IndyCar | Intervista ad Andrea Amico, Systems’ Engineer per PREMA Racing: “Alex Zanardi mi ha spinto ad iniziare questa carriera col suo primo libro”

Di: Alyoska Costantino
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Pubblicato il 30 Ottobre 2025 - 11:00
Tempo di lettura: 18 minuti
IndyCar | Intervista ad Andrea Amico, Systems’ Engineer per PREMA Racing: “Alex Zanardi mi ha spinto ad iniziare questa carriera col suo primo libro”
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L’esperto ingegnere milanese ha raccontato a P300 la sua prima annata con la squadra veneta al debutto in IndyCar.


Il 2025 della IndyCar è stata un’annata molto importante, soprattutto per gli appassionati italiani di motorsport. In questa stagione abbiamo potuto assistere alla stagione di debutto di PREMA Racing nel campionato americano, forte di un’esperienza di oltre quarant’anni nelle serie europee a ruote scoperte.

Tra i tanti acquisti che la realtà veneta ha fatto per presentarsi pronta alla sfida della IndyCar c’è stato l’ingresso di Andrea Amico, nominato Systems’ Engineer dalla squadra di Grisignano di Zocco. Amico, che aveva già avuto l’occasione di parlare con noi durante la 30 Ore di P300.it di fine 2024, veniva dall’esperienza in Dale Coyne Racing dell’anno prima.

L’ingegnere laureatosi al Politecnico di Milano ci ha concesso un’intervista esclusiva per parlare di questa prima annata con PREMA e della sua gavetta nelle varie serie minori, prima di arrivare negli States. Buona lettura.


Ciao Andrea, è davvero un piacere parlare con te. La prima domanda è: come ti sei appassionato al mondo del motorsport?

“Mi è stato tramandato: ovviamente mio papà è molto appassionato di Formula 1 e di gare di durata. Sono cresciuto in un ambiente molto corsaiolo, con le gare alla domenica in tv ed è quindi una passione che mi sono portato dietro fin da bambino. A sei, otto, dieci anni mi piacevano molto di più le gare di durata, soprattutto le 24 Ore di Le Mans, poi piano piano mi sono appassionato anche alla Formula 1 e da lì ho scoperto tutto il vivaio del motorsport europeo e in America”.

Hai volto lo sguardo subito sul mondo dell’ingegneria o hai tentato anche di fare il pilota in passato?

“Ad essere molto onesto, il pensiero di fare anche il pilota allettava parecchio però, come al solito e come avviene per molte persone, ho avuto due problemi principali: il primo è stato il non avere il portafoglio ‘a fisarmonica’ ed è stato subito un problema, forse una fortuna per me; il secondo è che non ho mai avuto un gran fisico da corsaiolo, tant’è che adesso il mio  soprannome è ‘Ingegner Polpetta’ in America. Sono stati i miei meccanici a darmelo cordialmente, quindi no, è un pensiero che non ho mai preso troppo sul serio, però questo non mi ha vietato di provare qualche piccola macchina [sportiva, n.d.r.] ed ovviamente i kart, con cui corro prevalentemente per divertirmi ma senza la pressione del risultato da ottenere”.

Hai avuto delle figure di riferimento, persone che ammiravi di questo campo che ti hanno convinto ad intraprendere questa carriera?

“Tra le persone che conoscevo non ce n’era nessuna direttamente coinvolta nel motorsport, però avendo questa passione tramandata da mio papà, che ho ereditato con enorme piacere, nel corso degli anni ho iniziato a leggere qualche libro, a vedere documentari, avevo persino delle vecchie VHS dei riassunti delle 24 Ore e quant’altro. Una persona che mi ha convinto del tutto ad entrare a lavorare nel mondo del motorsport e soprattutto ad anticipare il mio percorso in modo da entrarvici il prima possibile è stato Alessandro Zanardi, perché ho letto il suo primo libro [‘E adesso sotto con il resto’, n.d.r.] ormai una quindicina di anni fa e grazie a quel libro io, ignorante com’ero dato che conoscevo soltanto il mondo della Formula 1 e dell’Endurance, ho scoperto anche tutto il panorama delle formule propedeutiche, il mondo di quella che era la Formula CART e mi ha trasmesso una passione, diciamo una volontà di partecipare, di scoprire, di fare quelle stesse esperienze che mi porto dietro tuttora, quindi per me Alex è stata la persona che, indirettamente, mi ha spinto ad iniziare questa carriera. Poi, una volta entrato nel mondo del motorsport, ovviamente ho conosciuto degli ingegneri e dei meccanici veramente bravissimi e molto competenti che, anno dopo anno, mi stimolano a stare nell’ambiente, ad imparare sempre cose nuove”.

La tua gavetta è iniziata nel 2016, come Data Engineer nel campionato EuroFormula Open. Nelle serie più piccole qual è la mole di lavoro e il fattore cruciale che determina la buona riuscita dello stesso?

“Parto con il premettere che il mio inizio in EuroFormula è stato abbastanza fortuito per tutta una serie di coincidenze, in primis un po’ di sfacciataggine per aver voluto cercare un lavoro mentre ero ancora alle scuole superiori. Dal mio punto di vista, la mole di lavoro nelle formule propedeutiche non è tanto ridotta o maggiorata rispetto magari a quello che può esserci in Formula 2, in Formula 3 o in IndyCar. Quello che cambia sensibilmente è quanto un ingegnere o un meccanico si specializza all’interno di un ruolo. Per esempio, a livello di ingegneri, più si va in basso come categoria, quindi Formula 4, Formula Regional e via discorrendo, più l’ingegnere deve fare un po’ tutto. Si fa ricerca e sviluppo in officina, l’ingegnere di pista, bisogna controllare le pressioni alle gomme, decidere sulla benzina, se ci sono categorie con un fattore strategico bisogna optare per una strategia, quindi bisogna essere completi, a 360°. Ovviamente salendo di categoria, e posso prendere come riferimento la IndyCar, non c’è margine per una sola persona per fare tutto, nel senso che si potrebbe fare ma la qualità del lavoro ovviamente diminuirebbe particolarmente, perché non c’è il tempo a disposizione e la precisione richiesta è decisamente alta. Quindi, col tempo, uno poi sceglie quello che è il suo percorso, cosa gli piace fare: seguire il pilota, diventare stratega, seguire l’ambito gomme che è molto consistente; ritengo sia questa la differenza principale e prevalente fra le categorie un po’ più basse e le categorie più alte, è la mia visione”.

Successivamente ti sei spostato negli States e hai avuto la possibilità di lavorare per Dale Coyne Racing, nel 2023 e nel 2024. La squadra di Coyne è globalmente considerata quella di minor caratura nella IndyCar: soprattutto l’anno scorso, il viavai di piloti all’interno del team è stato continuo. Questo ha reso il tuo lavoro più complicato? E se sì, in quale misura e perché?

“Dale Coyne in questo momento è sì ritenuta una delle ultime squadre in griglia nel campionato IndyCar, però è stata, negli ultimi dieci anni, un ottimo vivaio di piloti e figure tecniche che sono adesso sparpagliate in tutto il paddock. Álex Palou ha debuttato in Dale Coyne, Ferrucci in IndyCar idem, Grosjean pure e Malukas anche. Sicuramente è una squadra che ha una storia alle spalle e continua ad avere dei presupposti per fare bene. Il 2024 è stata una stagione particolarmente intensa, il fatto di aver avuto tanti piloti sicuramente ha reso il mio lavoro interessante perché ne abbiamo avuti dieci in totale durante la stagione e in dodici mesi sono dovuto partire da capo, come Systems’ Engineer, con ognuno di questi piloti, spiegare loro come funzionava la macchina oppure aggiornarli su quelle che erano le nostre procedure, il che da un lato è appunto interessante. Abbiamo avuto con noi Luca Ghiotto, che è un pilota di grandissima esperienza a livello europeo ma che non aveva mai girato su una IndyCar, passando poi a Tristan Vautier che invece ha avuto un’ottima carriera in IndyCar ed era fuori da qualche anno, a Katherine Legge che è una veterana degli ovali considerando la grande esperienza che ha. Non abbiamo avuto risultati di rilievo ma sicuramente è stato un anno molto impegnativo per cercare di massimizzare il feeling che i piloti avevano con la macchina. È stato un anno complicato anche perché, fra 2023 e 2024, tolto me e l’ingegnere di pista della #18 tutte le altre figure tecniche sono cambiate, con tanti ingegneri nuovi e privi d’esperienza ed anche un ingegnere che, invece, aveva grande esperienza ma era fuori dal giro della IndyCar da più di dieci anni, quindi rimettere insieme un pacchetto tecnico non è stato per niente facile e nei ritmi serrati del campionato questo pesa ancora di più. Durante la stagione c’è veramente pochissimo tempo per tirare il fiato e vedere cos’è stato fatto fino a quel determinato momento, cosa c’è da fare da lì in poi per migliorare, a cosa dare la precedenza, eccetera. Per questo è molto molto importante il periodo della off-season, che va sempre sfruttato il più possibile. Oggettivamente, però, per me è stata un’esperienza molto positiva e vorrei anche ricordare come, negli anni precedenti, Coyne abbia formato ingegneri come Mike Cannon, che ha un’esperienza quinquennale nel campionato ed ha poi vinto con Ganassi, o anche Craig Hampson, che invece è andato in Andretti e arrivava da Newman-Haas, ed Olivier Boisson, anche lui in Andretti, quindi è stato un ottimo vivaio per molte figure”.

Quest’anno sei entrato in PREMA Racing, che a propria volta era al debutto in IndyCar. Il team veneto come si è approcciato alla nuova avventura, potendo contare sulla tua esperienza?

“Quella di PREMA in IndyCar per me è stata un’esperienza tutt’altro che scontata, nel senso che la squadra si è messa in gioco con una sfida che non era per nulla facile, soprattutto considerando le tempistiche. Oltre alle tempistiche, un altro elemento critico era mettere insieme del personale europeo con del personale statunitense. Secondo me, considerando i risultati, è stato l’approccio corretto. Ovviamente, essendo il primo anno di partecipazione della squadra ad un campionato dove non aveva mai partecipato, ci sono state tantissime incognite ed il livello, soprattutto negli ultimi dieci anni, si è alzato drasticamente. PREMA ha comunque dimostrato che c’era ed era lì per combattere, non solo per partecipare. Tutto sommato io considero molto positivo il percorso che ha avuto l’entourage europeo di PREMA. Dopo che mi hanno chiamato hanno messo insieme un gruppo tecnico che, secondo me, è molto valido”.

Oltre a te, Prema Racing si è affidata a numerose altre figure di spicco per questo progetto, a cominciare dai piloti affermati in Europa come Callum Ilott e Robert Shwartzman, passando poi per un ex-IndyCar come Ryan Briscoe. Tutto fa pensare che questo sia un progetto a lungo termine: è così?

“Sì, direi che PREMA ha fatto tutto per bene nell’impostare questo progetto. La scelta dei piloti è stata molto oculata, Callum veniva anche da esperienze pregresse, oltre che nel WEC anche in IndyCar con Juncos e ha fatto anche una gara in McLaren. Shwartzman non aveva mai corso in IndyCar ma ha un palmares di tutto rilievo, ma la cosa più importante è che sia Callum, sia Robert che anche Briscoe erano stati in PREMA prima di quest’avventura, perciò tutti erano a conoscenza di quello che è il metodo di lavoro perseguito dal team, ed è assolutamente efficace. Di certo le figure tecniche che ci sono non si limitano ai piloti e a Briscoe: ci sono stati anche Mario Gargiulo che veniva dalla parte di F2 e F3 che ci ha supportato dandoci un ottimo metodo di lavoro, così come l’ingegnere della ricerca e sviluppo Robert Gue, che arrivava da McLaren, ed Aaron Smith che è stato in IndyCar per 20 anni. Sono tutte figure che hanno permesso di alzare il livello della competizione, quindi sicuramente hanno messo le basi per un ottimo progetto”.

Nel complesso, come valuteresti la stagione 2025 del team? Riusciresti a darle un voto da 1 a 10?

“Io darei fra il 7 e l’8, cerco di essere abbastanza critico. Ci sono tante cose che avremmo potuto fare meglio, approcciare meglio, ma serviva anche tanta esperienza, tante cose che anche personalmente ho dovuto imparare e capire perché, venendo da realtà tutte diverse, è necessario mettere insieme tutte le informazioni o sviluppare un metodo di lavoro adeguato per il campionato IndyCar, ma che al tempo stesso sia compatibile con quella che era la filosofia di PREMA nelle altre categorie; non è stato per niente facile. In maniera più specifica mi piacerebbe dividere la prima parte di stagione, conclusa con la gara di Detroit, ed una seconda parte di stagione iniziata subito dopo: una prima parte d’annata dove abbiamo faticato molto ma, ribadisco, con difficoltà assolutamente normali per me, come nelle soste, nello sviluppo delle parti di cui avevano bisogno in officina, nello sviluppo della macchina durante il weekend di gara. Semplicemente serviva alla squadra la tranquillità e l’esperienza necessaria per sviluppare tutti questi strumenti che servono durante un weekend di gara. Avendo iniziato il progetto a settembre 2024, il tempo avuto a disposizione è stato estremamente ridotto e con la 500 Miglia di Indianapolis si sono iniziati a vedere i risultati. Purtroppo l’epilogo della gara non è stato dei migliori, però penso che anche grazie ai risultati ci sia poi scattato un qualcosa all’interno di tutti noi, col quale abbiamo capito che effettivamente potevamo battagliare nelle ultime cinque gare. La macchina di Callum ha fatto quattro top ten e due sesti posti ed abbiamo dimostrato, ancora una volta, che tutt’e due le macchine e tutt’e due i piloti, se messi nelle condizioni adeguate, possono stare davanti e lottare, se non per i primi due posti, sicuramente nei primi cinque, quindi direi una stagione assolutamente positiva considerando le tempistiche a cui ci siamo dovuti adeguare”.

Il momento più alto del 2025 è sicuramente stata la pole position di Shwartzman alla Indy500. Qual è stata la combinazione di fattori che ha permesso un risultato simile?

“La 500 Miglia si avvicinava, all’inizio, più come un’incognita che altro per PREMA perché, come magari gli spettatori più attenti ed informati sapranno, per questa gara si usano dei telai a parte. Sono del tutto uguali a quelli per i tracciati cittadini e permanenti, ma vengono preparati con dovizia nei dettagli e particolare attenzione; viene fatto quello che si chiama ‘body fit’ per ridurre al meglio la resistenza aerodinamica della macchina, vengono preparati i cambi marcia in maniera particolare e viene fatto tutto un lavoro di preparazione per cui alcune squadre si portano avanti di mesi e mesi, ed addirittura certi team si separano e si occupano soltanto della preparazione della 500 Miglia. Penso che l’elemento di forza per PREMA sia stata un po’ l’umiltà, innanzitutto l’aver approcciato questa sfida senza voler reinventare il mondo. Ovviamente abbiamo avuto l’aiuto da parte dell’ingegnere di ricerca e sviluppo che aveva una grande esperienza nella preparazione e nell’ottimizzazione delle macchine per gli Speedway. Ad inizio stagione anche Mike Cannon, noto ingegnere, ci ha dato una mano alla preparazione di questa macchina, dopodiché l’ingegnere di pista di Shwartzman per gli ovali è stato un ex-ingegnere di Penske e sicuramente ci ha aiutato quantomeno ad avere delle linee guida e ad essere obiettivi nelle cose che si provano nelle due settimane prima della qualifica. E’ stato quindi portato un pacchetto e rimane ancora difficile da credere a ciò che ha portato, però aver messo insieme tutto senza perdersi in troppi fronzoli è quello che ha portato tutt’e due le macchine ad avere un (13:53) risultato ottimo in qualifica. Callum in qualifica era 21° ma senza grossi rischi, ed ha portato a casa quello di cui la squadra aveva bisogno. Nel 2024 mi sono trovato ad assistere al Bump Day con la #51 e la #18 di Dale Coyne e una delle due macchine è stata anche esclusa, quindi diciamo che in due anni ho avuto la possibilità di vedere sia la parte bassa che la parte alta dello schieramento e c’è tantissimo lavoro che, ovviamente, i fan e gli spettatori non possono apprezzare per la preparazione che viene fatta in officina e in pista durante le due settimane, che ci ha poi permesso di stare davanti insieme ad un pilota che, quando è stato il momento di tenere giù, ha tenuto giù. Anche questo fa parte del mondo della IndyCar”.

Una domanda più generica sul mondo della IndyCar: a 2024 in corso c’è stata l’introduzione del sistema ibrido, più simile a quello del KERS visto in F1 dal 2009 in avanti. Pensi che, a posteriori, sia stata una scelta saggia integrarlo (specie ad annata in corso)? Inoltre, pensi che Honda, Chevrolet e le squadre possano essere disposte a fare un passo indietro su di esso o è un investimento futuribile e dunque troppo grosso a cui rinunciare?

“Qui devo dividere la mia risposta in due parti. La prima, diciamo, è sul lato più ingegneristico, mentre la seconda è sul lato più da appassionato, dell’Andrea bambino che guarda la gara di IndyCar alla TV. Dal punto di vista ingegneristico, aver introdotto l’ibrido è stato sicuramente un parametro in più da configurare, da preparare e da ottimizzare durante il weekend che, per quanto limitato, non è assolutamente scontato. Per dare un riferimento, un ciclo di scarico completo dell’ibrido della macchina può essere equivalente all’attivazione di un Push-to-Pass, quindi non è una potenza trascurabile, ma siccome la macchina non ha ancora un pacco batterie, la capacità di carica e di scarica e l’intensità della potenza che viene fornita alla macchina sono ancora particolarmente ridotte, quindi diventa sicuramente un parametro meno vitale rispetto quello che può essere in Formula 1, che è passata dall’avere il KERS all’ERS, quindi andando ad aumentare notevolmente le dimensioni della batteria. Adesso è un componente che, se ha dei problemi, fa quasi ritirare la macchina e, se non la fa ritirare, comunque gira particolarmente più piano. Quindi, dal punto ingegneristico, è stata una scelta un po’ proiettata verso quello che è il mondo attuale dell’automobilismo, un po’ per allinearsi a quelle che sono tutte le altre categorie top del motorsport, quali Formula 1 o Formula E. Averlo introdotto a metà stagione non è stata tanto una scelta della IndyCar, è stata più una scelta obbligata in seguito ad alcuni ritardi in tutto il pacchetto che viene sviluppato da Ilmor, fornito a tutte le squadre indipendentemente che siano Honda e Chevrolet. Io, personalmente, avrei pensato che l’introduzione influisse di più sul campionato, soprattutto fatto a stagione in corsa. Nella realtà, difatti, tutte le squadre hanno trovato più o meno un equilibrio. Ci sono stati alcuni casi, come ad esempio quello di Dixon che si è ritirato nel giro di formazione della gara di Mid-Ohio (la prima gara con l’ibrido), che ovviamente hanno influenzato la corsa, ma tutto sommato tutte le squadre sono andate abbastanza spedite. Mi ricordo il primo test fatto con Dale Coyne con l’ibrido, praticamente un mese prima che il sistema debuttasse. Quindi sicuramente un avvio non facile, però dal mio punto di vista penso che, in questo momento, a livello ingegneristico sia più utile andare verso l’espansione di questo sistema ibrido con l’introduzione di una batteria, in modo tale da rendere ancora più determinante l’ottimizzazione dell’ibrido in gara. Dal punto di vista dell’Andrea che guarda la gara dalla TV, c’era un’altra possibilità per la IndyCar: si parlava di un motore più potente da 900 cavalli che avrebbe dovuto debuttare su questo telaio a partire dal 2026, un progetto che è stato abbandonato. Sarei stato più per un V8 più grande, per vedere le macchine andare ancora più veloce, impianti frenanti ancora più al limite e gare un po’ più genuine, un po’ più ‘old school’, come avveniva in Formula 1 prima dell’avvento dell’ibrido. Però non trovo sbagliato per un campionato come la IndyCar guardare verso quello che è il mondo attuale ed il futuro. Anzi, direi che è positivo”.

Ci sono state per caso discussioni in merito ad un possibile passo indietro sull’ibrido? O è solo una fantasia degli appassionati?

“No, quantomeno non discussioni in cui sono stato coinvolto. Non so se a livello di team principal c’è stata qualche discussione. Sicuramente c’è una nuova macchina in produzione, questo è stato reso pubblico, però si stanno ancora definendo tutti i contorni e diciamo che le stesse squadre stanno dando supporto e suggerimenti o miglioramenti da apportare per la nuova versione della macchina. Quindi ci si sente con i reparti della IndyCar più o meno settimanalmente o due volte a settimana”.

Guardando al panorama motorsportivo, la sensazione è che ogni serie si diriga verso una standardizzazione di massa sul piano tecnico. Qual è la tua visione in merito a ciò e, soprattutto, ritieni che possa compromettere l’importanza del lavoro di un ingegnere col passare degli anni, magari con l’avanzamento delle tecnologie, delle simulazioni e delle intelligenze artificiali?

“Partendo dalla prima parte di domanda, l’Andrea appassionato di auto da corsa direbbe che è contro la standardizzazione delle componentistiche. Io personalmente ho avuto la fortuna di parlare con un sacco di ingegneri e meccanici che, per esempio, facevano la Formula 3 ‘originale’, quella col cassoncino ad aspirazione sul lato per intenderci, che raccontano ogni genere di aneddoto su come riuscivano a trovare prestazione o sviluppare le componenti da soli per cercare di ottenere il miglior risultato possibile. Quello è un fattore che mi affascina un sacco e mi sarebbe piaciuto viverlo in prima persona. Fortunatamente ci sono ancora alcuni campionati, fra questo la IndyCar, che hanno dei gradi di libertà sullo sviluppo della macchina, perché è vero che il telaio è unico e prodotto da Dallara (e, una riflessione personale, è anche un gran telaio considerando che è stato introdotto nel 2012 e, salvo leggeri adattamenti, è ancora più che attuale), però ci sono tante componenti all’interno della macchina che sono libere sia a livello sensoristico ma anche a livello proprio meccanico, come ad esempio gli ammortizzatori che sono completamente liberi all’interno di determinate specifiche, la barra antirollio oppure i rocker della macchina che si possono sviluppare. Ovviamente devono essere tutti conformi allo spirito del regolamento che è molto preciso, ma danno ancora la possibilità alla squadra di avere degli elementi su cui ‘giocare’ e ci sono ancora squadre che fanno la differenza, soprattutto in condizioni difficili. Un esempio: in una delle prime gare che ho fatto su un ovale corto, in Iowa nel 2023, le Penske volavano. Eravamo su un circuito estremamente sconnesso e con tanti saltellamenti, e Penske riusciva ad evitare il degrado delle gomme e i loro piloti a tenere giù tutto con l’acceleratore, cosa che invece noi di Dale Coyne, in quel momento, non riuscivamo ad avere, quindi ci si scontra anche con un limite della macchina che è molto interessante da studiare. Per quanto riguarda invece la seconda parte della domanda, non sento personalmente il mio lavoro minacciato dall’intelligenza artificiale, anzi ritengo che sia un ottimo strumento perché con l’avvento dell’informatica e della tecnologia negli ultimi vent’anni, così com’è aumentato a dismisura il livello dei piloti (che ora sono a tutti gli effetti degli atleti, spendono ore davanti ai simulatori o in palestra), anche il livello tecnico-ingegneristico si è alzato particolarmente, dalla Formula 1 a scendere, quindi adesso anche nelle categorie con cui i piloti iniziano, come può essere la Formula 4, si spende tanto tempo per cercare di ottimizzare le prestazioni della macchina con quei pochi gradi di libertà che si hanno a disposizione, eppure rispetto a quando ho iniziato, ad esempio nel 2016 dove ho fatto qualche gara di Formula 4, vedere come vengono approcciate ora le stesse macchine fa quasi spavento. C’è una preparazione molto accurata ed ogni anno si alza l’asticella, quindi si arriva anche ad un livello dove avere un supporto di un’intelligenza artificiale, ma anche di persone che danno supporto numerico e permettono di svolgere tutta una serie di mansioni che da solo un ingegnere non riuscirebbe a fare, è diventato necessario. Alla fine il bravo ingegnere deve sapere cosa guardare quando sa cosa prioritizzare, a cosa dar la precedenza, su cosa concentrarsi. La vedo come una simbiosi con l’intelligenza artificiale, più che come una guerra”.

C’è stato un particolare progetto (motoristico e non) a cui ti sarebbe piaciuto lavorare, magari anche nel presente?

“Da buon nostalgico mi sarebbe piaciuto lavorare sia nelle gare di durata che in Formula 1 negli anni un po’ più genuini, dove tutti erano un po’ degli animali da battaglia e si presentavano in pista per dare il meglio. Mi viene in mente la Formula 1 degli anni ’70, può essere quello come un campionato Endurance di fine anni ’90, dove c’erano queste bestie di prototipi e GT di omologazione stradale ma estremamente evoluti per l’epoca. Questi sono i progetti che mi sarebbe piaciuto ‘vivere’ da dentro, vedere come molte delle procedure che abbiamo adesso erano differenti rispetto all’epoca e come queste figure di spicco professionali quali ingegneri, meccanici, disegnatori e realizzatori riuscivano a mettere a punto delle macchine con delle tecnologie assolutamente limitate”.

Ultima domanda: ricordo più bello legato al motorsport e al tuo lavoro d’ingegnere?

“Io metterei al primo posto la pole position quest’anno alla 500 Miglia: direi che, oltre ad essere il più grande risultato che abbia mai ottenuto, è stato molto bello sentirsi parte di un team ed è stato totalmente inaspettato come risultato; solo quando l’ultima macchina [quella di Felix Rosenqvist, n.d.r.] è partita per qualificarsi ed era al secondo giro, abbiamo iniziato a capire che c’era tutta la possibilità di essere in pole position. Io non sono uno che si emoziona molto facilmente, ma mi sono venute le lacrime agli occhi e così a tutti, non riuscivamo più a stare nella pelle. Ciò ci ha dato una sensazione quasi di onnipotenza in quei dieci minuti in cui succede di tutto e, alla fine, penso sia un po’ il fulcro del motorsport, perché alla fine di primo posto ce n’è soltanto uno su venti, venticinque o trenta, dipende dalla categoria. Quindi, nella maggior parte del tempo, nel motorsport ‘si rosica’ (per dirla in maniera gentile), e c’è da tenere la testa bassa e lavorare. I risultati non saranno mai all’altezza o magari non saranno mai abbastanza, ma l’1% delle volte, quando si arriva davanti a tutti e soprattutto si riesce a farlo in una delle qualifiche più importanti, la sensazione è unica. Quella qualifica è sicuramente al primo posto nella mia scaletta delle emozioni”.


Ringraziamo Andrea Amico e PREMA Racing per averci gentilmente concesso l’intervista.

Fonti immagini: premaracing.com, dalecoyneracing.com

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