Imola ’94 | Rubens, l’inizio dell’incubo

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
29 Aprile 2019 - 23:00
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Le telecamere inquadrano Ayrton giungere verso la Tosa. Il giro appena completato gli vale la prima posizione in qualifica.

Poi uno stacco, un cambio di inquadratura. Una monoposto, o quello che ne resta, si ferma a ruote all’aria inquadrata da lontano. Una ruota solitaria si allontana dai resti con ancora attaccati pezzi di sospensione, fino a fermarsi a testa in giù. Ci vuole un’altra ripresa per capire che si tratta di una Jordan, ancora qualche secondo in più per capire che il pilota all’interno, immobile, è Rubens Barrichello. Bandiera rossa, la prima del weekend di San Marino del 1994.

Da un 14″ è difficile vedere molto di più. I commissari e gli uomini della CEA arrivano in pochissimi secondi. In modo poco ortodosso, forse anche pericoloso, ribaltano la monoposto riportandola in piano, con il casco del pilota che viene sbattuto qua e là. Arriva anche il Prof. Sid Watkins, il medico della F1. Non ha idea di cosa lo aspetterà in quel weekend, come tutti noi. Il casco di Rubens non si muove, è completamente immobile. Gelo su una sedia, immobile anch’io davanti a quel piccolo schermo.

Sono attimi di apprensione. Niente internet, niente social. Dopo un minuto arriva un primo replay e la schiena sente un brivido percorrerla. La Variante Bassa, la Jordan che arriva forse troppo forte, scoda, scivola sulle quattro ruote. Rubens frena, le gomme si bloccano e fumano ma non c’è niente da fare. La monoposto incontra il cordolo: non quelli di adesso, vernice su asfalto, ma quelli di allora. Cordoli, appunto. Veri. La Jordan decolla, vola. Venticinque anni dopo rivedo quel replay e mi rendo conto di un dettaglio a cui forse non ho mai dato abbastanza peso. La via di fuga è abbastanza stretta da permettergli di colpire almeno l’ultima fila di pneumatici di protezione con le ruote di destra. Altri cinque metri e avrebbe scavalcato tutto il muro di gomme e non posso, non voglio immaginare come sarebbe andata a finire. La Jordan si impenna col retrotreno puntando il muso verso terra. Quando il musetto affonda nel terreno tutta la monoposto rimbalza, il casco di Rubens sembra una molla impazzita dentro l’abitacolo. Ricade, torna su un fianco e compie un giro e mezzo prima di fermarsi con le ruote di sinistra all’aria, inclinata sul lato destro, dove non c’è più nulla. Nel ruotare su se stessa fa impressione il braccio inerme di Rubens completamente fuori dall’abitacolo. Spaventa.

I medici si agitano intorno al giovane brasiliano. La concitazione del momento mette ancora più ansia. Uno dei soccorritori si mette a cavallo del roll-bar: non immaginavo che avrei rivisto quella scena, ripresa dallo stesso elicottero, due giorni dopo. Mentre altri replay aumentano l’apprensione, Rubens viene estratto dai resti della monoposto e sdraiato a terra. Non sappiamo nulla. Ci vorranno minuti ed altri minuti ancora per sentire che è vivo, che tutto sommato è un miracolato. Al centro medico gli verranno diagnosticate una costola incrinata, la rottura del naso ed una contusione ad un braccio. Sarà lo stesso Ayrton a rassicurare tutti sulle condizioni del suo giovane collega, dal quale è accorso istantaneamente. 

Un sospiro di sollievo si fa spazio dopo minuti di terrore. Nella mia ingenua mente da undicenne penso che il peggio sia passato, che sarà un altro weekend di gioia e divertimento con quelle macchine che, da qualche tempo, mi rubano le domeniche e che disegno su dei fogli A4. Sarebbe bello ricordare così quel fine settimana ma, quel venerdì, è solo un antipasto: l’inizio dell’incubo che, dopo venticinque anni, per alcuni non è ancora finito. Forse anche per Rubens, il sopravvissuto di Imola 1994.

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