era chi aveva già iniziato a lavorare sulle rotazioni. Poi è arrivata la modifica di oggi sugli standing start. Nel frattempo non ci si rende conto delle gomme che si devono usare nelle qualifiche della Sprint e c’è gente che poi non può girare se arriva nel Q3, altra che per ingozzare gli spettatori deve saltare una gara perché non c’è tempo per riparare la macchina.

Ma ci stiamo rendendo conto di quello a cui stiamo assistendo? Ma è possibile avere regolamenti che variano da gara a gara? È possibile avere zone DRS che vengono allungate o accorciate a piacimento? Piloti che vanno in gara con 16 giri percorsi in due giorni?

Cosa si dirà se, invece di Gasly e De Vries, la prossima volta saranno Hamilton e Leclerc a trovarsi col weekend zoppo, senza poter girare, senza potersi preparare alla gara? Si cambierà parere perché sono loro?

Non provate anche voi una sensazione fastidiosa di presa in giro, di offesa dell’intelligenza? Non siete pronti all’ennesima intervista istituzionale del post GP in cui ci racconteranno che il format con la Sprint è stato un successo ed è piaciuto al pubblico?

Sono curioso di vedere fino a che punto si riuscirà ad alzare l’asticella del disagio. Perché credo che non si sia ancora arrivati al limite. Anche se resto convinto di una cosa, forse l’unica che dà speranza: le corde, prima o poi, si spezzano. E quando succede poi non si torna più indietro.

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