Nel mondo delle pari opportunità, è corretto concedere alle pilote un peso minimo di 26 chilogrammi inferiore a quello della controparte maschile? Per l’Euroformula Open e il suo organizzatore GT Sport… sì!
Non scrivo di motorsport femminile da dicembre, scegliendo di vivere in modo quasi distaccato la transizione da W Series a F1 Academy. Si può affermare che, comunque, questo allontanamento sia stato semplicemente forzato dall’impossibilità di poter seguire a dovere l’evento in streaming o in televisione: i diritti televisivi non assegnati rappresentano un danno altisonante per quanto si stia cercando di nascondere questa lacuna sotto al tappeto.
Chiudo immediatamente la parentesi, perché del suddetto argomento si potrebbero scrivere tantissime cose e in parte l’ho già fatto praticamente sotto Natale. Ci spostiamo con la mente in Spagna per approfondire cosa sta succedendo in Euroformula Open, campionato Formula 3 spagnolo il quale pare sempre essere molto nascosto nei radar degli appassionati; eppure merita interesse per il materiale tecnico a disposizione e per la composizione annuale della griglia di partenza, quest’ultima caratterizzata sia da piloti alla ricerca dell’ultimo trampolino verso la grande occasione sia da giovani alfieri in fase di apprendistato.
Il torneo ha sempre raccolto una forte presenza rosa nel corso degli anni: María de Villota, Ianina Zanazzi, Natacha Gachnang, Carmen Jordá, Vicky Piria, Michela Cerruti, Valeria Carballo, Tatiana Calderón e Vivien Keszthelyi. A queste va aggiunta una ragazza di 17 anni proveniente dal Sol Levante, corrispondente al nome di Juju Noda. È la decima donna a competere nella serie fondata da GT Sport nel 2001.
Juju, figlia dell’ex pilota Hideki Noda, che gestisce la scuderia Noda Racing ove corre, ha bisogno di una brevissima introduzione circa i suoi risultati, in quanto non ha mai perso occasione di far parlare di sé. Nasce con l’etichetta del baby prodigio dopo aver battuto ogni record di precocità pensabile per la guida in monoposto: tra i 9 e i 12 anni l’allora bambina aveva già guidato una Formula 4 e una Formula 3 (!) a Okayama, pista teatro di questa follia/impresa.
Con una premessa del genere, tutti si sarebbero aspettati qualcosa. I successi, invece, hanno stentato ad arrivare: ha vinto qualche gara nella Formula 4 danese, un contesto poco competitivo rispetto agli elevati standard europei visti in Italia, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, poi è passata in W Series dove ha colto solamente 2 punti, mostrando una crescita che sarà spezzata dal passaggio in amministrazione controllata del giocattolo di Catherine Bond Muir. Approda con questo curriculum in Euroformula Open, dopo però essere passata nel Bel Paese attraverso l’iscrizione e la conseguente partecipazione al campionato Formula Trophy 2000 di stampo praticamente amatoriale.
Noda dunque prende parte alla Formula 3 iberica e ottiene grandissimi risultati: sigla un terzo posto in Gara 2 in Ungheria e coglie uno storico successo al Paul Ricard: Juju è la prima donna a vincere nella storia della serie di GT Sport, cosa che le nove pilote citate in precedenza non erano mai riuscite a fare. Un momento che può rappresentare una pietra miliare di questo sport, che può essere l’occasione giusta per valorizzare le pari opportunità in questo lungo percorso di conquista. Eppure non sembra essere così.
Il limite di peso e la contraddizione
In ogni competizione a quattro ruote che si rispetti (perché nelle moto sembra essere un argomento alquanto delicato e, soprattutto, fin troppo politico), imporre un limite minimo di peso è un obbligo: pilota e macchina devono rispettare un valore regolamentare, pena l’installazione di zavorre o sanzioni a seconda del contesto.
Anche in Euroformula è così, ma con modalità più… creative. Tale condizione è stata cambiata nel corso delle ultime stagioni con l’introduzione del nuovo modello di Dallara, la 320: da 575 kg istituiti inizialmente, si è poi andati in crescendo sino a 580 e, infine, a 586. La logica può portare a pensare come tale regola sia uguale per tutti, ma non è così: le donne hanno un limite minimo di peso inferiore rispetto agli uomini e si attesta su 560 kg. Ben 26 chilogrammi di differenza! Tutto questo senza considerare come, tra il primo round di Portimão e il successivo di Spa-Francorchamps, la regola sia stata riscritta con l’innalzamento dei chili, per gli uomini, da 580 a 586.
Per fare un esempio, si dice che in F1 (e parliamo di auto di 800 kg) con 10 kg in meno si possono guadagnare tra i 3 e i 4 decimi al giro, un valore assolutamente generale dipendente poi da piste, lunghezze delle stesse e via dicendo. Facendo le dovute proporzioni, è chiaro come il vantaggio dal punto di vista tecnico sia evidente.
Ora, accusare Juju Noda di imbrogliare non mi sembra corretto dal punto di vista etico e, soprattutto, è diffamatorio affermare che i suoi successi dipendano esclusivamente dalla normativa in vigore. Il regolamento è questo, la ragazza non ha colpe. La critica è rivolta a chi ha inventato, permesso e istituito l’agevolazione; non riesco a concepire il ragionamento di fondo dietro alla scelta di GT Sport di fornire questo aiuto al gentil sesso: marketing? Incentivo per poter accrescere una presenza in griglia di partenza che, a oggi, è molto scarna? Mirare alle pilote ex W Series dopo il collasso del campionato a fine 2022?
Come anticipato nel sottotitolo, viviamo in un mondo dove la lotta per le pari opportunità è sacra, dove Sophia Flörsch critica aspramente la W Series per il suo format privo di competizione coi maschi, dove Iron Dames conquista pole position e podi, dove Danica Patrick trionfa a Motegi e dove Michèle Mouton vince Sanremo e arriva a consolidarsi in cima alle classifiche del WRC.
Questi 26 chilogrammi non sono una semplice e banale differenza su due numeri presenti sui PDF, ma rappresentano uno schiaffo morale a quelle battaglie che tanto servono per poter vedere un paddock equo.
Venerazione e poca informazione
Scorrendo poi sui social media, ho notato con enorme dispiacere come l’argomento sia stato sì toccato, ma solo raccontato superficialmente. Il mio cellulare è stato travolto da articoli, post e messaggi che ponevano le proprie congratulazioni a Juju Noda per gli ultimi risultati conseguiti in pista, che definivano il suo successo in Francia un evento storico: un’iperbole. Perdonatemi, ma faccio veramente fatica a comprendere come, per tanti, sia stato difficile approfondire la questione e aprire due semplici documenti reperibili sul sito del campionato. Cosa c’è di epocale in una vittoria ottenuta in un contesto favorevole?
La prima posizione del Paul Ricard è uno specchietto per le allodole per arrivare a far parlare di sé. È indubbio come siamo di fronte a un campionato in difficoltà, a una serie che raccoglie sì e no 10 piloti a weekend e che deve subire, in aggiunta, la concorrenza della neonata Eurocup-3.
Il tutto mi sembra un enorme presa in giro: non mi capacito dell’incredibile superficialità nell’analizzare i fatti accaduti e, in particolare, nella sottovalutazione di un vero e proprio gender gap creato da una riga sopra un numero e dalla modifica successiva.
Sinceramente, sono anche rammaricato per Juju Noda e per suo padre Hideki, che con immenso sforzo stanno portando avanti un progetto lungo un percorso poco tradizionale rispetto a ciò che si vede spesso in ambito Formule propedeutiche. Budget limitato e tanta dedizione: papà e figlia non meritano, a mio modo di vedere, di ottenere risultati con una “scorciatoia”, perché tutto ciò non rende giustizia.
La speranza è che questa agevolazione sia un unicum e non l’inizio di una scia di spazzatura su grande scala.
Immagine di copertina: Facebook / Juju / 野田樹潤
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