Jeddah: Michael Masi è la punta dell’iceberg. Colpe ed attenuanti del Direttore di gara

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
6 Dicembre 2021 - 13:30
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È incredibile come una delle parole più cercate dopo la gara di Jeddah sui social sia “Masi”. Non credo, onestamente, che il direttore di gara della FIA sia felice di questo insolito record e credo che, dopo Spa, anche stavolta sentirà le orecchie fischiare per qualche giorno. Sicuramente non vede l’ora che cali la bandiera a scacchi ad Abu Dhabi, con la speranza di non dover passare ulteriori giorni sotto tiro.

Che la gestione di gare e penalità quest’anno, non solo quest’anno, abbia lasciato fortemente a desiderare credo che sia oggettivamente inappuntabile. La lotta per il titolo tra Hamilton e Verstappen, poi, ha aumentato responsabilità, pressioni, nervi tesi e questo è fuori da ogni dubbio.

Come successo proprio a Spa-Francorchamps, però, credo che ci si debba fermare un momento a riflettere, con la mente un po’ più riposata per quanto possibile.

Una delle cose sulle quali mi scaglio da anni contro la Federazione è la gestione delle penalità. Anche a Jeddah si è visto tutto ed il contrario di tutto e continuo a sostenere, fortemente, che ci sia una completa mancanza di coerenza a fronte di regole costanti nel tempo, tanto da creare una confusione senza eguali.

Detto questo, voglio comunque spezzare una lancia a parziale – parzialissima – difesa di Michael Masi, per una serie di ragioni che vado ad argomentare.

Prima di tutto dovremmo imparare a metterci nei panni dei protagonisti siano essi piloti, team principal, commissari e sì, anche direttori di gara. Dovremmo chiederci non cosa avremmo fatto dopo due ore, ma cosa faremmo nel momento in cui gli eventi succedono, immedesimarci e cercare di capire cosa può passare per la testa di un protagonista e provare a ragionare come lui sul momento, non a gara finita.

Masi, a Jeddah, aveva responsabilità ancora maggiori rispetto ad una gara normale, perché trattasi di tracciato nuovo, oggettivamente rischioso, senza alcuna esperienza precedente se non per quanto successo in Formula 2, dove si corre comunque con altri ritmi e velocità e dove non sono mancati comunque problemi con il botto del via della Feature Race. Insomma, era la prima volta anche per lui in una pista insidiosa: l’esperienza pregressa fa tanto e, quando manca, possono crearsi problemi per tutti.

Dal punto di vista delle decisioni in gara, sarà lui a spiegare perché ha agito in determinati modi. La prima bandiera rossa ha suscitato l’ilarità generale, come se da una televisione si potesse capire effettivamente lo stato delle barriere. Conosciamo la maniacalità con la quale l’argomento sicurezza viene trattato (certo, poi si va a correre in certi posti… altra incoerenza) e quindi andrei cauto con il dire che la neutralizzazione è stata “inutile”, “forzata” o quasi da complotto per permettere a Verstappen di cambiare gomme in pit lane. Se anche un solo pannello è stato sostituito (lo scopriremo) o se è stato necessario comunque il riposizionamento generale delle barriere, la neutralizzazione è giustificata, perché i pannelli devono essere in perfette condizioni e collegati tra loro per poter dissipare l’energia di un impatto; specialmente in una curva dove i botti, l’abbiamo visto, non sono mancati per tutto il weekend. Lasciare le barriere così com’erano perché “Ma sì, tanto sono a posto” guardandole da uno schermo non è un ragionamento tollerabile.

Sulla questione gomme, la regola che permette di cambiare set in regime di bandiera rossa (un controsenso allucinante) non è stata decisa da Michael Masi e, d’altronde, nessun team se n’è mai lamentato da un anno con l’altro ponendo la questione. È lo stesso discorso dell’assegnazione del punteggio dimezzato con soli due giri di gara, indipendentemente dal regime in cui si svolgono. Non solo Verstappen, poi, ha beneficiato quest’anno di questa regola. Ci sono state diverse bandiere rosse in questa stagione (Imola, Baku, Budapest, Spa, Jeddah appunto) e la possibilità, per quanto sbagliata (soprattutto in una F1 dove vige il Parco Chiuso) c’è comunque per tutti.

Sulla seconda bandiera rossa non credo ci siano molti dubbi da chiarire visto il disastro successivo a curva 2, così come credo non ce ne siano per le varie Virtual Safety Car introdotte per ripulire la pista dai detriti sparsi per contatti. D’altronde, tra curve cieche dove non si vedono le monoposto arrivare, era impossibile fare altro se non rallentare tutti per permettere ai commissari di operare in sicurezza.

Dal punto di vista delle decisioni “in gara”, a conti fatti, non si può imputare chissà cosa a Masi, anche perché le decisioni non dipendono direttamente da lui ma dal collegio. I cinque secondi a Verstappen lasciano il tempo che trovano: ci possono stare, ma al tempo stesso non c’è mai nessuno che si chieda se le difese di Hamilton siano, appunto, semplici difese o accompagnamenti fuori pista, perché la seconda partenza (lo si vede bene dal camera car di Ocon) è un puro “push off track” e nessuno se n’è accorto. E qui richiamo quanto successo a Monza tra 2021 e 2017: azione identica, decisioni opposte, incoerenza, confusione. Più che altro perché il Brasile ce lo siamo portato dietro una settimana. Così come la finta penalità (perché ininfluente) di 10 secondi all’olandese fa ridere sotto i baffi. Se vuoi dare una penalità ne dai una che provochi un cambio in classifica, altrimenti fai prima a non pronunciarti: ma su questo avrò modo di parlarne successivamente, non è questo l’articolo adatto.


Ed ora vengo a ciò che davvero non è tollerabile da parte di un Direttore di gara. La scenetta alla quale abbiamo assistito ieri, con i colloqui tra Masi ed il rappresentante Mercedes o Red Bull di turno, sono quanto di più sbagliato possa esistere. Non si può sentire una contrattazione per le posizioni di partenza, non è giusto nei confronti di tutti.

C’è un regolamento? Si applica. Se la casistica in questione non è prevista, il Direttore mai nella vita dovrebbe consultare i concorrenti per capire cosa fare ma, anzi, dovrebbe isolarsi con il suo collegio e decidere autonomamente. Non esiste questo, non esiste il fatto che si possa essere contattati durante una corsa per sentirsi dire “Ti ho mandato una mail” (dove siamo, in ufficio?), non esiste che chi deve prendere decisioni possa intrattenere discussioni di questo tipo durante una gara con la possibilità di essere, in parte, influenzato. Anche perché Mercedes e Red Bull di turno, in questi casi, assumono le forme di cani rabbiosi che si inventano qualsiasi cosa pur di aver ragione o di strappare una decisione a favore.

Nella mia visione il Direttore di gara deve essere il più possibile super partes, altro che “amico dei piloti”. Perché poi il rischio di confondere i rapporti diventa un problema. Sotto questo fronte Masi, per me, ha sbagliato più volte, continua a sbagliare e continuerà a farlo.

Come avevo detto per Spa, poi, dobbiamo considerare quello che sta sopra sopra di lui. Gli interessi, le pressioni, il volere di Liberty Media. E qui lui può farci ben poco. In Belgio pensate che non avrebbe preferito prendere e mandare tutti a casa? Ma chi lo dice poi all’organizzatore, alle televisioni, agli sponsor? Soliti discorsi, ce li raccontiamo da anni.

Qualcuno, oggi, rimpiange Charlie Whiting. Indipendentemente da tutto, avreste detto lo stesso dopo Suzuka 2014? Ecco. Sempre facile parlare dopo, è una pratica della quale tutti potremmo essere campioni del mondo dopo ogni gara.

Credo, infine, che serva una riflessione generale sul ruolo del Direttore di gara, del collegio dei commissari, sui rapporti con i team e sulla costanza di regole e decisioni. Altrimenti non se ne esce e, dopo ogni weekend, ci ritroveremo qui a parlare degli stessi argomenti.

Tra sei giorni si decide un mondiale. E tutto vorrei tranne che essere nei panni di Masi. Se qualcuno vuole andare al posto suo si accomodi… ma spenga il cellulare.

Immagine: Twitter / F1

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