Forza Francesco! Ma sono ancora necessari pit stop da due secondi?

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
9 Aprile 2018 - 00:15
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La vittoria di Vettel e della Ferrari è stata importante, ma la Rossa può festeggiare a metà perché uno dei suoi uomini, oggi, è rimasto ferito. Si chiama Francesco Cigarini ed è l’uomo che durante il pit stop di Kimi Raikkonen è stato inavvertitamente investito dalla SF71-H del finlandese, riportando la frattura di tibia e perone della gamba sinistra. Kimi è ripartito al segnale verde del semaforino che indica al pilota quando partire, ma la ruota posteriore sinistra non era ancora stata smontata dalla vettura. Già dai primi istanti si era capito che la situazione era seria, con il meccanico portato subito al Centro Medico del circuito di Sakhir, poi è giunta la notizia della doppia frattura.

A lui vanno i nostri migliori auguri di una pronta guarigione, che si uniscono a tutti quelli che sta ricevendo in queste ore non solo dai membri della Ferrari ma dal mondo della Formula 1 in generale. 

Dopo l’incidente mi sono posto, insieme ad altri sul web, una domanda: in una Formula 1 che da anni punta alla gestione, al risparmio delle gomme e della benzina invece che alla prestazione pura, è ancora necessario vedere pitstop al limite dei due secondi? È così fondamentale far rischiare i meccanici per guadagnare un decimo in pitlane quando in pista si deve girare all’80% delle possibilità della monoposto? I ruoli, negli ultimi anni, si sono notevomente invertiti. Da quando i rifornimenti sono stati aboliti è partita la corsa alla ricerca della perfezione durante il cambio gomme. Il rabbocco di benzina, pericoloso da un lato con il pericolo di incendio, lasciava ai meccanici il tempo necessario ad effettuare la sostituzione degli pneumatici in tutta sicurezza. Ora che alle misure di protezione per i piloti si è aggiunto Halo, forse sarebbe il caso di rivedere anche quelle di chi è preposto alle operazioni durante i pitstop. 

Un punto di discussione è quello che riguarda proprio il numero dei meccanici attorno ad una monoposto. Si fa il confronto con la Indycar, dove per ogni ruota opera un solo uomo invece di tre. Personalmente credo che non si tratti di una questione di quantità di persone ma di tempo. La fretta di far ripartire la monoposto comporta il rischio di commettere un errore durante le operazioni, vedasi quanto successo incredibilmente alla Haas due settimane fa a Melbourne, per fortuna senza conseguenze. Cosa si potrebbe fare? Imporre ad esempio un tempo minimo di sicurezza per il pit, magari di quattro secondi, in modo che le operazioni possano essere svolte in relativa tranquillità. E, sinceramente, chi se ne frega dei sorpassi: quelli andrebbero fatti in pista.

Altro punto di discussione: la tecnologia applicata al pitstop. Pistole con sensori, semafori automatici. L’automazione dell’informazione non è infallibile. Non lo era nemmeno l’uomo con il lollipop, per carità, ma la tecnologia ti fa presupporre che un semaforino verde sia una sentenza. Forse anche qui si potrebbe rivedere qualcosa, obbligando ad avere anche una persona preposta a dare l’ok per far partire il pilota. Ma sono tutte idee, niente di più.

L’importante è che l’incidente di oggi possa finalmente spostare l’attenzione anche a ciò che succede attorno ai piloti. Anche perché spesso, anzi quasi sempre, ci dimentichiamo dei ritmi che devono sopportare i meccanici dentro al box, sempre in ombra rispetto ai piloti. Orari infernali, lavoro duro che richiede una passione smisurata. Ed è giusto che anche loro siano tutelati maggiormente.

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