Imola 1994, rito di iniziazione per una generazione alla F1 e ai suoi rischi

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
1 Maggio 2023 - 00:55
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Per un’intera generazione di appassionati, quella nata genericamente negli anni ’80, Imola 1994 è stata indiscutibilmente il rito di iniziazione alla Formula 1, il più tremendo che la natura mette a disposizione

La morte in diretta, per un ragazzino, è il più grande pugno in faccia che la vita possa riservare. Abbinata ad uno sport che si segue da relativamente poco e del quale non si è ancora conosciuto il lato oscuro, fa malissimo.

Genericamente parlando, chi c’era nel weekend di Imola 1994 (in pista, dal vivo, in televisione, poco importa) è accomunato da un’esperienza tragicamente indimenticabile.

Per passione tramandata è difficile immedesimarsi in chi c’era l’8 maggio 1982, quando Gilles perse la vita a Zolder. Lo puoi vedere e rivedere, puoi fartelo raccontare, ma la differenza la fa tutta l’esserci o meno, spettatore diretto o a distanza. Allo stesso modo credo sia difficile, per chi non c’era, capire a fondo l’ansia provata nel weekend di Imola. Un fine settimana iniziato male con il botto di Rubens e finito peggio; con quella sensazione di negatività che, giorno dopo giorno, si è alimentata quasi come un’escalation da film drammatico.

Per dei ragazzini quali eravamo noi, che disegnavamo le macchinine su fogli di carta e ci lasciavamo ammaliare dai V12 che strillavano sul dritto, il casco di Roland che penzola inerme nell’abitacolo della Simtek resta un’immagine marchiata a fuoco nella mente.

È la diretta che ti colpisce: il fatto che tu sia lì, in quel momento, ad assistere alla storia che si compie nel più triste dei modi. Paradossalmente ricordo l’incidente di Roland come qualcosa di più traumatizzante di quello di Ayrton. Perché è stato un fulmine, uno shock, una sveglia improvvisa da un mondo che pensavo paradisiaco e basta. Non lo era, non lo sarebbe stato nemmeno dopo, ma l’ho capito in quel momento.

Nemmeno il tempo di chiedersi come fosse successo e, il giorno dopo, ecco l’altro pugno in faccia. Stavolta dal nome inimmaginabile. Ayrton. Perché se quella di Ratzenberger stava già per essere catalogata come la fatalità dell’ultimo arrivato, l’impatto della morte di Ayrton cambiò le prospettive di tutto; della F1, di chi la comandava, del mondo sportivo intero.

In quel weekend la F1 presentò il suo conto, anche a noi piccoli e nuovi spettatori. Fu una prova della sua crudeltà, della quale evidentemente avremmo fatto volentieri a meno. Eppure arrivò, così, inaspettata, violenta, tremendamente vera.

“Questa è la realtà, accettala o lascia perdere”. Era quella piccola passione che stavamo imparando a conoscere che ci stava parlando. C’era da scegliere se continuare, accettando che la morte facesse parte di quel gioco pericoloso, oppure lasciare perdere quel mondo dove la vita era in bilico su un filo ai 300 all’ora.

Tanti che quel weekend c’erano, molto probabilmente, la F1 non la seguono più. Alcuni magari hanno abbandonato direttamente il giorno dopo, altri hanno smesso nel corso degli anni, stanchi magari dei troppi cambiamenti. Eppure, che seguano o non si interessino più, sono sicuro che basti pronunciare “Imola 1994” per riportarli indietro di quasi tre decenni, ad un weekend che ha cambiato la storia; di uno sport, di intere famiglie, di una generazione oggi adulta che, dal cuore, sente tornare un po’ di dolore in queste giornate del ricordo.

Immagine: ANSA

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