Il perché dello scetticismo su Las Vegas. Ma non tutto è colpa della nuova gara

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
10 Novembre 2023 - 14:02
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La gara sulla Strip suscita scetticismo sin dal suo annuncio. In parte comprensibile, ma non bisogna esagerare

Tempo una settimana e le monoposto di F1 avranno già chiuso le prime due prove libere a Las Vegas. Ad un anno e mezzo dall’annuncio del ritorno del Circus in Nevada è ormai tutto pronto per l’appuntamento da molti definito come evento sportivo dell’anno.

Attorno al GP di Las Vegas c’è del grande scetticismo e non mi astengo dal condividere gran parte delle motivazioni per cui questo GP resta fondamentalmente indigesto. Restano però alcuni dettagli che secondo me vanno divisi dall’appuntamento in sé, perché parte di una routine ormai consolidata da tempo e che non ha nulla a che fare, in questo caso, con questo evento.

Il GP di Las Vegas è la massima espressione delle intenzioni di Liberty Media di americanizzare uno sport europeo, in un tiro alla fune che sta progressivamente strappando radici insediate per settant’anni da questa parte dell’Atlantico. Oltre ad essere la terza gara statunitense in calendario dopo Miami ed Austin – e anche questo mi sembra esagerato – si distingue da queste perché organizzata direttamente dal proprietario della F1, che ha investito centinaia di milioni di dollari per l’acquisto di terreni, la costruzione di strutture e, appunto, tutto ciò che concerne l’organizzazione dell’evento.

Questo è forse lo sgarbo più grosso che un vecchio appassionato non accetta: aver comprato uno sport europeo ed aver puntato tutto su una città americana per creare l’evento clou. Mi chiederete “ok, ma in Europa dove l’avresti fatta una cosa del genere?”. Non lo so, ma il dubbio che ho è che al quartier generale non si siano manco posti la questione e che l’imprinting sia solo e soltanto quello dell’americanizzazione.

Del resto, l’Europa fatica: Francia e Germania non hanno più un GP perché fuori budget, i costi di organizzazione sono sempre più alti per uno standard di lusso che richiede requisiti tosti (e sempre maggior spazio per l’extra pista) e che si scontra con strutture non all’avanguardia, che hanno bisogno di riammodernamenti pesanti come a Monza. Tutto il contrario di altre parti dove i soldi non sono un problema e, a fronte di una cultura motoristica inesistente o agli albori, l’organizzazione di un GP viene portata avanti in pochissimo tempo e con tutti gli sfarzi del caso per offrire quelle che vengono chiamate “experience” da ricordare.

Tutto il resto, signori, è marketing. Dai cordoli con i semi delle carte alle livree speciali su auto, abbigliamento, caschi, questo fa parte della F1 ma non da ora. Non è Las Vegas che decide certe questioni ma è l’evento in generale – e, in questo caso, la novità – che porta a certe scelte speciali e per convenienza prima di tutto delle squadre e dei piloti.

Guardate le livree americane speciali di Red Bull (ci sarà anche quella di Las Vegas dopo Miami ed Austin), andate sullo store di Verstappen a vedere la linea dedicata per LV, pensate alla Ferrari di Monza negli ultimi due anni e Las Vegas sarà solo una delle tante. Quella di personalizzare un evento è una pratica in voga da tempo e siamo fortunati perché non siamo ancora arrivati al livello della IndyCar, dove la stessa macchina cambia livrea praticamente ad ogni GP in base allo sponsor e bisogna fare affidamento sui numeri sul muso per riconoscere i piloti.

Non sarà poi la livrea a far andare più forte o meno una monoposto (o almeno spero non lo si creda), ma tra tutte le critiche a Las Vegas questa mi pare decisamente la più sterile e senza senso. I Team hanno tutto il loro interesse a sfornare merchandising dedicato ad un singolo evento e credo che questo succederà sempre più spesso andando avanti nel tempo. Marketing, appunto, per chi può permettersi dieci cappellini diversi in un anno.

Se devo invece tornare alle critiche più costruttive, riprendendo l’esempio del Qatar dove è stata piazzata una Sprint con asfalto nuovo, sembra che l’incognita freddo stia facendo preoccupare e non poco gli addetti ai lavori. E qui, evidentemente, non è colpa di Las Vegas se la gara viene organizzata a metà novembre inoltrato, con il rischio di ghiacciarsi le mani al volante. Male se non si è pensato a questa eventualità, perché ne va dell’immagine del GP se con il freddo dovessero crearsi delle conseguenze non gradite. Ma, evidentemente, sarà poi responsabilità di chi ha organizzato e, stavolta, tra Liberty e la gara non c’è nessuno in mezzo.

Il layout è l’ultimo punto della questione. Mi sembra onestamente imbarazzante ma è figlio del luogo: non si possono di certo scavare tunnel sotto i palazzi o inventare strade dove non ci sono. E, onestamente, quello del tracciato credo sia stato l’ultimo dei problemi, eccezion fatta per il paesaggistico passaggio sulla Strip da quasi due chilometri.

Ricapitolando: ideologicamente il ritorno di Las Vegas, nelle condizioni in cui è stato preparato, assume le sembianze un attacco – e un tentativo di distacco – dei nuovi proprietari dalla storia europea della F1, all’interno di una spinta USA che comprende sempre più tappe trainate dall’ormai innominabile Drive To Survive. Tutto ciò che riguarda il marketing, la promozione, il merchandising e le personalizzazioni dell’evento (livree, abbigliamento) rientra nei piani di team e piloti ed è normale e prevedibile, indipendentemente da Las Vegas.

Il lato sportivo, personalmente, è quello che preoccupa di più. Fortunatamente i campionati sono già chiusi: ma se davvero farà il freddo che si dice, di spettacolare – come ha detto Ross Brawn – ci sarà poco e niente. Non penso però, come ha anche detto Verstappen, che la componente sportiva rappresenti l’interesse maggiore del weekend. Ma questo l’avevamo capito già da tempo.

“Wait and see”, diceva un anonimo finlandese. E chissà cosa avrebbe risposto alla domanda “Cosa pensi di Las Vegas?!”. Forse è meglio non saperlo

Immagine: GP Las Vegas

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