Il più vergognoso ed egocentrico degli harakiri in una F1 da due pesi e due misure

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
21 Giugno 2019 - 22:52
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In queste due settimane Liberty Media ha avuto un’occasione irripetibile, un rigore a porta vuota. Erano anni che la Formula 1 non riscontrava questo risalto mediatico: non tanto per una gara che rischiava di diventare, per una volta, spettacolare nel vero senso della parola, cosa ormai abbastanza improbabile da tempo, ma per un evento che ha scosso l’ambiente, gli addetti ai lavori e posto un punto di domanda enorme sull’attuale significato di questo sport, sempre che si possa ancora chiamare così.

Liberty Media ha avuto tra le mani la possibilità di dare voce al vero cambiamento e dimostrare di volerlo davvero: non quello di un discutibile nuovo logo, non quello dell’abolizione ipocrita delle grid girl, non quello dei bambini vestiti da replicanti durante l’inno e neanche quello dell’affare eSport; questi sono palliativi, fanno parte del marketing. Parlo di quello che da anni gli appassionati chiedono, si aspettano, pretendono da quella che dovrebbe essere la massima serie dell’automobilismo sportivo e che, da ormai 15 anni, sputa in avanti mentre è lanciata a 300 all’ora. La lotta.

Chi comanda la Formula 1, dopo due anni e mezzo dall’insediamento, ha portato a casa senza proferire parola il più grande harakiri della sua breve storia, lasciando che si calasse una gettata di fango sull’immagine di questo sport nel momento peggiore per una figura del genere, ovvero quello in cui tutto il mondo ne parlava dopo anni. Si erano interessati tutti a quei cinque secondi che hanno stravolto la gara del Canada, alimentando tutte le discussioni possibili sull’argomento dal bar, ai social, agli uffici. Soprattutto, la decisione di punire Vettel aveva provocato l’indignazione di una percentuale vicina al 100% non tanto del pubblico da divano, quello che conviene o meno in base al momento, quanto di quello che il Motorsport ha contribuito a farlo diventare passione nell’immagine di chi lo ama. Al parere positivo sulla penalità di Emanuele Pirro (era in commissione), Gabriele Tarquini, Jolyon Palmer, Nico Rosberg, nomi che si possono contare sulle dita di una mano, si è contrapposto il mondo che evidentemente non posso elencare. Piloti non solo di Formula 1 ma anche di altre categorie sconcertati per una decisione illogica, contraria al buon senso ed al concetto stesso di sport motoristico. Fa sorridere che una delle critiche più forti alla decisione dei commissari del Canada sia arrivata da un pilota che con Vettel ha condiviso il box e momenti di scontro piuttosto marcati: Mark Webber. “Any of the stewards ever raced at the front in F1?”.

Quella andata in scena al Paul Ricard ha un solo nome: pagliacciata. L’ennesima di cui la Formula 1 non aveva bisogno, il colpo di grazia dopo due settimane assurde. Non posso commentare in altro modo il fatto che le prove portate dalla Ferrari vengano prima ritenute ammissibili e poi mostrate a chi la decisione l’ha presa due settimane fa. Indipendentemente dal fatto che ormai tutto il materiale possibile fosse ormai a disposizione del pubblico – telemetrie escluse – e che quindi non potesse esserci chissà quale prova schiacciante come sostenuto dalla Scuderia, richiamare i giudici del Canada per poi non interpellare neanche i piloti è stato sintomatico del fatto che non c’è mai stata alcuna volontà di rivedere l’episodio e che i commissari sono ancora convinti, in preda al protagonismo, dell’intenzionalità di Vettel di stringere Hamilton a muro. Appunto, un processo alle intenzioni dato che è stato ampiamente dimostrato l’esatto contrario.

Regole. Tante, troppe, sbagliate? Sicuramente, eppure io sono convinto che tutto dipenda sempre dall’applicazione. Non è sbagliata una regola secondo cui non puoi spingere qualcuno fuori dalla pista, è sbagliato non capire quando questa regola deve essere applicata o meno e quello del Canada è esempio lampante. Pirro ha lasciato intendere che, se non ci fosse stato il muretto di curva 4, Hamilton avrebbe sfilato Vettel all’esterno. Quindi con le quattro ruote oltre la riga bianca. Come sarebbe stato giudicato un sorpasso fuori pista, perché di questo si sarebbe trattato? E come saranno giudicati da ora in poi i millemila episodi che verranno posti sotto la lente d’ingrandimento da chi chiederà, ora, un’uniformità di giudizio che non c’è da secoli? Come quello delle libere di oggi, ad esempio, proprio tra Hamilton e Verstappen? Dove sono state elencate tutte le attenuanti del mondo per non dare neanche una reprimenda in un deserto nel quale Lewis è rientrato, dopo un’uscita, a un metro e mezzo dalla Red Bull che arrivava ben più veloce? 

Mi viene da dire che questa è una Formula 1 che vuole tutto tranne che cambiare o, ancor peggio, non ha idea di cosa sia il cambiamento. Che non capisce cosa gli appassionati vogliono davvero e castra chi esce dagli schemi. L’abolizione delle grid girl, già accennata prima, torna quindi alla memoria per capire il perbenismo che pervade in questo momento un ambiente nel quale chi ha una personalità esuberante, in pista e fuori, viene limitato e ricondotto sui binari. Verstappen è stato riportato sulla retta via al volante e nelle dichiarazioni a furia di penalità in alcuni casi demenziali. E non voglio credere (palle, lo penso eccome), che Vettel in realtà sia ancora vittima di quel vaffa in mondovisione ai danni di Charlie Whiting. Perché se ripenso alle penalità nemmeno investigate a chi gli zigzagava di fronte proprio in Canada l’anno scorso in qualifica, a quella presa in Austria con persino Sainz intento a difenderlo e a quella di due settimane fa beh… a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

D’altronde la Formula 1 attuale vive della contrapposizione tra Hamilton e Vettel. Il primo è un uomo immagine fatto e finito, ha già pronti contratti di qualsiasi tipo per quando deciderà di appendere il casco al chiodo, probabilmente dopo aver battuto i pochi record che restano di Schumacher. Proprio per il suo essere showman al di fuori delle piste Lewis è il personaggio ideale per uno sport che ha tremendamente bisogno di visibilità e di attirare utenti, numeri, sponsor, soldi. Vettel è un perfetto zero in termini di aiuto in questo senso. Non è social, divide pubblico con privato, moglie e figlie non si vedono mai, si sposa e quasi neanche in Ferrari sapevano del suo matrimonio. Però si permette di sbraitare via radio, dire quello che pensa, essere polemico. Al contrario del suo avversario che, sapientemente, tira costantemente un colpo al cerchio ed uno alla botte. Al venerdì dice di volere la lotta in pista, alla domenica si lamenta via radio quando la ottiene ma poi porta Sebastian sul gradino più alto. Subito dopo dice che se un pilota ti spinge verso il muro merità la penalità ma, infine, ammette che l’avrebbe fatto anche lui. Il perfetto modo di fare per questa Formula 1 che premia la paraculaggine al servizio della diplomazia. E Lewis, che oltre ad essere un fenomeno non è per niente scemo, questo l’ha capito da tempo.

Però, almeno a me, tutto questo fa abbastanza ribrezzo e non solo rapportato al mondo della Formula 1. Detto questo non mi stupirei se Vettel, alla fine dell’anno, decidesse in linea col suo stile di vita di salutare tutti. Nella sua posizione, almeno, io ci penserei. Nel caso Liberty Media avrebbe sulla coscienza anche questa decisione dopo aver silenziosamente appoggiato lo scempio di questi quindici giorni.

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