Imola, Ayrton, Roland e quell’aria che non passa mai

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 1 Novembre 2020 - 01:45
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Imola, Ayrton, Roland e quell’aria che non passa mai

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Imola sa di loro anche se il tempo continua a scorrere

Dal weekend del 1994 sono passati 26 anni, ma è come se fosse sempre l’anno scorso. Per quante edizioni si siano corse dopo quella tre giorni, per quanto le Formula 1 abbiano continuato a danzare tra le colline di Imola per altri dodici anni, l’istantanea che si associa a questa pista è una di quelle che sono rimaste impresse di quel fine settimana. Sono tutte tragiche.

Alla vista delle prime monoposto in pista ieri mattina il momento che mi è tornato in mente è quello che personalmente non potrò mai dimenticare, che resterà sempre fisso e che ha segnato in qualche modo il mio legame verso questo sport, forse perché il primo in ordine cronologico di una crudezza rara; quel casco bianco/rosso che lentamente ruota inerme sul lato sinistro dell’abitacolo, fino a fermarsi. L’incidente mortale di Ratzenberger è stato l’evento che mi ha svegliato dall’idea che non potesse mai succedere nulla a quei fenomeni che correvano qua e là in giro per il mondo.

Il giorno prima lo spavento per Rubens mi aveva lasciato un brivido. Avevo capito quanto sottile fosse il limite tra il rimanere in pista e volare letteralmente via, da passeggeri della monoposto.

Il giorno dopo ancora quella scena: il casco giallo di Ayrton che, ripreso dall’elicottero, ha un sussulto ed io che dico speranzoso a mio papà “Hai visto? Si è mosso”. Ricordo il suo volto, quello di chi aveva capito ma non sapeva come dirmelo. E poi i medici, quella macchia di sangue enorme a terra, l’elicottero che vola via e le ore di attesa fino all’annuncio del dramma.

Per altri dodici anni si è continuato a correre il Gran Premio di San Marino, ogni anno con un momento di dedica per quanto era successo ma in una logica di prosecuzione temporale, di abitudine, di tradizione che, forse, non ha dato modo di pensare e ricordare fino in fondo, di “staccare”.

Rivedere le Formula 1 ad Imola dopo 14 anni non ha riportato alla mente il 2006 ma direttamente il 1994. Come se ci fosse un filo da ricongiungere e come se quel weekend fosse in realtà vicinissimo. Il Tamburello, per quanto cambiato, parla ancora di quel giorno. Ad ogni monoposto che ci passa ti viene in mente che “è successo qui”. Che in quella curva, in quel giorno, a quell’ora e a quei minuti la Formula 1 è morta insieme al suo Campione.

Non sarebbe più stata la stessa: queste monoposto sono figlie di quanto successo proprio in quel weekend. Gli standard di sicurezza, l’halo, tutto quello che oggi in F1 serve a proteggere il pilota è conseguenza di un percorso iniziato alle 18:40 di domenica 1° maggio 1994, il momento in cui lo sport ha saputo di aver perso il suo simbolo, il secondo uomo in due giorni. Troppo perché lo spettacolo potesse continuare senza conseguenze.

Nella foto di questo pezzo c’è anche Schumi. Da sette anni a questa parte tutte le immagini di Imola ’94 mettono ancora più tristezza. Michael era dietro alla Williams, nelle foto dell’ultimo giro, nel video che riprende Ayrton uscire di pista. E fa male pensare a quanto la vita sia stata ingrata con entrambi.

Imola parla. Di Ayrton, di Roland, delle foto e delle dediche che li ricordano. E questo Gran Premio a porte chiuse lo voglio immaginare come un modo intimo per la Formula 1 di tornare qui; in punta di piedi, chiedendo permesso, rendendo omaggio a chi non c’è più con i soli motori a parlare.

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