Il dramma Antonelli: morire per colpa degli interessi in gioco

Autore: Alessandro Secchi
alexsecchi83 alexsecchi83
Pubblicato il 21 Luglio 2013 - 20:30
Tempo di lettura: 5 minuti
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Il dramma Antonelli: morire per colpa degli interessi in gioco
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C’è poco di tecnico da analizzare in quello che è successo oggi nella gara della Supersport a Mosca. Ma c’è da fare una riflessione.
Non la stavo seguendo, non la seguo praticamente mai, non conoscevo Antonelli. Premessa d’obbligo per non passare per quello che “fa finta di”.

Ero impegnato, mi sono collegato al nostro Forum con il cellulare, e ho letto che era successo un incidente grave ad un pilota della Supersport. Leggendo che era stata annullata gara 2 della Superbike, ho pensato subito al peggio.

Una volta tornato a casa, ho scoperto tutto. Antonelli non c’era più, investito da un collega dopo una caduta. Guardando le immagini ho visto le condizioni con le quali era stato permesso ai piloti di partire. Ed è stata subito chiara una cosa. Vale a dire che l’unico motivo per il quale un tentato omicidio del genere può esser stato messo in scena non può che essere l’interesse economico degli organizzatori della corsa nel mandare avanti la manifestazione.

Mi è tornata alla memoria la gara di Monza dell’anno scorso, con le buche in parabolica e la pioggia torrenziale che avevano fatto volare a terra diversi piloti, con la decisione di annullare gara uno e dimezzare gara due. E lì fior di insulti sui piloti, quelli senza palle, senza coraggio, quelli che dovevano cambiare mestiere. Quelli che hanno portato a casa la pelle.

Ed ora la tragedia è lì, servita sul piatto. E’ brutto da dire, ma nel motorsport evidentemente perchè cambi qualcosa o per lo meno qualcuno ci pensi, è diventato necessario (ma forse non sufficiente) il morto in pista. La scomparsa di Antonelli, un ragazzo di 25 anni, se non servirà a cambiare nulla a livello regolamentare, mette in evidenza definitivamente come i piloti abbiano la stessa voce in capitolo di un qualunque Fantozzi in una qualsiasi azienda.

Con la differenza che i piloti rischiano la vita praticamente ad ogni curva. Melandri non è la prima volta che tira in ballo la pochissima, quasi nulla, considerazione dei piloti di fronte all’ente organizzativo. E’ sempre passato per una fighetta, ovvio, ma oggi probabilmente qualcuno gli darà ragione un po’ più del solito. Perchè quando arriva il morto la gente improvvisamente si sveglia.

Come si svegliano i giornali, le televisioni e i media (dis)organizzati in generale, che sfruttano l’enfasi del momento per attirare pubblico. Scrivendo che Antonelli gareggiava in Superbike, ad esempio, e permettendo i classici commenti della domenica di chi crede di seguire uno sport superiore affermando che il motociclismo non lo è o non dovrebbe essere riconosciuto come tale. Come se negli altri sport non si morisse mai. Cazzate in libertà. E poi basta, davvero basta ai commentini della serie “Ogni giorno muoiono decine di persone lavorando per 1000 euro al mese”. E’ vero, verissimo. Ma se non si dovessero più commentare questi episodi potremmo chiudere baracca TUTTI e dedicarci, appunto, ai nostri lavori.

Certo, poi ci sono i puristi, per i quali bisogna correre sempre e comunque. E io sono d’accordo fino ad un certo punto, fino a quando cioè non è palese che il rischio vada a superare il limite accettato nella maggioranza delle situazioni. Su due ruote il rischio è alto, altissimo già in condizioni normali, figuriamoci con un lago. Dopo aver visto le immagini di Mosca ho scoperto che lì, l’asfalto, NON è drenante. Perchè d’inverno, ghiacciandosi, si spaccherebbe al punto tale da richiederne la sostituzione. Incredibile, da comiche. Già andare a correre in Russia..sapete come la penso, sui paesi non motoristicamente acculturati. A maggior ragione, allora, mi chiedo come sia potuto dare il via ad una corsa in quelle condizioni, sotto un diluvio e su un asfalto che di fatto non avrebbe permesso una visibilità non dico ottimale ma quanto meno minima ai piloti. Perchè è giusto che dei piloti incontrino difficoltà nel correre e debbano sapersi destreggiare in tutte le situazioni. Ma qui non è discorso di destreggiarsi, qui il discorso era quello di rimanere in piedi.

Ed è, per me, inutile tornare indietro con immagini e video a Simoncelli e Tomizawa. Il problema di oggi non è stato tanto il tragico investimento (che, di per sè, è praticamente impossibile da arginare quando accade), ma il fatto che, oggi, con un minimo di buon senso non sarebbe successo niente. I tragici incidenti del Sic e di Tomizawa si sono verificati in condizioni di pista normali, non nel mezzo di un fiume. Con questo non voglio dire che sia più facile accettare una morte in pista quando ci sono le condizioni adatte. Ma quando capita nel normale svolgimento di una gara non si hanno rimpianti particolari, si chiamano in causa la sfortuna e il destino. Ed è per quanto che, per quanto la dinamica sia identica, il problema è stato a monte, a Mosca. Oggi e non solo, di rimpianti, qualcuno ne avrà.

Peccato che il buon senso, ultimamente, non sia di casa in molti ambienti. Lo vediamo anche in F1, con le gomme che scoppiano mettendo i piloti su delle bombe ad orologeria. Gli interessi economici ormai sono talmente alti che, e mi permetto di pensarlo, credo che i piloti siano praticamente obbligati a correre per non incorrere in chissà quale reprimenda, anche se non ci sono le condizioni ideali. Schiavi di interessi più grandi di loro e schiavi di una passione che non dovrebbe mai essere messa in discussione (altro che sport inutile..).

Provo un dispiacere grande per una vita che se ne va. E un disprezzo totale verso quelle persone che antepongono alla morale il denaro sonante, con i risultati che vediamo ovunque. Anche nella vita di tutti i giorni.

Un pensiero sincero alla famiglia di Andrea e a chi lo conosceva da vicino.

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