Intervista a Kevin Schwantz: “La mia vita in Suzuki”

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Tempo di lettura: 13 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
19 Giugno 2022 - 15:30
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Kevin Schwantz e Suzuki sono parole che dovrebbero essere unite e nemmeno separate da uno spazio, tanto è forte il legame tra il pilota texano e la squadra di Hamamatsu. Una storia iniziata a metà anni ’80, quando Kevin dagli USA si trasferì in Europa per iniziare a scrivere pagine leggendarie del motociclismo mondiale.

Il mondiale vinto nel 1993 a coronamento di anni in cui l’appuntamento con il numero 1 sembrava non arrivare mai è l’apice di una storia in cui la parola “tradimento” non è quasi mai stata contemplata: nemmeno tra il 1989 e 1990, quando un precontratto firmato con la Yamaha di Giacomo Agostini aveva fatto tentennare Kevin, “stanco” dopo una stagione che lo aveva visto sfortunato protagonista di diverse rotture meccaniche della sua RGV; un intervento dei vertici Suzuki e Yamaha mise la parola fine al passaggio del #34 al team di Agostini dove arrivò il cavallo di ritorno, con in dote il numero 1, Eddie Lawson.

Erano gli anni del gentlemen agreement tra Case giapponesi, la Golden Age del mondiale di motociclismo con piloti del calibro di Wayne Rainey, il già citato Lawson, Michael Doohan e Wayne Gardner. Le stagioni in cui la strapotenza di Kevin, così come la sua frenesia, vennero fuori furono soprattutto quelle tra il 1989 e il 1991. Sono tre anni in cui Schwantz vinse in tutto 16 gare e fu capace imprese leggendarie come il mitico sorpasso a Hockenheim su Rainey. Una manovra che ancora oggi è tra le più cliccate di YouTube per spettacolarità e pazzia.

Ma sono anche le stagioni della inferiorità tecnica della Suzuki rispetto a Honda e Yamaha e anche degli infortuni ai polsi che condizioneranno negli anni a seguire la carriera di Schwantz. Sono questi gli anni in cui il pubblico si innamora di di Kevin, grazie anche a livree iconiche della RGV #34 sponsorizzata prima Pepsi e poi Lucky Strike. Il titolo conquistato proprio nella stagione in cui il suo primo rivale in pista ma amico fuori, Rainey, lasciò definitivamente le gare dopo la tremenda e tragica caduta di Misano non ripaga nel migliore dei modi quello che dimostrò Kevin in pista. Paradossalmente quel titolo è stato il canto del cigno di Schwantz, che dal 1994 e con il numero 1 al posto del 34 iniziò una parabola discendente causata soprattutto dai guai fisici.

L’ultimo capitolo venne scritto al Mugello la stagione successiva, in una conferenza stampa dolorosa e terribilmente emozionante nella quale Kevin, con gli occhi gonfi di lacrime, annunciò il ritiro dalle competizioni. P300.it ha avuto l’onore di intervistare il campione americano e nelle sue parole leggerete la sua vita, perché di questa si tratta, in Suzuki.

Kevin, forse in tanti ti hanno già fatto questa domanda, ma vorrei sapere che cosa rappresenti per te la Suzuki, oggi?

La Suzuki per me è un marchio fantastico, ci ho basato la mia carriera e anche se ha passato momenti difficili, come il ritiro dalla MotoGP, ho costruito la mia vita attorno a lei; non dico inizialmente sin da ragazzino, ma per quanto riguarda la mia carriera nelle corse. Mi fa piacere vederla andare bene e quando è davanti in gara.

Qual è stato il tuo primo approccio con la Suzuki e quali erano le tue aspettative, quando hai iniziato la tua carriera?

La mia prima opportunità con la Suzuki è arrivata alla fine del 1984, quando seppi che stava cercando un nuovo pilota, riuscì a mettersi in contatto con Yoshimura e chiese di farmi provare. È stato più questo contatto con Yoshimura e Don Sakakura, in parte sostenuti dalla Suzuki ai tempi ovviamente, che ci avrebbe portato nel 1986 ad avere la GSX R, quindi abbiamo corso con la GS 700 nel 1985.

Che cosa ha rappresentato per te la vittoria di Suzuka 1988?

La mia prima vittoria a Suzuka nel 1988 è stata fantastica. Avevo appena vinto la Daytona 200, mi ero fatto male a un braccio durante le prove, quindi non ero sicuro che sarei stato al 100%; certamente non lo ero per la Daytona 200, ma per il Gran Premio in Giappone… Ero andato a fare dei test prima della Daytona 200 ed erano andati bene, quindi mi sentivo piuttosto sicuro di me. Aveva piovuto tutto il weekend e finalmente solo alla domenica era arrivato il sole, per cui avevamo avuto solo 20 minuti per fare il set-up alla moto, scegliendo quello con cui avevamo fatto i test, trovandoci a essere i più vicini a quello giusto. Gardner aveva fatto un errore verso la fine e per me vincere il mio primo Gran Premio è stato lasciare una grossa impronta nella mia prima stagione completa. Mi sono sentito molto sicuro di me poi per il resto della stagione, e nel mentre stavamo sviluppando una nuova moto; non era di certo la più veloce sui rettilinei, ma ci ha portato qualche buon piazzamento e avevamo anche vinto in Germania, più avanti nella stessa stagione. Nel 1988 ho avuto un grande inizio con la Suzuki.

Nel 1989, hai vinto 6 Gran Premi ed eri il più veloce il pista, quanto deve essere stato frustrante non vincere il mondiale, che avresti probabilmente meritato?

Non c’è dubbio che nel 1989 avessimo la moto migliore, tuttavia abbiamo avuto qualche problema meccanico per ben tre volte e per tre volte ho avuto incidenti. Guardo al 1989 e dico che probabilmente con più esperienza avremmo vinto quella stagione, nonostante i problemi meccanici. È stata una stagione di apprendimento. È comunque stata una delle moto migliori che io abbia mai guidato. Sì, penso che lo avremmo vinto, se non avessimo avuto problemi e se avessimo avuto più esperienza tra team e piloti.

Dopo 33 anni, puoi dirmi le trattative del tuo allora possibile passaggio in Yamaha? Giacomo Agostini ti aveva voluto molto.

Alla fine del 1989 pensavo che il team di Agostini fosse il migliore dove potessi andare. Nonostante io nel 1989 avessi guidato una delle moto migliori che potessi avere nel paddock, con tutti i problemi meccanici avuti, volevo fortemente correre per Agostini. La Yamaha si dimostrò un po’ interessata, ma allo stesso tempo la Suzuki era disperatamente intenzionata a tenermi. Quello è stato il momento in cui sono stato molto vicino dal lasciare la Suzuki e io mi ero già deciso a farlo, ma la Yamaha poi disse di no.

Nel 1990, la Suzuki era abbastanza competitiva e hai vinto 5 Gran Premi, ma il titolo andò a Wayne. Da un punto di vista tecnico, ti ricordi il distacco che avevate con la Yamaha?

Nel 1990 eravamo tutti abbastanza ravvicinati, la Suzuki anche nel 1991 era sempre una buona moto, ma inconsistente, in alcune piste andava molto bene, in altre assolutamente male. Non trovavamo quella consistenza necessaria per competere, soprattutto contro Wayne che ha reso la Yamaha la moto che era. Nelle curve lunghe la Yamaha teneva tutta la curva, mentre invece la Suzuki a metà non girava più e cominciava ad allargare, per cui dovevi aiutarti con la gomma posteriore. Non era proprio ottimale per il passo gara e la consistenza. La Yamaha era una buona moto nel 1991 e nel 1992, ma Wayne la faceva andare ancora di più.

Il 1991 era l’anno del sorpasso fenomenale a Wayne a Hockenheim. Dopo oltre 30 anni, questa manovra è diventata iconica. Che cosa pensi quando rivedi queste immagini?

Quando guardi a Hockenheim 1991, quella è la gara di cui di solito si vuole parlare quando si parla di corse in moto, e si parla sempre di quel sorpasso. Entrambi stavamo facendo di tutto per vincere, io pensavo di aver fatto tutto quello che serviva mentre Wayne aveva avuto la meglio su di me, e dovevo cercare di recuperare poco prima di entrare nella parte dello stadium e del rettilineo. È divertente da vedere in televisione: gli altri mi dicono sempre che alla fine è stata qualcosa da matti, decisamente Hockenheim 1991 è una di quelle cose per me memorabili.

Nel 1992 ci sono stati cambi tecnici sulla RGV che non ti hanno soddisfatto, puoi dirci di più?

In realtà non so bene quali cambiamenti tecnici ci siano stati nel 1992, non l’ho mai saputo. Io salivo in moto, la guidavo, non sono mai entrato nei dettagli tecnici, sospensioni, motori… Niente di tutto questo. Abbiamo avuto veramente tante difficoltà. Ma anche nella stagione negativa che è stata abbiamo raccolto abbastanza dati e alla fine del 1992 abbiamo avuto due grandi test, abbiamo fatto più test in quello che in altri anni, in assoluto. Forse cinque volte tanto. Ma è questo che ci ha reso più consistenti e forti nel 1993, siamo partiti con una vittoria in Australia, poi un terzo posto, un secondo e una vittoria appena arrivati in Europa. L’inizio del 1993 è stato il risultato di quanto imparato nell’anno precedente. Quel che ricordo del 1992 è che è stato orribile! (ride) ma il vantaggio è che tutti abbiamo lavorato per migliorare nel 1993.

Dopo un 1992 così difficile, provavi frustrazione per non aver vinto il mondiale?

Sai, se non avessi avuto un contratto, penso che avrei lasciato le moto alla fine del 1992. Ma grazie a tutti i test fatti e il lavoro con il nuovo team, alla fine si aveva la sensazione che il 1993 sarebbe stata una buona stagione, per quanto il 1992 sia stato negativo.

Che è successo nell’inverno del 1993, al punto da permettere alla moto di evolvere in maniera così importante, tanto da diventare competitiva?

Come ho detto prima, alla fine il merito è stato di aver testato molto più di quanto non avessimo mai fatto. Questo ci ha fatto migliorare molto nel set-up, nel motore, nel telaio, il merito va veramente a tutto il team e al lavoro dei giapponesi.

Dopo quasi 30 anni, qual è la prima cosa che ti viene in mente quando pensi al titolo vinto nel 1993?

Dopo 30 anni, la prima cosa che mi viene in mente è l’incidente di Wayne: avevamo avuto una gran stagione e tanta sfortuna a Donington, quando io, Mick [Doohan] e Barros siamo caduti al primo giro. Senza di quello, avremmo vinto il mondiale un pochino più comodamente. Ma la prima cosa che mi viene in mente è proprio Wayne, sinceramente nel mondiale avrei preferito arrivare secondo, che vedere lui ferito così.

Com’è stato gestire le tue emozioni nel finale di stagione, dopo quanto successo a Wayne a Misano?

Alla fine della stagione volevo festeggiare, mi sarebbe piaciuto di più avere anche Wayne a festeggiare con il team, perché andavamo piuttosto d’accordo al di fuori delle corse, ci divertivamo insieme, ci prendevamo una birra dopo le corse. Avrei anche potuto ritirarmi alla fine del 1993 se avessi voluto, al di là del 1992. Comunque poco prima dell’inizio della stagione del 1994 sono caduto dalla mia mountain bike e mi sono rotto un braccio: avevo quindi altro a cui pensare, oltre all’incidente di Wayne e al fatto che lui non fosse più lì. Mi sarebbe piaciuto battere davvero Wayne e sarebbe stato molto più speciale. Ed era più speciale quando lo battevo in pista.

Di recente, ho intervistato Alex Barros, che ha parlato molto bene di te. Che cosa mi puoi dire del vostro rapporto nei vostri 2 anni insieme?

Io e lui siamo stati compagni di squadra nel 1993 e nel 1994. Alex Barros era veramente giovane e penso che avesse una carriera brillante davanti a sé in Suzuki, ho anche pensato che se mi fossi ritirato nel 1994, senza proseguire nel 1995, lui e [Darryl] Beattie avrebbero potuto portare avanti la bandiera Suzuki. Lui ha aiutato me, io ho aiutato lui. Al Mugello faticava a qualificarsi e io gli ho detto “dai, ti aiuto io!”. Mi serviva per i punti e aveva la velocità necessaria. A Jerez, io e Wayne eravamo davanti di tre secondi e Barros ci aveva recuperato a tutta velocità, mi sono spostato, perché volevo proprio vedere che cosa fosse in grado di fare. Ironia della sorte, Wayne stava recuperando, io ho fatto un errore andando nell’erba, ma Barros a un certo punto è caduto, mi sembra alla Curva Nieto, regalandomi la vittoria. In alcuni momenti si vedeva la sua spaventosa velocità: forse non è stato così consistente come pilota, ma è stato sicuramente divertente come compagno di squadra da avere, con tanti buoni ricordi e momenti insieme.

Nel 1994 hai avuto una stagione sfortunata, ti chiedo se in condizioni fisiche perfette saresti stato in grado di lottare per il titolo contro Doohan?

Io e Doohan ci siamo scontrati un po’ di volte, prima di farmi male. La Honda era eccezionale, io ho ottenuto il record della pista a Jerez, all’ultimo giro nell’inseguirlo, e non è bastato. Sarebbe forse stata una battaglia migliore [se fossi stato in perfette condizioni fisiche], ma non sono sicuro che sarebbe comunque bastato per vincere contro la Honda.

La moto del 1994 era un’evoluzione di quella del 1993, ma che cosa non ha funzionato tecnicamente?

Penso che in realtà la nostra moto fosse ugualmente valida nel 1994, rispetto a quella del 1993. Era la Honda che aveva avuto molti più miglioramenti, la Suzuki aveva ancora qualche punto debole nel finire le curve più lunghe. Ma con la moto del 1993 ci saremmo potuti sedere sugli allori e non lavorare così tanto, il problema in realtà è che mi sono fatto male prima dell’inizio della stagione 1994 e ad Assen mi sono fatto ancora male. La Honda era un’ottima moto e aveva vinto le prime gare della stagione e ci abbiamo messo un po’ prima di batterla, mi sembra al Mugello… No [ci ripensa…] non nel 1994, forse era il Giappone, perché poi non ho vinto altro fino a Donington. Fondamentalmente, la nostra moto era una evoluzione del 1993, ma la Honda aveva fatto molti più test ed era migliorata molto di più rispetto alla propria moto dell’anno prima.

Quanto è stato difficile dire basta nel 1995, con la famosa e toccante conferenza stampa al Mugello?

È stato decisamente difficile dire addio allo sport nel 1995. La Suzuki comunque mi ha tenuto sotto contratto, lavoravo all’interno del team, aiutavo i nuovi piloti e continuavo a lavorare con gli sponsor. Annunciare l’addio al Mugello è stato sicuramente difficile ed emozionante.

A parte la moto del 1993, qual è stata la Suzuki migliore che tu abbia mai guidato?

Quella del 1993 è stata la moto migliore in assoluto che io abbia mai guidato. A parte quella, guardo a ciò che ho fatto con la moto del 1989 su alcuni circuiti, e anche quella sicuramente è stata una delle migliori. Un’altra ottima era quella del 1987, la GSX R con cui ho corso in USA, anche se sono caduto in testa alla Daytona e mi sono rotto un dito. Quando abbiamo trovato la sintonia giusta vincevo anche se facevo errori come le cadute a Daytona e Laguna Seca. Ci ho vinto comunque delle gare su quella GSX R nel 1987. Tutte e tre erano delle belle moto.

Qual è la tua vittoria più bella in Suzuki?

Decisamente quella a Suzuka nel 1991: avevamo problemi con la Dunlop e con quella gomma facevamo fatica a fare tutto, era una situazione orribile. Alla fine ho vinto, non solo battagliando fino al traguardo con Wayne, ma anche con Doohan e altri piloti giapponesi. Per me è la migliore vittoria che abbia mai avuto su una Suzuki.

Livrea Pepsi, o livrea Lucky Strike?

La livrea della Pepsi! È la moto dalla livrea più bella su cui sono mai stato… E con la quale sono caduto! (ride)

Un’ultima domanda, che cosa ne pensi del ritiro della Suzuki dalla MotoGP?

Il ritiro di Suzuki dalla MotoGP è stato un momento sicuramente triste, ha fatto parte della storia della MotoGP per così tanto… Si erano già ritirati già anni fa e poi erano tornati di nuovo dopo qualche stagione. È comunque triste questo ritiro, ma la MotoGP è una competizione molto costosa, è molto difficile da sostenere, e bisogna trovare sponsor disposti a farlo. Qualsiasi ragione ci sia dietro questo ritiro, di sicuro da un punto di vista economico saranno buone ragioni. Magari tra qualche anno ritornerà.

Si ringraziano Kevin Schwantz per la sua disponibilità e ad Alessandra Leoni per la collaborazione.

Immagine: ANSA

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