Gli haters nel Motorsport sono il risultato del seminato. Ripartire dal basso per ricostruire rispetto e passione vera

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
18 Aprile 2023 - 18:58
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Il fenomeno haters si allarga sempre più. Cosa c’è di sbagliato?

Nelle ultime stagioni sono sempre meno rari i casi di team ed istituzioni del Motorsport che richiamano all’ordine una platea di appassionati sempre meno educata e sempre più portata all’insulto facile verso questo o quel pilota.

Un fenomeno in aumento soprattutto negli ultimi tempi e che non sembra placarsi, nonostante gli inviti ad una discussione sana sui vari avvenimenti e sulle varie categorie e la nascita di vere e proprie organizzazioni contro l’odio online.

Non c’è però da stupirsi fino in fondo di questa tendenza dei leoni da tastiera. L’educazione e il rispetto non sono merci da acquistare, vanno coltivate col tempo, iniziando da quando si è piccoli dentro e fuori le mura di casa, sia da parte delle famiglie che dei media. Non sempre è sufficiente, tra l’altro: esempi di personaggi che, a qualsiasi età, non hanno ancora imparato le regole basilari della convivenza online e non solo ce ne sono a migliaia.

Uno dei problemi principali di questa generazione di giovani è la mancanza la passione, quella vera, per i motori fin dalla tenera età. Lo si vede un po’ negli interessi. Il boom tecnologico ha portato ad un cambio di priorità negli adolescenti: quello che un tempo era lo scooter è diventato lo smartphone e l’interesse intrinseco per motori e puzza di benzina è di base meno rilevante rispetto a qualche tempo fa.

Non sono più le gare in sé a catturare maggiormente le nuove generazioni. La scomparsa progressiva dei GP in diretta dalla TV in chiaro ha poi alzato un altro muro tra pubblico e sport. Quella che una volta era la tradizione del GP alle 14:00 a portata di tutti, nonni, genitori, bimbi compresi, è diventata un prodotto a pagamento.

Proprio quei bimbi, che da piccolini iniziavano ad apprezzare i motori e a coltivare da subito una cultura del rispetto verso i loro protagonisti, ora scoprono il mondo dei motori tramite i social e contenuti che spesso poco hanno a che fare con la componente racing; e, se hanno la possibilità di vedere i GP in diretta, tramite una TV che spesso inasprisce i toni, volontariamente o meno poco importa (questo sta alla coscienza di ognuno), invece di placarli.

Polarizzazione, propaganda, tutto quello che volete. Ma l’imbarbarimento dei commenti, l’odio represso ed il continuo denigrare senza nemmeno una briciola di argomentazione (che porterebbe ad una critica, ben altra cosa) è il risultato di quanto è stato seminato negli ultimi tempi, della protezione che le piattaforme offrono e del completo non controllo da parte delle stesse.

Le culture del sospetto, l’appoggio ufficioso o palese da una parte o dall’altra, portano comunque con sé delle responsabilità. Se siamo arrivati a questo punto la colpa è un po’ del sistema intero più che del singolo leone da QWERTY.

Se si vuole arginare l’odio online non bastano i messaggi, i richiami, i moniti e le richieste di scuse. Bisogna ricominciare dal basso. Ovvero iniziare, o per meglio dire ricominciare, a raccontare il Motorsport per quello che è, distinguere i fatti dalle opinioni, l’oggettività dal sentimento personale. Bisogna ricostruire la passione richiamando il passato, raccontando come si è arrivati ad oggi, mostrando le imprese ed anche le contraddizioni di ogni sport. Bisogna fare cultura: portare l’appassionato, soprattutto quello appena arrivato, a farsi un’idea con la propria testa senza imboccare ragionamenti, simpatie o antipatie.

Solo così imparerà a rispettare i protagonisti e a pesare maggiormente le parole: dal vivo o da una tastiera.

Immagine: ANSA

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