Quando Indianapolis si trasferì a Rafaela

IndyCarStoria
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di Federico Benedusi @federicob95
3 Luglio 2017 - 19:00
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La passione degli argentini per il motorsport è arcinota: basta dare un’occhiata ad una gara qualsiasi di un qualunque campionato nazionale dello Stato sudamericano per vedere tribune gremite di persone festanti, che incitano con grande calore tutti i piloti in gara, dal primo all’ultimo.

Il motorsport argentino ha radici antichissime: è sufficiente dire che il più antico campionato turismo attualmente in vita è proprio il Turismo Carretera, nato nel lontano 1939 e vinto, tra i tanti, nientemeno che da Juan Manuel Fangio, la cui storia è ben conosciuta.

Una passione che ha riguardato, e riguarda tuttora, ogni branca dello sport del motore. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, il mirino degli argentini viene puntato sul campionato USAC, noto oggi come IndyCar Series dopo l’unione di inizio 2008 con la Championship Auto Racing Teams (CART, o più recentemente Champ Car). “USAC” è l’acronimo di United States Auto Club, associazione che rileva il principale campionato statunitense a ruote scoperte nel 1956, quando la American Automobile Association decide di uscire di scena in seguito alle tragedie susseguitesi l’anno precedente (il disastro di Le Mans e la tragica scomparsa di Bill Vukovich alla Indy 500).

Quello dello USAC è il primo tentativo di esportazione del campionato a stelle e strisce, poi pienamente realizzato dalla CART negli anni ’90. Già nel 1957, con la 500 Miglia di Monza (la cosiddetta “Corsa dei due Mondi”) gli americani cercano di ricambiare il tentativo degli europei, decisamente goffo a dire il vero, di portare la loro visione del motorsport al di là dell’Atlantico.

Tornando all’Argentina, il sogno è quello di portarsi a casa gli “eroi di Indianapolis” e quindi di ospitare una gara della serie sanzionata USAC. La realizzazione avviene nel 1971, precisamente il 28 febbraio: il 49esimo campionato americano per monoposto prende il via dall’autodromo di Rafaela, nella provincia di Santa Fe. Gara inizialmente pensata come extra-campionato, ad invito, lo USAC decide di darle validità per il titolo ad appena dieci giorni dalla partenza delle vetture per l’Argentina, accorgendosi delle poche adesioni ricevute, per non scontentare gli organizzatori che hanno speso una lauta somma di denaro per adeguare il tracciato agli standard richiesti.

Se vuoi gli “eroi di Indianapolis” devi farli correre su un ovale e quello di Rafaela, per quanto riguarda l’Argentina, è l’Ovale con la “o” maiuscola. Una pista piuttosto atipica anche per gli USA, lunga quasi tre miglia (4624 metri, per la precisione) e dalla forma allungata, due curve con il 15% di pendenza e due rettilinei da circa un chilometro e mezzo.


L’Autodromo di Rafaela

La corsa assume la denominazione di “Rafaela Indy 300”. 300 miglia ma divise in due batterie da 150, perché gli argentini sono sempre molto originali e per tradizione sanno distinguersi dagli altri. Si iscrivono ben 37 piloti, anche se solo in 27 effettivamente parteciperanno, ma i migliori ci sono tutti: Al e Bobby Unser, con “Big Al” campione in carica, Mike Mosley, “Lone Star” Rutherford, Gary Bettenhausen, Gordon Johncock, Roger McCluskey e Lloyd Ruby, nonché il rookie of the year in carica Dick Simon e colui che a fine anno sarà campione a sorpresa, Joe Leonard. Grandi assenti, Mario Andretti e AJ Foyt: il primo è costretto a ritirare la sua iscrizione dopo un incidente accusato qualche giorno prima a Phoenix, durante un test di pneumatici, mentre il secondo preferisce correre (e vincere) una gara Nascar a Ontario. La entry list accoglie anche sei piloti di casa, tra i quali spicca “il Matto”, che già l’anno prima aveva cercato la qualificazione per la Indy 500: Carlos Pairetti.

L’organizzazione dell’evento è eccezionale, asfalto e guardrail sono costruiti con materiali di prima scelta e gli addetti alla pista sono altamente qualificati per rimuovere in fretta le auto incidentate. Anche al di fuori del circuito i piloti vengono trattati nel miglior modo possibile, in relazione alle condizioni piuttosto povere della zona: dal momento che non ci sono abbastanza hotel per ospitare tutti i piloti, alcuni sono costretti ad alloggiare come ospiti nelle abitazioni degli organizzatori della gara. L’unica pecca è l’eccessivo costo del biglietto, che penalizza immeritatamente l’evento dal punto di vista del pubblico.

L’attività in pista fatica a prendere il via. Dopo un lunedì di passerella, ancora al martedì il team Eagle e quello di Parnelli Jones non scoprono le carte. Scende finalmente in pista Carlos Pairetti, che corre nel team di Dick Simon, il quale si occupa anche di istruirlo riguardo la sua Vollstedt-Ford. Ci vuole però un interprete, perché Pairetti non mastica l’inglese e tantomeno Simon sa lo spagnolo: Pairetti e l’interprete non si capiscono e il pilota argentino impiega ben sette tentativi per riuscire a far partire la sua vettura. Passata l’incertezza, Pairetti scende in pista; dopo un breve consulto con il pilota-manager, Pairetti gira a 252,243 km/h di media e inizia già a discutere con Simon di un nuovo tentativo a Indianapolis nel maggio successivo. Gli altri argentini iscritti hanno invece problemi con l’assicurazione delle loro vetture e, oltre a Pairetti, solo Carlos Salatino ottiene l’autorizzazione a girare.


La vettura di Carlos Pairetti

Mercoledì si alza il vento ma anche i piloti più blasonati iniziano finalmente a girare. Alle 9:30 del mattino, la Watson-Ford di Mosley segna un 255,338 km/h. Nel corso del pomeriggio le temperature si alzano e i tempi iniziano a migliorare sensibilmente, scende in pista anche l’avveniristica e poco veloce Glen Bryant #54 di Rick Muther. Gli addetti alla sicurezza vengono chiamati in causa per la prima volta per spegnere il piccolo incendio divampato dal motore Offenhauser della Eagle di Bill Simpson. All’improvviso iniziano i fuochi d’artificio: Bobby Unser spinge la Eagle-Offenhauser a 271,138 km/h di media, mentre Al porta la sua Colt-Ford del team Parnelli a 269,385 km/h. Si spengono invece i sogni di Salatino, fermato dalla rottura di un tubo dell’olio.

Con l’avvicinarsi delle qualifiche, al giovedì, l’attività diventa fervente. La prima notizia che giunge è quella riguardante la correzione della lunghezza della pista: dal ricalcolo emerge la misura attuale di 4624 metri, contro i 4618 originari. Si verifica il primo serio incidente quando l’assale anteriore della Morris-Ford di Salt Walther, che lamentava problemi alle sospensioni, implode letteralmente spedendo lo sventurato pilota contro il muro. Fortunatamente nessuna conseguenza per lui, mentre la vettura sta decisamente peggio. Nel corso del pomeriggio si ripete il copione del giorno precedente: Bobby Unser scende in pista e inizia a macinare giri veloci, finché non decide di far perdere qualche anno di vita al patron Dan Gurney completando una tornata alla media di 279,105 km/h: ebbene sì, a Rafaela si va più forte che a Indianapolis, molto più forte. A febbraio 1971 la media record nel catino dell’Indiana era di 276,097 km/h, anche se da lì a qualche mese Peter Revson avrebbe migliorato quella velocità di quasi 12 km/h. Il secondo tempo assoluto lo registra l’altra Eagle ufficiale, quella di Swede Savage, che tuttavia si ferma a 274,720 km/h di media. Procede anche il lavoro di Pairetti, che tuttavia si lamenta della pochezza della sua vettura: Simon storce il naso ma, dopo averci percorso qualche giro, si convince che “il Matto” ha ragione. Anche Al Unser non è contento, non tanto perché la Eagle del fratello si è rivelata essere un missile ma più per il fatto che è lui ad andare troppo piano: viene decisa la sostituzione del suo motore Ford, nella speranza che la nuova unità montata sia più performante.

Giunge il venerdì, giorno delle qualifiche. Il sistema è sempre lo stesso: giro lanciato, due giri cronometrati, giro di rientro. E il fatto che le qualifiche ricalchino quelle tradizionali delle gare su ovale agli argentini, ovviamente, non piace, ma stavolta devono piegare al regolamento la loro impellente esigenza di vedere Bobby Unser migliorare ulteriormente il record del giorno prima. Il sorteggiato numero 1 è Rick Muther, che non gira poiché la sua vettura, sostanzialmente, è tanto inadeguata da essere una bomba ad orologeria: sta aspettando dei pezzi nuovi per le gare di domenica e non rischia oltre. Dopo una serie di piloti più lenti tra i quali spicca Johnny Rutherford, pilota già conosciuto ma non ancora esploso del tutto, alla guida di una poco competitiva Vollstedt-Offenhauser, arriva il turno di Mike Mosley, che tuttavia rinuncia al suo tentativo per un problema ad una valvola. Credendo che questa fosse una tattica per vedere fino a che punto si sarebbero spinti gli avversari, anche Lloyd Ruby decide di riposizionarsi in fondo alla lista. Joe Leonard stacca, a 272 km/h di media, il primo vero tempo significativo della qualifica. Pairetti invece dimostra nuovamente di essere un pilota di cui tenere conto, piazzando la Vollstedt in 17esima posizione davanti a piloti ben più esperti. Savage realizza un tentativo davvero “selvaggio” e sfiora il record, arrivando a 278,600 km/h nonostante il forte vento e ottenendo un fragoroso applauso da parte del pubblico presente. Arriva poi il momento degli Unser: “Big Al” lotta contro il mulino a vento rappresentato dalla sua Colt-Ford, che su un tracciato del genere non gli permette di essere sufficientemente veloce, mentre il tanto atteso Bobby paga un problema al turbo e deve accodarsi al fratello. Mosley si piazza successivamente tra i due Unser prima che Lloyd Ruby piazzi la pole definitiva alla media di 278,787 km/h. Per poco, dunque, l’urlo di gioia per il nuovo record della pista rimane soffocato nelle gole dei presenti: troppo vento a disturbare le vetture affinché il tempo di Bobby Unser, che rimarrà dunque nella storia, venga battuto.


La prima fila dello schieramento: Lloyd Ruby davanti a Swede Savage

La griglia di partenza, dunque, dice Ruby e Savage in prima fila, “Big Al” e Mosley in seconda, Bobby e Leonard in terza. Dopo la pausa del sabato, alle 15:26 di domenica 28 febbraio 1971 Tony Hulman pronuncia: “Ladies and gentlemen, start your engines!”. La cronaca della gara trova spazio nella neonata radio LT28, dove il giornalista Leonello Bellezze annuncia: “È un evento senza precedenti: Indianapolis è stata trasportata a Rafaela!”. Iniziano i giri di ricognizione, durante i quali Pairetti lamenta un problema meccanico velocemente risolto, e alle 15:31 l’ingegner Ero Borgogno, direttore della sezione automobilistica del Club Atlético de Rafaela, cala la bandiera verde per l’inizio della prima gara.


L’ingegner Borgogno dà il via alla gara

Il primo colpo di scena non si fa attendere poiché dopo soli tre giri il motore Offenhauser di Bobby Unser va in fumo. Per lui la giornata è finita, non potrà prendere parte nemmeno alla seconda corsa. Intanto Al Unser eredita la leadership di Ruby con Savage, Bettenhausen e Mosley subito dietro. Il campione in carica effettua il rifornimento al 24esimo giro, imitato da Mosley, mentre Ruby e Savage continuano a dettare il passo. Savage si ferma al giro 30, rientrando alle spalle del duo Unser-Mosley. Ruby, rimasto solo al comando, effettua la sosta al termine della 36esima tornata, accodandosi a sua volta. Unser e Ruby cambiano passo, superando Mosley che aveva dapprima preso la prima posizione. Mentre Unser si invola, Mosley cerca di strappare la piazza d’onore a Ruby, che resiste mentre il pilota della Watson-Ford si ferma proprio durante l’ultimo giro, conservando tuttavia il podio poiché i piloti alle sue spalle sono stati tutti doppiati. Quarto è Savage, quinto McCluskey, sesto Leonard, settimo Rutherford, buon 12esimo Pairetti.

Con l’assenza di Bobby Unser, 26 vetture prendono il via della seconda corsa alle 17:45. Al Unser parte fortissimo dalla prima posizione (griglia di partenza data dall’ordine d’arrivo di gara-1) e guadagna subito vantaggio su Ruby, stabilendo giri veloci a ritmo da qualifica sui 278 km/h di media. Dopo sette giri, Ruby è distante tre secondi. Al termine del nono giro Mosley entra ai box e si ritira, mentre poco dopo lo stesso Ruby inizia a procedere lentamente dopo un contatto col muro. La gara viene interrotta per il bruttissimo incidente occorso alla Finley-Offenhauser di Bentley Warren alla “Curva Nord”: la vettura prende fuoco ma il pilota è illeso.

Dopo un’ora di interruzione, durante la quale molti piloti ne approfittano per rifornire le vetture, la gara riprende con 43 giri da percorrere. Con Ruby scivolato a fondo classifica, Unser precede ora Savage e Leonard. Ruby impiega otto giri per tornare in seconda posizione, al 13esimo passaggio il suo ritardo da Unser è però di oltre 10 secondi. Dopo il rifornimento del 24esimo giro, Unser retrocede in quarta posizione ma torna puntualmente al comando in seguito alle soste di Leonard, McCluskey e Savage. Con il sole ormai calato all’orizzonte e un temporale in arrivo, la Direzione Gara decide di porre fine alle ostilità con tre giri d’anticipo: vince ancora Unser su Ruby, Leonard, McCluskey, Savage e Simon, mentre Carlos Pairetti è buon nono a tenere alti i colori argentini.


Pannello commemorativo della gara

Nonostante i tantissimi riscontri positivi, tanto che Tony Hulman disse: “Se negli USA ci fosse la passione che c’è qui, correremmo sulla Luna”, i problemi economici dello Stato argentino e dello stesso Club Atlético de Rafaela impedirono una replica negli anni successivi. La Rafaela Indy 300 del 1971 è al momento l’unica gara di IndyCar disputatasi sul suolo argentino. Il circuito ospita tuttora varie corse dei campionati nazionali argentini, ma gli standard di sicurezza sono ben lontani da quelli richiesti attualmente dalla IndyCar: i muretti in cemento e un piccolo laghetto posto troppo vicino alla “Curva Sud” non sono assolutamente compatibili con una categoria che negli anni ha conosciuto un incredibile miglioramento dal punto di vista della sicurezza, con esempi lampanti quali la stessa Dallara DW12 e l’uso delle barriere SAFER. Chissà che tra qualche anno l’Automóvil Club Argentino non ripensi a quanto accaduto nel febbraio di ormai 46 anni fa, decidendo di adeguare il suggestivo ovale di Rafaela per riportare la IndyCar in terra d’Argentina.

Immagini: f1-web.com.arregionoeste.com.ar

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