Il saluto più difficile per Jules Bianchi

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 21 Luglio 2015 - 14:00
Tempo di lettura: 3 minuti
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Il saluto più difficile per Jules Bianchi
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Quando si saluta un pilota per l’ultima volta, il casco tra le mani dei parenti o adagiato sul feretro è sempre il simbolo ultimo di una cerimonia straziante. Perché parla al presente e al passato, racconta quello che è stato e quello che non sarà più, o che sarà per sempre.

Pur essendo per molti un semplice oggetto, il casco è il pilota. E’ quello che vediamo in pista, è l’immagine che distingue la persona in quel frangente, in quella gara, nella sua carriera. Il casco nelle mani di un padre, di una madre, all’interno di una chiesa, rappresenta l’ultima parte di un figlio che si può ancora abbracciare, accarezzare, guardare come se si guardasse lui, seduto nella propria monoposto, pronto a partire.

La memoria torna al funerale di Ayrton, per citare l’ultimo in ordine di tempo in F1. Ma negli ultimi anni abbiamo dovuto affrontare le scomparse di Dan Wheldon in Indycar e, una settimana più tardi, quella di Marco Simoncelli. Era il 2011. Sempre con un casco tra le mani di qualcuno, sul serbatoio di una moto, a fare le veci di chi non c’è più, o che grazie proprio a quel casco resterà nella memoria.

L’ultimo saluto a Jules Bianchi è stato intenso nella sua sobrietà, e lo si può scorgere dalle immagini dei ragazzi intorno al feretro, proprio da loro accompagnato a spalla fuori dalla chiesa. Vettel, Grosjean, Maldonado, Massa, in lacrime. Ma tanti, tutti erano presenti, svestiti dai panni del pilota e indossati quelli dei coetanei. Da un Pastor incapace di trattenere le lacrime, abbracciato a Felipe anch’esso visibilmente commosso, a un Vergne dal volto distrutto. C’era anche Adrian Sutil, sfortunato testimone della tragedia in diretta, che ha sempre tenuto per sé quei momenti.

Questi ragazzi non avevano mai dovuto affrontare la morte di un collega. Erano 21 anni che la Formula 1 non si stringeva attorno a un suo pilota scomparso: alcuni di loro erano piccoli, alcuni piccolissimi. Quel giorno a San Paolo, come oggi a Nizza, era presente Alain Prost. Testimone non solo della scomparsa del numero 1, ma della fine di un’era di questo sport.

Venerdì si torna in pista. Venti caschi torneranno a sfrecciare con i loro proprietari, che non saranno comunque più gli stessi. Avranno più consapevolezza del rischio che corrono, dei loro affetti, delle loro emozioni, di quello che possono perdere e lasciare inseguendo il loro sogno. E avranno, da domenica, un amico in più che li guarderà da lassù, con quel sorriso malinconico che abbiamo conosciuto e mancherà.

Ciao Jules.

 

Immagine: AFP

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