Jeddah è la Formula 1 che meritiamo. Un disagio del quale siamo tutti colpevoli

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Tempo di lettura: 6 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
6 Dicembre 2021 - 02:54
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Dopo quanto successo a Jeddah vorrei chiedere ad ogni persona che dopo venerdì ha difeso questa pista, questo posto, questo trasferimento forzato della Formula 1 in ogni parte del mondo a raccogliere milioni (ci arriverò) se pensa di aver assistito ad uno spettacolo degno di questo sport. Se crede che, quanto messo in scena su questo tracciato, sia meritevole dello standard della Formula 1 e se gli piacerebbe vedere altre gare così in futuro, qui o in altri posti simili.

Jeddah, per quanto mi riguarda, è il simbolo della Formula 1 che meritiamo. Tutti, nessuno escluso. È il succo degli sforzi messi in scena da Liberty Media dal 2018 per trasformare questo baraccone in uno show fine a se stesso, più che ad una competizione sportiva migliore. Noi tutti l’abbiamo assecondata e lei è riuscita nel suo intento, a colpi di genio e con tre serie (presto quattro) di Drive To Survive. “Guidare per sopravvivere” letteralmente tradotto: direi che ci stiamo andando sempre più vicini.

Jeddah è la telecamera che viene posizionata sopra le file di TecPro per apprezzare meglio un eventuale incidente. Perché l’importante non è chiedersi come mai in questa curva si esce da tre giorni (piloti esperti e non), non è porsi la domanda “ma non è che forse c’è qualcosa che non va?”. Macché. Anzi, va bene così e, per di più, bisogna essere pronti a riprendere la scena. Come i guardoni dagli spioncini.

Jeddah, poi, è una curva che si stringe in un mezzo imbuto, con 20 macchine che devono passarci tutte affiancate. E poi cosa succede? Che Mazepin rischia di finire all’ospedale. CHE SPETTACOLO! Ecco la Formula 1 che vogliamo: emozionante, estasiante, pericolosa. Perché tanto chi se ne frega se a rischiare sono loro e se la sicurezza di queste monoposto è figlia anche di chi, su queste macchine, ci è morto. Le Formula 1 sono sempre più sicure? E allora che sarà mai costruire da zero una pista che te la fa fare sotto sul divano, perché hai PAURA che possa succedere qualcosa, perché hai paura che uno di loro si possa far male?

Allora via, con un rettilineo formato da cinque curve da affrontare “alla bersagliera” con l’ala spalancata, con una direzione gara che ci mette 15 ore per prendere una decisione e della quale devi però fidarti nel caso in cui ci fosse bisogno di un avviso istantaneo, IMMEDIATO, di pericolo. Perché solo per un miracolo non si è fatto male nessuno, che sia assolutamente chiaro. E poi che dire del DRS, l’elemento che porta i duellanti al titolo a dire in piena azione “prego, si accomodi, vada avanti lei” e a far gara a chi rallenta di più per non passare per primo davanti al sensore? Capite la follia alla quale siamo arrivati?

E il bello è che, questo disagio, è colpa di tutti, scrivente compreso. Ce lo meritiamo. Siamo noi che continuiamo a seguire quello che rimane di questo sport, che paghiamo gli abbonamenti. Siamo noi che dopo 20, 30 anni o più, continuiamo a sperare che qualcuno si svegli e capisca che questa non è la strada giusta; che i piloti meritano rispetto, che i tifosi veri meritano rispetto, che la Formula 1 ne merita più di tutti. Liberty dice che l’audience è in aumento grazie ad una serie TV che promuove il finto quando avrebbe la possibilità di raccontare la VERA Formula 1. Si crogiola nei numeri dei contatti social, dei followers, delle interazioni ma non si rende conto che sta iniziando a perdere la base di tifosi che ha reso davvero popolare tutto questo per anni, decenni. Sono i grandi vecchi: quelli che non si riconoscono più, che hanno mollato, che si sono stufati di essere presi in giro. Ma di questi, a Liberty, interessa zero. Perché sono sacrificabili, non più spremibili, non agganciabili con un contenuto su Instagram. Inutili.

E, infatti, l’età media del tifoso si è abbassata da 36 a 32 anni, il pubblico che segue la F1 da meno di cinque anni si è triplicato in quattro stagioni. Voi pensate sia positivo? Io penso sia pericoloso, perché al tifoso che ha poca cultura puoi dare in pasto qualsiasi cosa e non dirà nulla. Gli si potrà dire che queste piste sono belle, che una gara condizionata da tre zone DRS, due bandiere rosse, Safety Car, Virtual, incidenti, voli e quant’altro è spettacolare e non si riceverà indietro una critica. Il perfetto popolo bue.

Si possono raccontare tutte le favole che si vogliono sul fatto che la Formula 1 sia rimasta in piedi – soprattutto in era Covid – grazie a posti come questi, che sganciano per un Gran Premio cinque volte le cifre che altri faticano a permettersi. Ma, se siamo arrivati a questo punto, se la Formula 1 non è più sostenibile, di chi è la colpa? Della Befana? Di Trilli il Campanellino? O forse anche di chi ha assecondato costi folli e regolamenti che hanno prosciugato le casse? E, anche se volessimo ringraziare i paesi che investono così tanto nella Formula 1, cosa dobbiamo aspettarci da qui a dieci anni visto che, per citarne due, la Germania non ne vuole più sapere e Monza è a rischio ogni anno? Vogliamo arrivare ad un mondiale che corre quattro volte in Bahrain, tre in Qatar, cinque in Arabia, sei in Cina (altrimenti chi lo dice a Zhou) e via dicendo perché solo loro possono sostenere i costi? Cosa facciamo, la F1 Asia/Middle East?

Non sono uno che legge i commenti agli articoli, perché è la cosa peggiore che si possa fare se si fa questo mestiere e si rischia di farsi influenzare. Mi hanno però segnalato diverse critiche per aver detto peste e corna di Jeddah senza averla vista. Bene: ora l’abbiamo vista tutta ed eccoci qui. Avete assistito ad uno degli spettacoli più insulsi che la Formula 1 abbia messo in piazza negli ultimi anni, anche peggio di Spa. Vi sono piaciute due ore e mezza di gara? Due bandiere rosse? Vi sono piaciuti gli incidenti, le VSC ogni tre giri? Avete ancora un parere positivo dopo questo scempio? Se sì allora c’è un problema, ma non ve lo sto a spiegare. Perché sarebbe inutile, esattamente come Jeddah.

Immagine: Twitter / F1

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