Piercarlo Ghinzani, classe 1952, è uno dei piloti più rappresentativi della pattuglia tricolore italiana degli anni ’80. Ha raccolto meno di quello che avrebbe meritato nella sua carriera, sia in F1 che con le vetture sport, ma ha saputo entrare nella mente degli appassionati grazie alla sua professionalità, nonostante parecchia sfortuna soprattutto a livello dei mezzi tecnici che ha guidato.
P300.it ha avuto il piacere di rivolgere qualche domanda al pilota bergamasco, soprattutto sul periodo in F1 in particolare quello della leggendaria Ligier.
Ci può raccontare come aveva vissuto il passaggio obbligato dal motore Alfa a quello Megatron e se ancora oggi, per lei, le dichiarazioni di Arnoux contro l’Alfa avevano accelerato l’uscita del motorista italiano?
“In quel periodo la Fiat aveva appena acquistato l’Alfa Romeo e il programma F1 ereditato dalla vecchia direzione era al vaglio del nuovo consiglio di amministrazione. Le dichiarazioni negative di René Arnoux sul motore arrivarono veloci a Torino, dove decisero seduta stante di bloccare il progetto motore Alfa Romeo F1. Io lo vissi con preoccupazione non sapevo cosa sarebbe successo da lì in avanti, poi il patron Ligier risolvette con i motori Megatron che però, adattati ad un telaio fatto per l’Alfa Romeo molto più piccolo e basso, misero in crisi il buon rendimento del telaio”.
Come era avvenuto il suo passaggio in Ligier e che differenza c’era tra il turbo Alfa e quello Megatron-BMW?
“Io fui proposto a Ligier dall’ing. Gianni Tonti, allora capo Autodelta Alfa. Il motore Alfa andava bene, necessitava ancora di affidabilità ma aveva ottime caratteristiche, era piccolo e in alluminio leggero. Il BMW era grosso e pesante e la potenza era più o meno uguale, con la valvola pop-off”.
Nonostante una JS29 sbilanciata e pesante siete riusciti soprattutto ad inizio stagione a fare qualche gara discreta, cosa ricorda del 1987?
“Ricordo che ero in un team francese con sponsor francese e con un pilota francese come prima guida. Esistevano gomme di categoria A mentre a me erano assegnate le B, più dure, per non infastidire la prima guida. Per quanto riguarda i risultati qualcosa si era ottenuto, ma poco rispetto alle prospettive iniziali”.
Ci racconta quando eravate costretti a restare ai box, penso soprattutto a Monza, perché i motori esplodevano ed erano pochi?
“In quel periodo nei motori esisteva grande movimentazione tra i dodici/dieci/otto cilindri aspirati e gli otto/sei/quattro cilindri turbo. Chi aveva il più potente vinceva. La rincorsa alle potenze senza elettronica, o con quasi nulla, creava molte rotture per il cambio temperature esterne”.
Cosa significava da pilota correre nella F1 turbo anni ’80 e che tipo di monoposto erano?
“Negli anni ’80 i telai erano in tubolare di ferro pannellati in alluminio. Se li guardo oggi, con occhi da maturo, vedo delle casse da morto verniciate con bei colori”.
Parlando del progetto Zakspeed, cosa ricorda soprattutto di quel motore?
“Io ho corso quando avevano il motore turbo, niente di quella macchina era speciale”.
Ultima domanda: il ricordo più bello legato alla F1 e anche della sua carriera da pilota.
“Avere qualificato macchine che sulla carta non avevano potenziale da qualifica, per il resto non ho mai avuto macchine da podio. Tante volte ci sono arrivato vicino, ma per rotture meccaniche non è mai arrivato”.
Ringraziamo Piercarlo Ghinzani per la sua disponibilità.
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