Intervista a Erik Comas: una vita dedicata al motorsport

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Tempo di lettura: 12 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
5 Maggio 2020 - 09:00
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Erik Comas non è solamente un ex pilota di F1 di metà anni ’90 che tutti noi ricordiamo, ma è un uomo di motorsport a 360°. Cinquantasei anni compiuti il 28 settembre scorso, il pilota di origini francesi e naturalizzato svizzero ha raggiunto una maturità sul piano professionale e personale del quale può andare fiero. Ha vinto tanto nella sua carriera, dalla pista ai rally che negli ultimi anni sono diventati parte attiva di una passione che da sempre è stata dentro di lui.

In questa intervista che gentilmente ha concesso a P300.it, Erik ci ha raccontato la sua carriera con gli ultimi anni che possono essere riconducibili ad un nome: Lancia Stratos.

Erik, intanto ti chiedo come stai e come passi anche tu questo periodo così difficile legato al Covid-19

“È un periodo estremamente difficile per tutti, ma la vita di coppia la rende molto più facile se sei con la persona giusta. Dopo due anni di matrimonio è un’ottima prova per vedere la solidità delle relazioni coniugali ma anche la resistenza alle informazioni eccessive di cui ognuno deve fare una cernita. Siccome Raffaella insegnava sia Marketing che Pilates, stiamo alternando progetti di eventi (come quello che avevo programmato il 15-17 maggio nel biellese per un gruppo di clienti svizzeri) ad allenamento ginnico quotidiano, mi ha fatto scoprire dei muscoli dorsali di cui non conoscevo l’esistenza!”.

Tanti appassionati ti ricordano per la tua esperienza in F1, ci dici da dove nasce il tuo amore per la Lancia Stratos?

“Dal Rally di Montecarlo del 1979, con l’ultima vittoria di Darniche. Avevo 15 anni, ma il rally passava nella mia città e questa macchina, insieme all’Alpine, mi ha sempre affascinato. Ho posseduto due versioni stradali e due Gruppo 4 nella mia vita”.

Hai scritto un libro su questa vettura e hai vinto corse dal nome leggendario con la Stratos, quanto è stato difficile iniziare un percorso di questo tipo?

“La parte più difficile è stato trovare un preparatore all’altezza delle mie ambizioni sportive e che non mi considerasse un ‘americano’. Ho comprato la mia prima Gruppo 4 nel 2011 con l’idea di partecipare nuovamente al Tour de Corse storico e poiché questa vettura era dotata di un motore ad iniezione ho scelto di riportarla presso il preparatore italiano dell’epoca. Non è stata una buona idea, avrei dovuto informarmi maggiormente sul loro palmarès: tre ritiri ai loro tempi e tre con me tra il 2011 e 2013! Sono rimasto con loro un anno di troppo e nel 2014 mi hanno preso in giro con una preparazione indecente per il Tour de France automobilistico che avevo vinto l’anno precedente per miracolo nonostante sia rimasto senza benzina al termine di una prova speciale. Mi sono fermato nella seconda speciale in seguito alla rottura del motore e da una perizia dettagliata sono emersi sette errori gravi di assemblaggio e di scelta errata dei pezzi, neanche un apprendista meccanico avrebbe potuto fare un lavoro peggiore. Si sono succeduti altri quattro preparatori svizzeri, italiani e francesi con più o meno successo fino a quando ho incontrato Andrea Chiavenuto di Biella, nel 2017. Finalmente una persona umile, competente e onesta. In realtà ero venuto a Biella per la prima volta nel 2014 per cercare un preparatore dell’epoca, il che si rivelò un insuccesso visto il ritiro al Rally Lana. Tra tutti, Andrea fu l’unico a non aver mai toccato una Stratos in precedenza e forse quella è stata la sua forza. Nessuno prima di lui è riuscito a riportare al livello di un tempo la “bella italiana”, la sua intelligenza tecnica gli ha permesso di analizzare i punti deboli e gli elementi a rischio guasto. Gli altri, convinti del loro know-how, non hanno mai messo in discussione il loro metodo, certamente sufficiente per un gentleman driver che fa due raduni all’anno. Il mio obiettivo non è mai stato quello di vincere il raggruppamento, ma l’assoluto. Dare un settimo titolo internazionale alla Stratos 40 anni più tardi è stata una delle più belle soddisfazioni della mia carriera, perché l’ho fatto per la mia passione per quest’auto, non per il mio curriculum personale”.

I rally sono una tua grande passione, quanto hanno influito nella tua carriera di pilota? C’è un pilota (di rally) che hai sempre ammirato?

“Il rally è più spettacolare e ho guidato molto sulla neve prima di iniziare a correre con i kart, quando avevo già 19 anni. Il kart era la formula più economica, sono stato campione di Francia 1983 spendendo l’equivalente di 10.000€ di oggi. Andruet e Ragnotti sono stati i miei preferiti perché erano molto veloci ma anche molto simpatici, nonostante caratteri molto diversi. Ho avuto la fortuna di trascorrere un anno con Ragnotti nel 1987, quando alternava i rally con la R11 Turbo Philips e il campionato francese di superproduzione con la R5 Turbo, che ho vinto. Sono sempre stato molto performante sui circuiti cittadini, come Pau e Monaco, o su quelli tecnici come Croix en Ternois, dove ho ottenuto la mia prima vittoria in monoposto nel 1985, e questo fece dire a tutti che anch’io avrei potuto fare carriera nei rally. Era il mio sogno da bambino e ho deciso di viverlo con le auto della mia gioventù, prima la A110 e poi la Stratos. Ho conosciuto anche François Chatriot e Didier Auriol, che sono emersi nei rally quando ho iniziato a impormi in circuito, e più recentemente sono diventato amico con Piero Liatti, un altro talento immenso della mia generazione”.

Che soddisfazione ti ha dato vincere con la Stratos l’europeo FIA per vetture storiche, battendo vetture ben più recenti?

“La Stratos è un’auto nata in anticipo sui tempi e vi ricordo che la Lancia ha chiesto alla Pirelli un pneumatico specifico e più stabile dei precedenti. Così hanno creato il P7. Era un’auto splendida e coloro che ne disponevano all’epoca avevano una seria possibilità di vincere. Tre titoli mondiali, tre titoli europei e avrebbe potuto vincerne molti di più se la Fiat non avesse ordinato di metterla da parte per favorire la 131 Abarth. L’auto fu ovviamente superata dalle Gruppo B e venne abbandonata. Dopo la mia vittoria al Tour de France Auto del 2013, 40 anni dopo Munari, ho deciso di rendere omaggio a questa vettura e agli uomini del team creando LanciaStratos.com e poi scrivendo «Lancia Stratos, Mito e realtà», l’unica opera in francese. Subito mi sono detto che il modo migliore per ricordarla sarebbe stato quello di farla vincere di nuovo e di organizzare un World Stratos Meeting. Il mio incontro con il CEO di Zenith Watches, Aldo Magada, è stato decisivo per il raggiungimento totale e completo di questo obiettivo: il titolo d’Italia storico nel 2015, il World Stratos Meeting nel 2016 e il titolo d’Europa storico nel 2017. La ciliegina sulla torta fu infatti, a differenza degli anni ’70, quella di potermi misurare con auto più moderne, come la Delta a quattro ruote motrici, e con veri rallisti come ‘Lucky’, che aveva corso all’epoca. Non ho mai potuto vincere una speciale in salita con i miei 250 cavalli, ma ero regolarmente il più veloce in discesa grazie alla leggerezza e all’agilità della Stratos. La mia auto fu preparata nel 1979 da Maglioli ed è in questa configurazione che ho corso, nel secondo raggruppamento, con 3 carburatori e 12 valvole. Questa macchina deve essere perfettamente impostata per andare veloce e la sua finestra di utilizzo è molto stretta, non è un’auto da gentleman driver, hai due o tre speciali per trovare il setup altrimenti non prendi molti secondi. Nel 2017 Andrea Chiavenuto ha fatto un perfetto lavoro di preparazione e manutenzione, il mio copilota Yannick Roche è stato perfetto come sempre e io non ho commesso alcun errore, i margini per la vittoria finale non hanno mai superato i 30 secondi dopo 150 km di prove speciali, questo dimostra quanto la competizione fosse serrata. Questo titolo internazionale è stato il settimo per la Stratos e probabilmente l’ultimo, non credo che avremmo potuto ripetere una seconda volta questa impresa nell’anno successivo, il 2018, quindi ho deciso di tenere il mio gioiello in garage conservandolo solo per un paio di passeggiate e raduni. È tuttora nella configurazione con cui ho vinto il titolo all’Elba”.


Qui trovate il media kit e l’articolo con foto e parole di quell’impresa:

https://www.lanciastratos.com/it/news/1-racing/34-quarantanni-dopo


Hai un programma futuro, sapendo della tua grande passione per le auto storiche? 

“Sono ancora un appassionato ma con dieci titoli in tasca non farei più un campionato completo, sicuramente potrei partecipare ad alcuni rally in futuro, però ho bisogno di trovare una nuova sfida, con la Stratos ho già dato”.

Cosa ne pensi dell’attuale valore del mondiale rally?

“Penso che le auto attuali siano prototipi come lo furono le Gruppo B, fortunatamente con una sicurezza ben superiore perché le velocità sono molto più alte che nel 1986. Deve essere molto eccitante pilotarle con un tale senso di sicurezza perché la stabilità è impressionante, basta vedere l’attaccamento al suolo rispetto a soli 5 anni fa. L’aerodinamica è ormai onnipresente, come anche l’elettronica, e i giovani stanno ovviamente prendendo in mano questa nuova generazione di automobili che sembrano indistruttibili, ma la realtà è ben diversa. La forza mentale e la resistenza fisica sono essenziali, durante il campionato faranno la differenza perché le auto sono molto vicine”.

Parliamo di F1: sei arrivato nel mondiale dopo aver vinto F3 e F3000 e in tanti parlavano di te come il nuovo Prost. In quel periodo sentivi la pressione per questa cosa?

“Al contrario, avendo vinto tutte le categorie prima della F1 ero fiducioso, sapevo che a parità di auto ero più veloce della maggior parte dei miei avversari grazie alle mia capacità di messa a punto. Ma non avevo fatto i conti con la politica in Formula 1”.

Hai corso due anni in Ligier con vetture poco competitive nonostante motori come Lamborghini e Renault, cosa non ha funzionato?

“Proprio la politica: non ho potuto accettare l’offerta di Jordan per fare il mio debutto in F1, nella squadra che ha fatto scoprire Michael Schumacher a Spa, perché mi aveva chiesto due milioni di dollari di sponsorizzazione, che non avevo. Ho quindi dovuto accettare l’offerta di Ligier con il supporto di Elf ma, come si è visto recentemente quando la Red Bull si imponeva con il motore Renault e la stessa Renault ufficiale non era competitiva, il motore non è tutto. La galleria del vento di Ligier era imprecisa e le monoposto non avevano carico aerodinamico sufficiente, un male incurabile oltre ad una politica sportiva disastrosa: ero il numero due della squadra, con un ingegnere di pista che non aveva molta esperienza. Ricardo Divila, che purtroppo ci ha lasciati lo scorso 25 aprile, avrebbe dovuto essere il mio tecnico di pista ed è stato licenziato ad una settimana dal primo GP, dopo aver fatto un lavoro notevole insieme a me sulla macchina dell’anno precedente durante l’inverno. Non facevo politica ma avrei dovuto boicottare l’inizio della stagione”.

Sei poi passato alla Larrousse, cosa ricordi di quel periodo soprattutto quanto era difficile restare vicino ai migliori con budget così bassi?

Larrousse aveva a malapena il budget per una macchina, farne correre due era illusione totale. Il motore non era un problema, il Lamborghini era uno dei migliori, quando Ayrton lo ha provato a Estoril all’indomani della vittoria di Schumacher ha realizzato gli stessi tempi del Ford vittorioso il giorno prima, ma Peugeot ha messo più soldi di Chrysler ed è diventato fornitore di McLaren l’anno seguente. Ho trascorso dieci anni della mia carriera con team francesi, tra il 1985 e il 1994. Nel 1995 sono partito per il Giappone per correre con le GT, vincendo con Nissan due titoli nipponici nel 1998 e nel 1999″.

Ricordi la tua gara migliore?

“Gran Premio di Francia 1992 a Magny Cours: mezzo asciutto e mezzo umido ero vicino al podio, quarto, quando a tre giri dall’arrivo il potenziometro dell’acceleratore ha preso umidità e non mi ha più dato una risposta coerente. Sono arrivato quinto, tre settimane dopo il mio primo punto a Montreal, quando feci sesto dopo una dura battaglia contro Michele Alboreto”.

È da poco passato il 1° maggio: in tanti nel corso degli anni ti hanno chiesto di Ayrton, io volevo chiederti a 26 anni dalla sua morte quanto il suo ricordo è ancora vivo dentro di te? 

“Ogni giorno respiro grazie a lui, se non fosse intervenuto per spegnere la mia vettura a Spa nel 1992 avrei sicuramente preso fuoco con 170 litri di carburante a bordo. Essere l’ultimo ad averlo visto al Tamburello senza poter fare nulla è stato uno shock emotivo da cui non mi sono mai veramente ripreso. Il 1° e il 2 maggio sono due giorni neri”.

Ultima domanda: hai ancora un sogno da realizzare?

“Questo periodo ci ricorda a tutti che bisogna prendere ogni giorno come se fosse l’ultimo, approfittare del momento presente perché non si sa cosa ci riserverà il domani. La mia passione per l’auto è intatta, mi piace ancora guidare ma il bisogno di competere al volante non è più la mia priorità. Sono stato il primo a vincere una gara FIA con un’auto 100% elettrica, una Tesla Roadster al Rally di Montecarlo per Energie Alternative, esattamente dieci anni fa, e forse ero troppo in anticipo sui tempi. Nessuno lo pensava possibile e nemmeno Tesla, che mi aveva assunto solo per la mia notorietà, convinta che fosse impossibile imporsi. Non ci avevo mai pensato, tutto si è concretizzato due settimane dopo un incontro al Salone di Ginevra. Il destino spesso orienta i tuoi sogni e questo è ciò che più mi piace della vita, entrare in una curva cieca e non guardare negli specchietti retrovisori”.

Immagini: archivio Erik Comas

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