I soldi non comprano spettacolo e competenza

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
27 Aprile 2019 - 02:00
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Il tombino in sé, che salta e devasta la macchina più povera del Paddock, è il minore dei mali. È successo a Montecarlo dove si corre da sempre, è successo in Malesia con lauto indennizzo alla Haas. Fosse solo quello si potrebbe anche soprassedere in qualche modo nonostante i danni riportati dalla Williams, le difficoltà che si aggiungono a quelle esistenti e via dicendo.

Il problema vero è in tutto quello che è successo attorno. Un commissario in tenuta da guerriglia che salta sul tombino pensando di risolvere la situazione quando, nella stessa Montecarlo, sono arrivati armati di saldatore per riparare il danno. Un carro attrezzi che, riportando la Williams ai box, centra in pieno un ponte con il braccio meccanico, danneggiandosi e riversando olio sulla povera monoposto manco fosse un’estrema unzione. Le bottigliette d’acqua lanciate dalle Safety Car al giovedì per testare la prontezza dei commissari di gara. Gli stessi che si mettono a spingere una monoposto, quella di Gelael durante le qualifiche della F2, di lato invece che dal retro rischiando di rimetterci le gambe quando questa riparte.

Non sono mai stato un fan di Baku sin dal principio ed eventi come questi non fanno altro che accrescere la mia contrarietà generale al portare la Formula 1 in luoghi del genere. Me ne infischio, sinceramente, del posto suggestivo, un termine che significa tutto e niente laddove si parla solo della location e non di quello che conta, ovvero la corsa. Un termine abusato e che indica quanto ormai abbia più importanza il contenitore del contenuto. L’unico Gran Premio della new generation che apprezzo veramente è quello di Singapore e non certo perché si svolge di notte. È l’unico tracciato sensato, difficile, fisicamente provante introdotto negli ultimi anni. L’unico che spicca in un mare di posti che possono vantare l’organizzazione di un GP solo per i soldi con cui lo comprano, non certo per meriti naturali né per la competenza che dimostrano nell’organizzazione. Per non parlare dello spettacolo: chi parla dell’Azerbaijan come di un luogo dalle gare sensazionali meriterebbe un intero campionato corso a Baku tra gare falsate da mille incidenti, duemila Safety Car e dieci piloti fissi al traguardo. Evviva la meritocrazia e l’esaltazione del talento.

Penso alla Corea, dove per quattro stagioni si è corso immaginando chissà quale complesso di grattacieli: al secondo appuntamento hanno trovato per terra i tappi delle bottiglie dell’anno precedente e l’ultimo ricordo netto è una Jeep in pista davanti ai piloti. Penso alla Cina, dove la grande tribuna che costeggia il lungo curvone è diventata un addobbo pubblicitario tanto è il pubblico locale. Ci hanno corso il 1000° GP tra mille iniziative pubblicizzate e tutto si è risolto in una foto di gruppo di una tristezza infinita. Penso all’India, dove per correrci per ben tre anni hanno dovuto espropriare terreni ai contadini tra soprusi e chissà cos’altro. Penso a Sochi, un altro esercizio stilistico senza capo né coda del tutto incomprensibile. E sì, penso anche ad Abu Dhabi con i suoi fuochi d’artificio, alla quale teoricamente potrebbe toccare tutti gli anni l’onore di decidere il titolo mondiale in faccia a Suzuka o Interlagos, per citarne due.

Gli ascolti della Formula 1 calano progressivamente non solo in Italia e tra i motivi c’è anche l’averla portata dove non c’era cultura motoristico-sportiva; sarà un caso che in quasi 70 anni di Formula 1 non abbiamo mai avuto piloti da titolo provenienti dai posti appena citati? Questo si tramuta poi in approsimazione – Baku in questo mi pare molto sul pezzo – e spesso organizzazione carente nonostante le cure e le istruzioni del caso, che a volte richiedono il trasferimento di commissari da luoghi dove invece il motorsport è nel sangue da sempre. Certo, non si tratta sicuramente della ragione più importante di un calo profondo, ma fa la sua parte. Al giorno d’oggi mi direte che contano i soldi ed è per questo che Imola, una a caso, è a secco ormai da 13 anni. Sepang ha lasciato per questo (anche se si parla di un possibile rientro), Monza un anno sì e l’altro pure è a rischio così come Silverstone, Hockenheim per anni ha fatto i turni col Nurburgring. 

Quando vedo scene come quelle odierne (o di ieri, ormai la mezzanotte è passata) penso al possibile scemare progressivo dei luoghi storici, ormai sempre più indebitati, ed alla contemporanea volontà di Liberty, più volte sussurrata, di aumentare il numero di gare annuali. Puntine in più sul mappamondo giusto per fare un po’ di marketing.

Chissà dove finiremo: magari in Vietnam. Come dite? Si corre nel 2020? A posto.

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