Interlagos: un weekend infinito, tra polemiche e adrenalina, in un mondiale senza respiro

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Tempo di lettura: 7 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
15 Novembre 2021 - 01:59
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È difficile decidere da dove partire per raccontare questo weekend. Una storia nella storia di un mondiale che, pensiamoci, sono sicuro che nessuno di noi avrebbe immaginato così.

All’inizio di questa stagione davamo già per scontato che Mercedes, sull’onda del 2020 e con una monoposto sostanzialmente identica, avrebbe concluso il filotto di otto titoli mondiali e piloti in scioltezza, in un anno caratterizzato da una sostanziale stagnazione dei regolamenti in vista della rivoluzione 2022.

Invece – e qui l’insegnamento è che non si deve dare niente per scontato – stiamo assistendo ad uno dei campionati più belli da anni a questa parte, con due piloti di due squadre diverse a contendersi il titolo; cosa che non accadeva dal 2012.

Proprio la stagnazione del regolamento, con piccole modifiche che forse tanto piccole non sono state, hanno portato Red Bull e Verstappen a giocarsi il titolo. Anche questo non era scontato, soprattutto con l’annunciata uscita di Honda in veste ufficiale. Eppure siamo qui: 14 punti dividono Max e un Lewis Hamilton che, forse, ha l’ultimo colpo per salire definitivamente sul tetto dei più vincenti di sempre con l’ottavo titolo.

Il weekend di Interlagos è stato infinito. Non solo per chi lo vive da protagonista ma anche per chi lo deve raccontare. Le qualifiche al venerdì spostano il lavoro che solitamente si fa al sabato al giorno prima. Se poi, come successo questa volta, ci si mettono anche le investigazioni che portano alle tre di notte per un “scusate, ci vediamo domani”… ma ci arriverò dopo.

Ieri sembrava già domenica, eppure si trattava solo della Sprint Qualifying. Che, mi spiace, ma dopo tre eventi continua a non fornirmi alcuna giustificazione valida a valutarla positivamente. Non è corretto, per le statistiche e per la storia, che una gara di 100km assegni una Pole. Nell’albo, ora, ci sono tre Pole che in realtà non lo sono: inaccettabile.

Essendo un “test”, non è nemmeno corretto dal mio punto di vista che questa minigara assegni punti e che una squalifica debba essere scontata in questa sessione. Nel caso di Hamilton, la mezz’ora del sabato è stata un aiuto per iniziare ad annullare lo svantaggio dato proprio dalla sanzione dei commissari, che in un altro evento avrebbe dovuto scontare alla domenica partendo probabilmente dalla pit lane. Si tratta di linearità delle regole sportive, anche se non sarebbe cambiato molto: con il ritmo che Lewis e la Mercedes avevano, questa gara l’avrebbero forse vinta comunque per quanto mostrato in pista.

A tal proposito sarebbe curioso sapere, in termini di performance, quanto un motore termico possa essere spinto più del normale quando deve affrontare un chilometraggio totale dimezzato. Voci – di cui non ho trovato ancora conferma – dicono che Hamilton abbia girato con una mappa da qualifica sia al sabato che in gara. Il che potrebbe anche essere, vista la differenza di velocità a disposizione anche nei confronti di piloti che avevano, a loro volta, il DRS a disposizione. Per la serie “qui non si passa“…

Questo poco toglie alla prestazione personale di Lewis, che si è trovato a dover fronteggiare due rimonte per colpe non sue e, se da una parte ha avuto a disposizione una macchina in forma 2020, dall’altra si è preso diversi grossi rischi sia al sabato che alla domenica, portando a casa una delle sue più belle gare della carriera in un momento difficilissimo, tra l’altro in “casa” di Ayrton dove – bisogna riconoscerlo – viene acclamato dalla gente in modo eccezionale.

Interlagos pareva essere pista Red Bull così come Austin sembrava più incline alla Mercedes e le aspettative sono state ribaltate. È quindi impossibile dire chi andrà meglio e dove nei prossimi tre appuntamenti, di cui due in luoghi sconosciuti, senza riferimenti o appena terminati (come l’Arabia Saudita, ormai ai dettagli per il 5 dicembre).

Di certo c’è una cosa: Mercedes si è giocata benissimo la penalità per il cambio del motore termico sulla W12 di Lewis e l’impressione è che, se Red Bull non vuole rischiare di rimanere col cerino in mano, sarà costretta a fare altrettanto in uno dei prossimi appuntamenti per pareggiare la freschezza del termico. Si torna al punto di prima, sarebbe importante sapere quanto si va effettivamente di più.

Il problema per Red Bull, l’ho scritto settimane fa, sono i punti persi in modo assolutamente incolpevole da parte di Verstappen tra Baku, Silverstone e Budapest. Decine di punti volati via che tra una settimana avrebbero acceso la scritta “Match Point”. L’esaltazione Mercedes per la vittoria brasiliana non deve far dimenticare l’andamento di questo mondiale, nel quale in condizioni normali Red Bull e l’olandese hanno avuto la meglio la maggior parte delle volte. Era da Barcellona e Portimão – parliamo di maggio – che la Mercedes non si mostrava con un ritmo nettamente superiore. Una gara come questa, a tre dal termine, fa evidentemente tremare le gambe perché 14 punti non sono assolutamente nulla quando in palio ce ne sono 75, ed ora quanto successo in passato non conta.

Capitolo penalità: faccio onestamente fatica a capire come la Mercedes possa essere stata squalificata per una differenza di 0,2 millimetri come detto da Wolff; un foglio di carta velina. Sarebbe più semplice se, tra le tre pagine di decisione, i commissari scrivessero nero su bianco anche i valori riportati in modo che non ci possano essere dubbi, perché 0,2 è nulla. Sarebbe anche più semplice per tutti se non ci volesse quasi una giornata intera per prendere una decisione, lasciando spazio ad ipotesi di qualsiasi tipo sull’imparzialità o meno della direzione gara. Stendo un velo su quanto detto da Toto Wolff dopo anni in cui la Mercedes è stata messa più volte sotto la lente d’ingrandimento tra cerchi forati, pressioni delle gomme e via dicendo.

Al tempo stesso, è stato assurdo leggere le convinzioni sulle dita bioniche di Verstappen, capaci secondo alcuni di piegare un’ala che in marcia deve sopportare decine, centinaia di kg di pressione senza muoversi. Azione, quella di toccare altre macchine, di cui ci sono decine di foto negli anni passati senza che qualcuno abbia mosso… un dito. Comunque basterebbe mostrare le immagini di un test statico per capire di cosa si parla. A volte si arriva all’incomprensibile, anche se non dovrei sorprendermi dopo trent’anni. Ma, d’altronde, si è scelto di affidare a Drive To Survive, una serie contestata dagli stessi piloti per l’artificiosità delle sue trame e per il suo montare casi sul nulla, il compito di iniziare nuove generazioni alla F1. Il risultato non può che essere questo.

Parlando del primo tentativo di Hamilton andato a vuoto in gara, con Verstappen che l’ha portato largo, dico due cose. Primo: mettiamo un po’ di ghiaia fuori traiettoria e vediamo chi ne esce. Secondo: qualsiasi penalità data nei confronti di Max, 5 o 10 secondi che fosse – me l’aspettavo, onestamente, ed è un peccato non si arrivata – avrebbe dato l’esatta misura di quanto quella di Silverstone sia stata una carezza ad un neonato. E spiace aver sentito e letto commenti nei confronti dell’olandese che, invece, non ho sentito al tempo per un incidente a velocità doppia e con ben altre responsabilità. Ma va bene così, ognuno analizza a modo suo.

Tre GP di fila, comunque, sono inaccettabili. Cinque in sei settimane sono una follia. E se penso che l’anno prossimo il mondiale sarà ancora più compresso non oso immaginare come ne usciranno gli addetti ai lavori.

Meno tre, quindi. Due incognite e la suggestiva (…) Abu Dhabi per decidere uno dei mondiali più belli da anni a questa parte. Non proprio il massimo dal punto di vista dei tracciati ma questo è e a questo, sempre di più tra l’altro, dobbiamo abituarci. Speriamo almeno che il finale sia degno del mondiale vissuto fino ad ora.

Immagine: Twitter / Mercedes

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