Ferrari: si raccoglie quello che si semina

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
30 Agosto 2020 - 18:36
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Il risultato del Belgio è deprimente, ma figlio di una situazione in continuo crollo da due anni a questa parte

Sinceramente non c’è da stupirsi molto per quello che abbiamo visto oggi in Belgio. Quello che è successo a Spa non è altro che la logica conseguenza di quello che si è seminato negli ultimi due anni. E, quando si semina male, si raccoglie ancora peggio. La Ferrari vista oggi è il risultato delle scelte sbagliate da metà 2018 in poi, ovvero da quando la prematura scomparsa di Sergio Marchionne ha aperto il fronte delle diatribe interne in seno al team di Maranello.

La Ferrari è stata comandata per oltre vent’anni dal Presidente Montezemolo. Sotto la sua guida il team del Cavallino ha vinto tutto. A lui vanno soprattutto i meriti di aver scelto le persone giuste da mettere al posto giusto, in un periodo storico in cui la Ferrari era in condizioni disastrate. Ecco, se ai tempi si pensava di essere ormai sul fondo del barile, la prestazione di Spa ci fa capire che questa situazione è ancora peggiore rispetto a quella di inizio anni ‘90. Ai tempi, però, si era insediato un Presidente che conosceva l’ambiente della squadra corse, uno che da giovane esponeva le tabelle fuori dal guard-rail ad un certo Niki Lauda. Uno che teneva alla squadra e voleva con forza che si risollevasse. Oggi, quella speranza futura, non c’è.

Con questo cosa voglio dire? Voglio dire che quando si gestisce una squadra corse bisogna avere passione per il motorsport, oppure essere capaci di attorniarsi di persone che lo siano. Bisogna conoscere l’ambiente. In alcuni casi, serve anche aver corso. John Elkann e Louis Camilleri sono sicuramente dei manager di successo, ma – mi permetto di sottolinearlo – quello che manca ed è sempre mancato da quando si sono insediati alla guida della Ferrari, è la sensazione di attaccamento alla squadra, di presenza, di supporto. Oltre a questo non fanno di certo bene dichiarazioni come “Abbiamo fatto il giro più veloce” di Baku 2019. 

Sotto un certo punto di vista, inoltre, al team che corre in pista non fanno neanche bene i risultati delle vendite delle vetture stradali, in costante crescita nonostante la Ferrari, da 12 anni, non porti a casa un titolo mondiale. Probabilmente la non correlazione tra risultati aziendali e risultati sportivi fa sì che non ci sia una sorta di allerta generale, del tipo “Occhio che se perdiamo in pista vendiamo meno macchine”. Ferrari vende il 7/8% in più ogni anno anche con la Scuderia che rimedia figuracce.

La sensazione è che dal 2018, ovvero da quando il Presidente Marchionne è mancato, all’interno della Scuderia regni il caos più totale. Dapprima l’uscita di Maurizio Arrivabene, poi l’insediamento di Mattia Binotto nel ruolo di Team Principal diventato poi uno dei tanti ricoperti. Perché, con l’assenza mediatica del Presidente e dell’Amministratore Delegato, Binotto si è caricato sulle spalle anche tutto un peso mediatico che non gli doveva competere, oltre ad essersi allontanato dal ruolo di Direttore Tecnico che aveva fruttato due monoposto potenzialmente da mondiale come quelle del 2017 e del 2018.

Non a caso, tra metà 2018 ed inizio 2019, momento in cui Binotto è passato al ruolo di Team Principal, la Ferrari ha progettato e sfornato una vettura, la SF90, peggiore e di tanto rispetto alla SF71h del 2018. A questo si è aggiunta la lotta interna tra Sebastian Vettel ed il nuovo pupillo Charles Leclerc, sul quale si sono spese migliaia di parole di elogio senza ricordarsi che poi c’è una macchina da guidare. Una battaglia interna che, mediaticamente parlando, è servita per nascondere il deficit della monoposto rispetto ad una Mercedes che, nel frattempo, continuava a migliorare e vincere a mani basse.

Sappiamo tutti come sono andate le cose dal Gran Premio del Belgio dell’anno scorso in poi. Il nostro sito è stato tra i primi ad evidenziare l’eccezionalità di una Ferrari che, in un mese di vacanza, era stata capace di recuperare quasi un secondo su chi le stava davanti. Un cambio di rotta improvviso quanto strano. Un cambio di rotta che, successivamente, è stato messo sotto esame e ha portato all’accordo segreto tra la FIA e la Ferrari che, di fatto, ha sancito la fine della stagione 2020 della Rossa quando non era ancora iniziata.

Parlare di motore illegale sembra quasi un tabù: ma resta il fatto che, a fronte di quell’accordo, le tre squadre motorizzate Ferrari sono tra le più lente della griglia. Questo è un dato di fatto, non un’illazione. Un altro dato di fatto è che Ferrari, Alfa Romeo a Haas sono le monoposto meno evolute rispetto a quelle del 2019. Tutte le altre hanno fatto dei passi avanti: per non parlare della Mercedes che ha stravolto completamente il progetto 2019 con un’evoluzione fantastica. Questo, ovviamente, al netto del Das.

La SF1000 non è solo più lenta rispetto alla monoposto di fine 2019, ma lo è anche nei confronti di quella della prima metà di stagione. Una situazione imbarazzante, della quale non si vede la via d’uscita. Si può chiamare in causa il Covid o qualsiasi congiuntura astrale per tentare di difendersi, ma la situazione Ferrari era abbastanza chiara sin dai test prestagionali di Barcellona. Ovviamente, però, un risultato come quello odierno va oltre ogni più negativa previsione.

La Ferrari in questo momento si trova probabilmente nella situazione più difficile da trent’anni a questa parte. A fine stagione perderà per scelta un pilota di esperienza affidando la risalita a due giovani. Inoltre dovrà correre ancora per tutto il 2021 con la stessa base di monoposto che sta producendo i risultati di quest’anno.

Quello che sembra mancare davvero, però, è una direzione, qualcuno che si presenti davanti ai microfoni incazzato nero, che chieda e pretenda spiegazioni. Qualcuno che, se necessario, ribalti completamente i tavoli. Lo stesso Mattia Binotto sembra arrivato, ormai, alla fine delle giustificazioni a disposizione. Non si può fare altro che assumersi la responsabilità della situazione odierna e, nelle ultime settimane, si percepisce una certa voglia di condivisione delle responsabilità anche con il resto del team, un anticipo di scaricabarile che fa capire, al di là delle parole che raccontano una certa serenità, una situazione tesissima.

Se c’è qualcuno esente da colpe, in questo momento, sono i due piloti. A proposito: se Sebastian Vettel ormai è un separato in casa che, forse, ha capito il favore che la Scuderia gli ha reso nel lasciarlo libero a fine stagione, bisogna stare molto attenti a Charles Leclerc. Il monegasco ha un contratto lungo con la scuderia ma non avrà certo intenzione di restare a queste condizioni tecniche. Charles è un fenomeno e merita una monoposto da mondiale. Potrà attendere ancora nel 2021: ma, se nel 2022 si dovesse ancora sbagliare il progetto della nuova macchina, le sirene potrebbero cominciare a farsi sentire molto forte.

È sicuramente spiacevole vedere la Rossa lottare con i team “clienti”, ma non bisogna nascondere colpe ed errori perpetrati nelle ultime stagioni. Quello che è importante, ora che si è toccato il fondo – sperando che Monza e Mugello non offrano spettacoli peggiori – è fare ciò che è possibile per risollevarsi ed evitare altre umiliazioni in pista. Se necessario, anche con scelte drastiche. Nel 2014, per molto meno, Domenicali e lo stesso Montezemolo hanno lasciato.

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