Sono le 7:17 di una assolata mattina a Talladega, Alabama. Come ad ogni gara sullo speedway più grande d’America, molti tifosi hanno passato la notte in bianco a bere birra e far festa. Probabilmente a quest’ora sono crollati e si sveglieranno solo poco prima della gara. I piloti invece o stanno ancora dormendo nei loro motorhome oppure hanno passato la notte in bianco tra ansie e rumori molesti e molto probabilmente non sanno quello che sta accadendo al di là dell’Atlantico.
Sono le 7:17 a Talladega quando la Williams n°2 di Ayrton Senna esce di strada alla curva del Tamburello al 7° giro del Gran Premio di San Marino mentre è in testa alla gara. Purtroppo non riprenderà più conoscenza e verrà dichiarato morto alle 11:40.
Internet è ancora agli albori e le informazioni faticano a viaggiare veloci. I giornali e le TV sono ancora il mezzo principale di informazione e la tragica notizia attraversa l’Atlantico grazie alla diretta della gara della F1 su ESPN. E per una strana coincidenza, nel turbinio dei diritti televisivi degli anni ’90, anche la gara della Cup Series verrà trasmessa su ESPN a partire dalle 12:30 locali, appena 50 minuti dopo la drammatica conferenza stampa dall’Ospedale Maggiore di Bologna.
A partire dalla pole è Ernie Irvan, ma il favorito assoluto è – come sempre qui – Dale Earnhardt. Il pilota della Chevy #3 però non è sereno. E’ la prima gara su uno superspeedway dopo la Daytona500 in cui, durante le prove libere, era morto Neil Bonnett.
Neil era uno dei suoi amici più stretti, se non il suo migliore amico. Con lui andava a caccia e a pesca nel tempo libero, con lui aveva condiviso moltissime giornate in pista e fuori. Già nel 1990 Bonnett aveva subito un terribile incidente che lo aveva lasciato in pericolo di vita e in seguito vittima di amnesie e vertigini. Credo che per una persona non ci sia cosa più terribile che il proprio migliore amico dimentichi in parte i bei momenti passati insieme. E, per crearne di altri, Dale offrì a Neil, dopo che si ristabilì, un posto da collaudatore al RCR. Tre anni dopo, nel 1993, il ritorno in gara a Talladega e ad Atlanta, qui in veste di gregario per rubare punti agli avversari per far vincere il titolo a Dale.
Poi, dopo l’inverno, l’incidente fatale di Bonnett e tre giorni dopo l’identica sorte per Rodney Orr, il quale tentava di qualificarsi per la prima gara in carriera e che poi seguì l’oblio di Roland Ratzenberger. Due incidenti in pochi giorni. Casualità o correlazione? Non lo sapremo mai, ma quasi sicuramente pagarono con la vita il fatto di essere nel mezzo di una classica guerra di gomme, in cui vige il motto “un fornitore è troppo poco, due sono troppi”, tra Goodyear e Hoosier. A Daytona l’adrenalina aveva distratto Earnhardt da altri pensieri, ma ora si arriva a Talladega a mente fredda, con tutto il tempo di riflettere su cosa è successo un paio di mesi prima.
La prima parte di gara viene dominata da Irvan e Earnhardt che si scambiano più volte la prima posizione, tranne per qualche breve interludio, come ad esempio quello di Todd Bodine. La gara è tranquilla nelle prime fasi, un po’ come domenica scorsa. Poi però, poco dopo metà gara, si infiamma.
Al giro 104 lo stesso Todd Bodine stringe Greg Sacks non sapendo che all’interno dei due si è infilato Jeff Gordon: dal sandwich nasce il classico big one di Talladega. Mark Martin non può evitare il mucchio e – senza freni – davanti al traguardo scarta verso sinistra, evita il muretto dei box, sfonda un primo guard-rail e si dirige pericolosamente verso un cancello che conduce all’interno del circuito. No, per favore no, il weekend tragico di Imola non ha bisogno di un altro drammatico incidente. Martin sfonda il cancello e poi si ferma contro un guard-rail posto davanti ad un basso terrapieno, per fortuna senza investire nessuno. E tutti possono tirare un sospiro di sollievo.
La paura è passata anche nella cabina di commento e – poco prima della ripartenza – Bob Jenkins rende nota al popolo d’America (qualora non ne fosse già venuto già a conoscenza) la morte di Ayrton Senna. Le poche parole elencano vittorie e successi, ma Jenkins decide di onorare la memoria del pilota brasiliano con due giri di silenzio, lasciando parlare i motori e le emozioni. Sono le 15:00 del 1° maggio 1994 a Talladega quando la gara riparte senza commento, ma passa soltanto un giro e c’è un altro big one. Verrebbe voglia di spegnere la TV e lasciar perdere questa giornata, ma anche in questo caso – per fortuna – tutti i piloti ne escono incolumi.
The show must go on e la coppia Earnhardt – Irvan continua a dominare fino all’ultima sosta a 22 giri dalla fine. Qui Dale decide di cambiare gomme mentre Irvan è costretto a due pit stop dato che lo spoiler a forza di aggiustamenti aerodinamici decisi (un eufemismo, data la forza bruta usata da Larry McReynolds per aumentarne l’incidenza) si sta staccando ed è obbligatorio rimetterlo in posizione.
22 giri alla fine ed entrambi i protagonisti ripartono fuori dalla top10, ma non c’è problema. Ai -10 sono di nuovo uno dietro l’altro nella top5, ai -5 Dale è di nuovo in testa. Un paio di doppiati crea confusione ma all’ultimo giro “The Intimidator” è sempre al comando con Irvan 4°. La rincorsa di Ernie è fenomenale ma non basta, sul traguardo è secondo a soli 6 centesimi da Earnhardt.
Come sempre in victory lane Earnhardt non lascia trasparire le emozioni. Tutti sanno che quella vittoria è per Neil e non serve neanche dirlo, ma stupisce tutti quando la prima frase che dice è:
I wanna send our thoughts and prayers to the family of Ayrton Senna and all his fans. He is [was] a great racer and is such a shame to see him go like he did. You know, it’s tough…
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Voglio mandare i nostri pensieri e preghiere alla famiglia di Ayrton Senna e a tutti i suoi fan. È [era] un grande pilota ed è un peccato che se ne sia andato così. Sai, è difficile…
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Chissà se prima della gara Dale aveva la TV accesa sul proprio motorhome oppure viene informato dai delegati dalla ESPN (la seconda ipotesi è la più probabile, date le immagini del feed del satellite e disponibili su YouTube), ma altrimenti non si spiega come lo sappia e tiri fuori quelle semplici parole in memoria di un campione che quasi sicuramente, secondo le fonti che ho interpellato, non ha mai incontrato in persona, ma di cui sicuramente ha guardato le vittorie principali e constatato la fama, pari alla sua.
Sette anni dopo quelle parole di grande stima postuma, a Dale Earnhardt toccò la stessa identica sorte. Anche per lui l’impatto contro un muretto di cemento ad una velocità molto simile, anche per lui la frattura della base cranica, anche per lui i soccorsi immediati ma inutili, anche per lui gli omaggi degli avversari e dei tifosi in onore del pilota più amato e odiato allo stesso tempo.
Ma l’altro capo dell’oceano tace. Non ci sono ancora i social media su cui esprimere il cordoglio, né una intervista dopo una gara, in quanto il mondiale di F1 inizierà soltanto due settimane più tardi. Niente di niente, tranne qualche articolo di giornale che a me – da appassionato vero – fa solo prendere in mano la classica matita rossa e blu da professore.
E come il weekend di Imola, anche la morte di Dale Sr. è l’epilogo di un periodo tragico per le rispettive categorie. La caccia al colpevole parte subito e la sicurezza di vetture e circuiti viene messa sotto accusa. Cinque incidenti mortali in quattro anni erano decisamente troppi, dato che nel 1997 nei Truck era morto John Nemechek, e solo l’anno prima erano mancati Tony Roper (nei Truck in Texas) e in New Hampshire Kenny Irwin e Adam Petty, nipote di “The King” Richard e figlio di Kyle. E la Nascar, come la F1 sette anni prima, disse stop. Dunque via all’impiego delle SAFER Barrier lungo le curve prima e poi lungo tutto il perimetro interno ed esterno dell’ovale, obbligo (e non più possibilità) di usare il collare HANS per ridurre il rischio di danni a collo e cervello e l’inizio dello studio di una vettura nuova, dalla sicurezza notevolmente superiore e che verrà chiamata “Car of Tomorrow”. E grazie a questi interventi – per fortuna – da quel 18 febbraio 2001 nelle tre serie principali della Nascar non ci sono stati più incidenti fatali.
Per l’ormai inaspettato omaggio doveroso della Formula 1 a Dale Earnhardt bisognerà attendere addirittura il 2014, quando la FIA decide che i piloti potranno scegliere il proprio numero personale da portare in gara. E Daniel Ricciardo sceglie il numero 3, in quanto usato sul suo primo kart, ma anche da “The Intimidator” in quanto ne era stato un suo fan. Daniel aveva solo 11 anni quando Dale è morto, ma evidentemente gli ha lasciato dei ricordi indelebili tanto da utilizzare non solo il #3, ma lo stesso numero con lo stesso stile.
L’omaggio è stato definitivo nello scorso novembre, quando Daniel tra le gare del Messico e del Brasile è stato spettatore della Cup Series in Texas. E in questa occasione ha potuto incontrare anche Dale Earnhardt Jr. indossando una maglietta di “The Intimidator” in versione “Black Knight” sulla nerissima Chevy #3 che incuteva timore quando era negli specchietti degli avversari.
E così, finalmente, con 16 anni di ritardo, anche la Formula 1 ha reso omaggio al grande campione scomparso a Daytona e, 23 anni dopo, quelle semplici parole in victory lane del pilota più grande dell’era moderna all’altro più grande campione dell’era moderna hanno trovato giustizia.
Un ringraziamento sentito a @nascarman_rr per le informazioni sugli orari di quel giorno e un’intervista a Earnhardt dopo quella gara.
Immagini: foxnews.com ; instagram.com/danielricciardo
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