Intervista esclusiva a Stefan Everts – Parte 2

di Federico Benedusi
federicob95
Pubblicato il 29 Maggio 2020 - 10:00
Tempo di lettura: 17 minuti
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Intervista esclusiva a Stefan Everts – Parte 2

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Di seguito proponiamo la seconda e ultima parte della lunga intervista che Stefan Everts ha concesso a P300.it.

Si comincia dall’incontro con Michele Rinaldi per arrivare alla carriera del figlio del dieci volte iridato, Liam, passando per le pur fugaci esperienze nell’Enduro e nel Supercross e per un parere sul mondiale MXGP attualmente in corso.

Come è avvenuto il contatto tra te e Michele Rinaldi? Che ruolo ha avuto nella tua “rinascita” questa persona, che conosceva così bene anche tuo padre?
“Partì tutto da Michele. Stavo attraversando un periodo difficile, con i miei infortuni del 1999 e del 2000, cominciammo a parlare della stagione successiva. Dovevo ancora rioperarmi al ginocchio, all’inizio di agosto, ma lui confidava molto in me, pensava che sarei tornato ad essere un campione e aveva ragione. Dovevo risolvere i vari problemi che avevo con il team, con Husqvarna, con i meccanici, con gli sponsor, perché Grant scappò in Inghilterra e mi lasciò ad affrontare tutti i problemi da solo. Alla fine la persona cattiva ero io, anche se era stato lui a creare tutta questa situazione. E in più dovevo operarmi e fare riabilitazione, ricostruirmi fisicamente. Quando sono tornato da Grobbendonk, a fine luglio, andai a casa dei miei genitori, mi misi a piangere perché non sapevo più cosa fare: il ginocchio e il braccio stavano male, ero arrivato al punto più basso possibile, l’unica cosa che avevo era la fiducia in me stesso, nel mio ritorno alla vittoria, quella scintilla non si era mai spenta. Prima di tutto, però, dovevo sistemare tutti i miei problemi, anche fisici. Ho richiamato mio padre e il mio allenatore, molta gente dai miei anni passati, la mia relazione con Kelly (sua moglie, ndr) è diventata più forte e lei mi ha aiutato ad uscire da questa situazione difficile. Non ho mai dubitato di me stesso e del mio ritorno in forma, con Yamaha e Michele sarebbe stato solo una questione di tempo. Arrivammo al primo Gran Premio del 2001, il primo con la manche unica, e tornai a vincere subito. Rinaldi ha avuto fiducia in me al punto più basso della mia carriera, lui è stato uno dei miei idoli d’infanzia perché correva insieme a mio padre e mi disse che mi avrebbe dato una chance. Fu una cosa fantastica, qualcosa che non dimenticherò mai, rispetterò per sempre Michele e il suo team. Abbiamo sempre lavorato bene anche se non è sempre stato facile andare d’accordo su certe cose, abbiamo avuto anche qualche grossa discussione, su qualche corsa internazionale da disputare anziché no o su come sistemare la moto in certe occasioni, ma questo ha reso il nostro rapporto sempre più interessante”.

Quanto era sentito, in Belgio, il duello mondiale della 500cc tra te e Joël Smets? Cosa ha significato per te tornare a vincere un titolo, diventando il secondo e ultimo “Mr. 875”?
“Non avevamo mai corso davvero uno contro l’altro a livello mondiale, il 2001 fu la prima volta che ci giocammo lo stesso titolo. In passato avevamo corso qualche gara nazionale insieme, spartendoci diverse vittorie e facendo bei duelli. In generale fu una battaglia molto interessante più per la stampa e per i fans. In passato avevamo avuto qualche schermaglia sui giornali e cose simili, ma niente di importante. Alla fine è questo ciò che la gente vuole, bisogna creare più spettacolo per i fans, fare del gossip. Abbiamo reso il nostro sport molto popolare in Belgio, lo era già grazie a tutti i campioni passati ma io e Smets abbiamo attirato molti fans con le nostre battaglie dentro e fuori la pista, insieme anche a Bervoets che era il terzo incomodo. La stagione 2001 è stata molto interessante proprio perché finalmente si sarebbe visto il più forte tra noi. Joël è sempre stato un grande combattente ma forse mancava sulla tecnica, in gara era aggressivo e molto forte fisicamente ma sapevo che la tecnica di guida avrebbe costituito il mio vantaggio e in tante occasioni è andata proprio così”.

Ernée 2003, la giornata che ha consacrato una volta di più la tua leggenda. Quanto è stato difficile prepararsi per un weekend del genere, specie considerando che in quell’occasione ti giocavi anche il titolo della 125cc?
“In realtà non mi sono mai considerato veramente in lotta per quel titolo, anche ad Ernée non mi presentai al cancelletto con l’idea di poter vincere il campionato. Se ci ripenso ora sì, avrei potuto correre anche le prime gare e vincere un 11° titolo, ma non si può più cambiare la storia. Ho vinto e ho perso durante la mia carriera, se ne potrebbe discutere per anni. L’idea è nata quando ho vinto il titolo della MXGP a Loket, perché altrimenti non avrei mai ricevuto il permesso da Yamaha per correre tutte e tre le gare. Il titolo della MXGP era la priorità, il resto era di contorno. Anche il correre in 125cc rappresentava un riscaldamento per la MXGP, perché dopo i primi tre Gran Premi mi sentivo in difficoltà e mi sentivo bloccato dal fatto di correre un’unica manche, tutto o niente. Faticavo ad adattarmi mentalmente a tutto questo. Quindi Michele ebbe l’idea di correre anche in 125cc come riscaldamento, senza ambizioni di vittoria, perché mi avrebbe mentalmente aiutato in vista della MXGP, e funzionò. A Montevarchi corsi entrambe le classi per la prima volta e vinsi facilmente entrambe. Dopo avere vinto il titolo a Loket l’idea nacque quasi per scherzo da Pascal Haudiquert, un giornalista. Durante la conferenza stampa mi chiese se ci fosse stata la possibilità correre tutte e tre le gare ad Ernée e io risposi ‘uhm, sembra interessante!”. Chiamammo in Yamaha con questa proposta e anche se eravamo un po’ in ritardo ci diedero l’ok. Avrebbero dovuto costruire una moto in più, in concordanza con le regole FIM. In sostanza era la stessa moto che usavo in MXGP ma con una cilindrata più grossa, non ci fu bisogno di una grande preparazione. Durante le prove stabilimmo che avrei dovuto girare il meno possibile, per restare in forma in vista della domenica, e fu un gran weekend. Leggendario. Non mi aspettavo di poter vincere tutte e tre le gare ma ci riuscii. Anche grazie a Smets, devo dire, perché cadde al secondo giro della 650cc e io avevo già corso due gare, a differenza sua che aveva fatto solo la MXGP, quindi anche se non mi sentivo stanco sarei stato sicuramente meno in forma di lui in caso di duello. Quando cadde capii che era la mia occasione, ma poi arrivò Javier García Vico e mi accorsi che ancora non era finita. Mi rimase davanti per qualche giro ma poi cadde a sua volta nella zona del traguardo, in quel momento andai oltre la stanchezza e diedi fondo alle ultime energie. Se qualcuno, quella sera, mi avesse chiesto se lo avrei rifatto, avrei risposto sicuramente di no. Ero finito!”.

A completamento di quel 2003 trionfale è arrivata anche la vittoria individuale nella 6 Giorni di Enduro in Brasile. Raccontaci di quell’esperienza.
“L’idea venne da Franco Acerbis, che ogni tanto organizzava la 6 Giorni, specialmente quelle in Sud America. Acerbis era uno dei miei sponsor principali e mi chiese se volevo partecipare alla 6 Giorni in Brasile. Risposi positivamente, era compatibile con il mio programma. Fu un lungo viaggio tra Giappone, Brasile e Messico, dove trascorsi un periodo di vacanza. Passai un mese in giro per il mondo. La 6 Giorni fu una bella esperienza, non avevo mai corso in Enduro, mi dovettero spiegare tutto il funzionamento e soprattutto come cambiare le gomme in non più di dieci minuti. Il mio coach era Johan Boonen, mi aiutò molto, facemmo pratica non-stop per due settimane. All’inizio impiegavo circa 25 minuti e mi chiedevo come si potesse migliorare, ma con tanto allenamento me la cavai. Nei primi giorni ci fu una bella battaglia con Stefan Merriman, eravamo molto vicini, ad un certo punto non ricordo cosa gli successe ma perse molto tempo nell’ultima giornata, che aveva percorsi in stile supermotard e motocross. La difficoltà principale era quella di restare in moto per cinque ore al giorno, la terza giornata fu la più complicata, ma alla fine andò tutto bene”.

Nel 2006 sono arrivati il tuo decimo titolo mondiale, vinto proprio a Namur, e la tua vittoria #100 a Lierop. Avresti mai pensato di poter arrivare davvero così in alto, all’inizio della tua carriera? Cosa hanno significato per te questi traguardi?
“Di certo non avrei mai pensato di arrivare a 100 vittorie. Il giorno in cui arrivai a 50, però, ricordo che Joël Robert salì sul podio, era a Namur nel 2001, e mi disse che sarei potuto arrivare a 100. Gli chiesi se fosse impazzito. Ma ebbe ragione. Ad Ernée nel 2003 mi disse che sarei arrivato a dieci titoli, quando salì sul podio a bere lo champagne con me: quando era ancora commissario tecnico del Belgio, a Nismes nel 1997, durante il party che organizzammo dopo la vittoria sfoderai il mio miglior francese per dirgli ‘hai vinto sei titoli, io ne voglio vincere sette e battere il tuo record!’. Lui rispose che ne sarebbe stato felice e che se lo avessi fatto, avremmo bevuto lo champagne insieme sul podio. Così fece e in quell’occasione mi disse che sarei arrivato a dieci titoli. Ebbe ragione un’altra volta. Ne abbiamo passate tante insieme, era un grande uomo, quando correvamo il Nazioni ed era il nostro CT era sempre positivo e ci facevamo sempre degli scherzi. Mi piaceva ascoltare tutte le storie che mi raccontava sulla sua carriera: di quando vinse il titolo in Russia, di quando corse con Steve McQueen nel giorno del Ringraziamento… sono ricordi bellissimi. Quando vinsi il decimo titolo a Namur fu davvero fantastico, non avrei mai potuto immaginare una conclusione di carriera migliore di questa, davanti al mio pubblico. Mi ritengo molto, molto fortunato ad avere potuto vivere momenti del genere. All’inizio della carriera di certo non ti poni obiettivi del genere, tutto si sviluppa durante la tua carriera. Mi sarebbe piaciuto quantomeno arrivare al livello di mio padre, poi sono arrivato ai titoli di Robert, che era già tanto… poi più vinci e più vuoi vincere. Nell’ultima stagione pensai al decimo titolo e alle 100 vittorie, dedicai tutta la mia preparazione a quello, era la motivazione extra. Poi c’erano tanti avversari, penso a Tortelli o a Mickaël Pichon, che si infortunarono pure presto, ma ero troppo concentrato sulla vittoria di quel decimo titolo, nulla e nessuno avrebbe potuto distogliermi da quell’obiettivo. Tortelli mi aveva battuto otto anni prima ma non mi interessava, ero nella mia bolla, su un altro livello”.

Cosa ricordi del Nazioni 2006? Per te fu una conclusione di carriera davvero trionfale, vincendo entrambe le manche che disputasti…
“Individualmente feci molto bene, come team arrivammo secondi. Siamo arrivati secondi molte volte e penso che avremmo potuto vincere molto di più, ripenso al 1992 quando ebbi un problema con la mousse di una ruota e dovetti ritirarmi con una gomma a terra perché non mi diedero la mousse, mentre ad altri piloti sì. Dopo Foxhill 1998, Matterley Basin 2006 fu un altro weekend leggendario, avrei voluto vincere anche come team ma fu comunque una grande giornata per me. Molte persone ricordano ancora il mio duello con James Stewart. Rimasi impressionato dalla folla, c’erano 70-80 mila persone, fu incredibile vedere così tanta gente ad un evento in Europa e una grande gioia fare quello che feci davanti a tutte queste persone. Non sono cose che si dimenticano facilmente, fu un altro grande highlight della mia carriera”.

Non tutti ricordano che tu hai esperienze anche nel Supercross. Hai partecipato ad alcune gare del vecchio campionato mondiale nel corso degli anni ’90 e nel 1992 hai disputato anche qualche evento della serie americana. Che esperienza fu? Ti si è mai presentata l’opportunità di correre negli USA a tempo pieno?
“Ho avuto qualche opportunità, sì. Alla fine degli anni ’80 il Supercross divenne molto popolare in Europa e all’inizio della mia carriera ero solito fare motocross in estate e supercross in inverno. Ero giovane e non lo sentivo faticoso, almeno fino ai primi infortuni. Durante quel periodo sognavo l’America, ma la mia prima ambizione era quella di vincere il mondiale 250cc già nel 1992. Nel corso di quell’inverno corsi nel Supercross AMA per scoprirne il sistema e per fare esperienza. Ricordo di avere avuto dei grossi incidenti, ma mi divertii molto. Nella mia prima gara a Houston, una delle migliori direi, rimasi terzo per gran parte della finale ma non ero sufficientemente preparato a livello fisico e arrivai nono. Quindi tornai in Europa e vinsi a Beaucaire, ero molto veloce e mi sentivo davvero in forma arrivando dal Supercross. Avevo ricevuto una nuova moto da Suzuki ma alla fine non andò come mi aspettavo. Volevo vincere il mondiale nel 1992 per poi andare negli USA nel 1993 ma questo non accadde, poi impiegai fino al 1995 per vincere il titolo della 250cc e a quel punto il mio manager mi disse che stavo salendo di età e che durante l’inverno avrei cominciato ad avere bisogno di una pausa. Quindi decisi che l’America sarebbe rimasta un sogno nel cassetto e mi concentrai totalmente sul mondiale. Più tardi, nel 1999, ricevetti una proposta da Roger de Coster per andare a correre nel National l’anno successivo, ma in quel caso a decidere di rimanere qui furono il mio ginocchio e il mio contratto con Husqvarna, altrimenti avrei potuto decidere di correre in Suzuki, negli USA. Il tutto nacque quando vinsi gara-1 nel mondiale a Glen Helen, de Coster rimase impressionato dalla mia guida e prese in considerazione di portarmi negli Stati Uniti. Le piste outdoor americane sono più simili a quelle di Supercross, con grandi salti, ma mi adattai piuttosto velocemente”.

Come è stato l’avvicinamento al mondo del motocross di tuo figlio Liam?
“Esattamente come me, Liam è stato portato in pista sin da piccolissimo. Anche lui è cresciuto sui campi di gara. Ho smesso quando lui aveva due anni e sicuramente non ricorda molto di quel periodo, ma quando ho cominciato a lavorare in KTM ha continuato a frequentare le gare insieme a me. È cresciuto osservando un sacco di campioni come Antonio Cairoli, Jeffrey Herlings, Ken Roczen e Marvin Musquin. E pochi ricordano che il giorno in cui mi ritirai Michele Rinaldi lo mise sotto contratto e questo fece molto scalpore. Mi hanno detto che la Gazzetta dello Sport scrisse che Yamaha fece a Liam un contratto triennale da un euro a stagione, infatti la prima moto che ricevette fu proprio una Yamaha, all’età di quattro anni. Il contratto venne onorato. Poi, quando è cresciuto, è salito sulla KTM”.

La stagione 2020 di Liam è iniziata con una schiacciante doppietta nell’europeo 125cc a Matterley Basin e con un sesto posto nell’europeo 250cc a Valkenswaard. Quali miglioramenti hai notato in lui rispetto agli anni scorsi e quali sono i suoi obiettivi per il futuro prossimo?
“L’importante al momento è che cresca a livello fisico, come altezza e come peso, perché adesso è ancora molto giovane, quindi è difficile giudicare qualcuno che non si è ancora formato del tutto. Sta guadagnando massa muscolare e anche qualche centimetro in altezza. A Matterley Basin abbiamo visto veramente il potenziale di Liam, per la prima volta ha fatto vedere cose importanti. Penso che abbia un buon potenziale per il suo futuro, può seguire le orme del nonno e del papà anche se ovviamente nulla è garantito in anticipo. Ha ottenuto solo una vittoria, ha tante cose da dimostrare ancora, ma sicuramente ha motivazioni e ambizione per diventare un campione, non bisogna andare troppo veloce ma è meglio affrontare le cose per gradi. Non è ancora forte, pesante e fisicato a sufficienza per dire che possa davvero lottare contro i ragazzi un po’ più grandi, che hanno anche più esperienza, ma ora sta arrivando ad un punto in cui si possono apprezzare dei miglioramenti concreti. Nei prossimi due anni potrebbe diventare un pilota in grado di correre nel mondiale, già ora si può notare una certa differenza fisica con ciò che era a Valkenswaard. Cresce giorno dopo giorno quasi! La velocità sta migliorando, nelle curve ha sempre avuto un’ottima percorrenza sin da piccolo, il resto arriverà, siamo pazienti e l’importante per me è che ora resti lontano da infortuni gravi, bisogna restare concentrati sul non correre troppo e sul non allenarsi troppo. Deve trovare un equilibrio, abbiamo un buon feeling ed è un ragazzo che ascolta molto e ha una sua opinione su tutto. Tutto questo è molto importante. Vuole imparare, chiede sempre consigli e ha grande passione. Per quest’anno la priorità è la 125cc ma gareggerà anche con la 250cc quando sarà possibile, poi vedremo cosa arriverà, forse qualche gara nel campionato tedesco ma al momento in quel calendario sono rimaste solo le ultime due gare, quindi è probabile che le possa correre con la 250cc per fare più esperienza, perché l’anno prossimo correrà con quella. A Valkenswaard abbiamo svolto un bel test, perché quest’anno la pista era molto tecnica e non molto veloce, non c’era asciutto e questo lo ha aiutato. Mi aspettavo che corresse delle buone gare, ma è andato anche oltre le aspettative. In gara-1 stava correndo per arrivare nei primi cinque, in gara-2 ha fatto una bella rimonta dopo una cattiva partenza arrivando sesto dopo la squalifica di Kay de Wolf. Ha lottato fino alla fine, anche in gara-2 quando la pista era più difficile”.

Come vedi la sfida mondiale della MXGP al ritorno in pista? Sarà solo Herlings contro Gajser o qualcun altro potrà fare da outsider?
“Di sicuro questo stop ha dato modo a Cairoli, a Febvre e a Prado di tornare più in forma. Gajser mi è sembrato davvero a posto nelle prime gare, mi ha impressionato molto quando ha vinto gara-1 a Valkenswaard contro Herlings, pista su cui normalmente nessuno può batterlo. Herlings può anche dire di essere un pilota differente, che non corre più per vincere ogni manche, probabilmente è anche così, ma sono rimasto davvero impressionato da quello che ha fatto Gajser a Valkenswaard su una pista in cui Herlings è sempre stato imbattibile. Credo che Gajser possa avere la possibilità di vincere ancora. Poi anche Prado sarà in forma: non gli davo concrete possibilità di vincere il titolo a causa del suo infortunio, ma è un pilota super talentuoso, ha uno stile di guida molto facile dal punto di vista tecnico, che non gli costa tante energie, e anche come tattica di gara è molto intelligente per essere un ragazzo così giovane e con così poca esperienza. Corre nel mondiale da cinque anni, quello che ha fatto in questo breve periodo è impressionante e questo la dice lunga su quello che potrà fare in futuro. Dopo questo stop per il Coronavirus potrebbe avere ancora la possibilità di recuperare e di competere per il campionato, una volta ritrovato il 100% della forma. Poi dipenderà da quante gare si correranno, credo che tra settembre e novembre si andrà davvero a tutto gas qualora dovessimo avere il via libera dai vari Governi”.

La gioia più grande e la delusione peggiore della tua carriera.
“Credo che la mia più grande gioia sia quella di essere diventato padre, è stato incredibile, un miracolo. Alla fine diventare padre è stato anche parte della mia carriera. La più grande delusione è stata quella di essere afflitto dalla malaria, ha cambiato davvero la mia vita. Questo non c’entra nulla con la mia carriera, ho vissuto alti e bassi per i miei infortuni ma questi fanno parte della vita da pilota, la malaria è stata una cosa differente”.

Ringraziamo Stefan Everts per la lunga chiacchierata e per il tanto tempo concessoci e auguriamo a lui e al figlio Liam un ottimo proseguimento di stagione.

Immagini: gatedrop.com, memotocross.fr, dirtbikemagazine.com, Flickr, vitalmx.com, Pinterest, 2000sMotocross Instagram, yamaha-motor.fr, motoblog.it, mxgp.com, dirtbikelover.com, crash.net, mxtribe.com

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