Indycar | 15 anni di barriere SAFER

IndyCar
Tempo di lettura: 7 minuti
di Andrea Gardenal
8 Maggio 2017 - 09:00
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Domenica 5 maggio 2002, prima giornata di prove libere in vista della 86ª edizione della 500 Miglia di Indianapolis: tra i piloti in pista c’è Robby McGehee, 29 anni, alla sua quarta stagione nella Indy Racing League. Ad un certo punto lo pneumatico posteriore sinistro della sua Dallara-Chevy  #10 perde pressione e la monoposto finisce contro l’esterno della curva 3. L’impatto è violentissimo e il pilota ne esce con fratture alla schiena e alle gambe.

 

 

L’incidente, apparentemente uno dei tanti nella storia dell’Indianapolis Motor Speedway, è a suo modo storico, perché è il primo che ha visto in azione le barriere SAFER, poste all’esterno delle quattro curve dell’ovale dell’Indiana. SAFER, che in inglese significa “più sicuro”, è in realtà un acronimo che sta per “Steel And Foam Energy Reduction” ed è il nome con cui vengono indicate le strutture di protezione poste davanti al muro di cemento negli ovali americani.

A 15 anni di distanza dall’incidente, McGehee ha rilasciato un’intervista per il sito ufficiale della Indycar nella quale ripercorre quegli attimi. “Il primo ricordo che ho è il dolore lancinante che ho sentito immediatamente dopo l’urto. La cosa bella, però, è che io potevo sentire quel dolore, ero cosciente” ha detto l’ex pilota di St.Louis, che oggi è un dirigente della Smith McGehee Insurance Solutions. “Sono finito contro il muro con la parte posteriore della macchina a 218 miglia orarie. Senza quel mezzo metro di deformabilità garantiti dalle barriere probabilmente non sarei rimasto cosciente dopo l’incidente, e ogni volta che si perde coscienza c’è il rischio che vengano a crearsi danni cerebrali. Ho ancora la foto della macchina incidentata, inclinata su un fianco dopo l’urto iniziale: ogni tanto la guardo e penso «Caspita, sono felice di essere qui»”.

Al giorno d’oggi la maggior parte degli ovali americani (e la totalità di quelli in cui corre la Indycar) è dotata di questo sistema di protezione posto davanti al muro all’esterno delle curve e, in generale, in ogni punto potenzialmente pericoloso; è stato però proprio l’Indianapolis Motor Speedway il primo impianto a dotarsi di queste barriere protettive.

L’invenzione delle barriere SAFER è da attribuirsi ad un gruppo di ingegneri dell’Università del Nebraska che, a partire dal 1998, hanno iniziato a concepirle e a svilupparle in collaborazione con la INDYCAR. “Il nostro obiettivo era ridurre il rischio di lesioni del 50%: nei fatti, si può vedere che siamo riusciti a ridurre il rischio di lesioni gravi del 75%” ha detto il dottor Dean Sicking, leader del team di lavoro che ha portato all’invenzione delle barriere SAFER.

Una barriera SAFER ha una struttura tutto sommato semplice: è composta da cinque tubi in acciaio impilati uno sopra all’altro e poi saldati tra loro, dietro ai quali sono piazzati dei pannelli in polistirene espanso che fungono da cuscino in schiuma. Le dimensioni dei singoli pezzi sono standard: i tubi hanno un’area di base di 8 pollici quadrati (circa 50 cm2), sono lunghi 20 piedi (6 m) e sono spessi 3/16 di pollice (5 mm), mentre ognuno dei pannelli di polistirene è spesso 2 pollici (5 cm). Questi elementi modulari vengono collocati davanti al tradizionale muretto in cemento e uniti uno all’altro in modo da formare una barriera continua.

La combinazione delle due parti che compongono la struttura (la schiuma in polistirene espanso e le barriere in acciaio) non solo attenua l’entità dell’impatto, ma ne modifica completamente la dinamica rispetto a quanto accade col semplice muro in cemento, dividendo l’urto in due momenti distinti. “La massa della barriera è studiata in modo che nel primo impatto la velocità del veicolo si dimezzi” spiega Sicking. “Successivamente il muro si deforma andando a comprimere i blocchi in polistirene. A questo punto il pilota viene spinto verso l’esterno dell’abitacolo, allungando le cinture di sicurezza; quando queste sono completamente estese spingono il pilota nella direzione opposta”.

Quando le barriere in acciaio comprimono al massimo la schiuma, le forze sulla macchina aumentano nuovamente, ma il pilota non le percepisce perché in quel momento viene spinto indietro dalle cinture verso il sedile. “Nel momento in cui si verifica il secondo impatto, l’intensità della forza raggiunge un picco che è pari all’85% di quello che si vede in un incidente contro un normale muro in cemento”, ha proseguito Sicking, “[Con le barriere SAFER] riusciamo a separare ogni incidente in due eventi distinti e a fare in modo che il secondo non venga percepito dal pilota”.

La cosa più importante che abbiamo notato dall’adozione delle barriere SAFER è stata la riduzione delle forze che si sviluppano negli impatti” ha detto Jeff Horton, che ricopre il ruolo di director of engineering and safety per la INDYCAR. “Uso come metro di paragone l’Indianapolis Motor Speedway, perché è lì che si registrano gli incidenti più violenti: in passato le sollecitazioni raggiungevano e superavano i 100G, oggi nella maggior parte degli impatti le forze si aggirano tra i 60 e i 65G”.

L’incidente di McGehee ha aiutato Sicking e il suo team di lavoro a sviluppare una seconda versione delle barriere SAFER, che al giorno d’oggi rappresenta lo standard nei superspeedway e che è stata introdotta a 2003 inoltrato. “Avevamo preparato le barriere pensando ad un impatto con la parte posteriore della vettura, ma pensavamo che al momento dell’incidente le gomme sarebbero state in pressione. In realtà, analizzando vari incidenti, abbiamo scoperto che la maggior parte delle volte le gomme si afflosciavano prima di urtare il muro” ha aggiunto Sicking.

Nelle barriere originali il tubo inferiore aveva un’altezza maggiore rispetto agli altri, ma nell’incidente di McGehee si era bucato proprio perché la macchina era finita contro le protezioni ad un’altezza inferiore rispetto a quella stimata inizialmente: nella seconda versione delle SAFER, tutti i tubi in acciaio che compongono le barriere hanno la stessa altezza (8 pollici, ovvero 20 cm). Altre modifiche riguardano la forma dei blocchi in polistirene e la struttura delle saldature tra un tubo in acciaio e l’altro, che ora è progettata in modo da rompersi quando le forze d’impatto sono eccessive: in questo modo il muro risulta più elastico.

Al giorno d’oggi la INDYCAR e la NASCAR collaborano con l’università del Nebraska per assicurare che l’efficacia delle SAFER rimanga la stessa col passare degli anni. “Non ci sono state molte discussioni a proposito di un nuovo progetto: il principale argomento di interesse è la longevità di queste barriere” ha spiegato Jeff Horton; “Ora che sono passati anni dalla loro introduzione vogliamo essere sicuri che il tempo non porti ad una diminuzione delle loro prestazioni. Negli ultimi tempi si è via via aumentata la superficie ricoperta dalle barriere, sia all’esterno del tracciato che all’interno, perché è incredibile dove le macchine possono finire”.

Una grande spinta in tal senso si è vista dopo l’incidente di Jeff Gordon a Las Vegas nel 2008, finito contro il muretto interno non protetto dopo una collisione con un’altra vettura. Gordon è uscito da quell’incidente dolorante ma senza fratture, tanto che la settimana successiva era nuovamente in pista, ma da lì in poi i vari impianti hanno costantemente aggiunto materiale protettivo anche nella parte interna della pista.

Vorrei essere ricordato più per essere stato il rookie of the year per la Indy 500 del 1999 che per questo, ma tra 100 anni la gente ricorderà il mio nome solamente per essere stato il primo a testare questa nuova tecnologia che, probabilmente, sarà ancora in funzione. Mi sento fortunato ad essere sopravvissuto ad aver continuato a correre e a fare quello che sono riuscito a fare” ha detto McGehee, a conclusione delle sue dichiarazioni. “Non ho mai vinto a questo livello, nonostante ci sia andato vicino tante volte, ma sono ancora in grado di camminare, ho tre gemelli di 8 anni e una moglie fantastica”.

È una cosa incredibile riuscire ad uscire dalla macchina e a camminare con le proprie gambe dopo aver urtato il muro a queste velocità. Da pilota posso dire che ogni cosa che lavora a nostro favore per salvare le nostre vite in situazioni difficili ci aiuta a dormire un po’ meglio la notte. Questo è uno sport che è intrinsecamente pericoloso. L’amore e la passione per lo sport ci permette di non tenerne conto, ma comunque cose del genere aiutano a sentirti meglio

 

Immagine di copertina da indycar.com

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