Ferrari, le diottrie della sfiga

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
1 Ottobre 2017 - 16:00
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E dire che dopo Singapore si pensava di averle viste tutte. Ma la vita, solitamente, è famosa per riuscire ad inventarsi sempre qualcosa di nuovo. 

Non credo nella sfiga: per definizione credo si tratti semplicemente di unione di fatti concreti e coincidenze. Quando però queste si accaniscono in questo modo, con una precisione che solo un orologio svizzero può garantire, allora è difficile trovare sinonimi adatti alla situazione. 

Tra Singapore e Sepang, conti alla mano, Vettel avrebbe potuto portare in cascina 38 punti in più: i 25 di Marina Bay e i 13 di differenza tra il primo ed il quarto posto di Sepang. Hamilton, a sua volta, ne avrebbe 10 in meno: i 7 tra il primo ed un potenziale secondo posto a Singapore e i tre dal secondo al terzo posto di oggi. Il tutto per un conto di 285 punti per Seb contro 271 di Lewis che oggi lascerebbero vedere il campionato con un’ottica completamente diversa. Il tutto senza considerare Kimi che a Singapore era da potenziale doppietta, così come qui. Insomma, ci siamo capiti. Si è dilapidato un tesoro in 15 giorni.

La fantasia comunque non conta nulla: l’autoscontro di due settimane fa e il problema di ieri in FP3 hanno segato le gambe ad una stagione che prometteva un finale fantasmagorico. Ora, invece, la Ferrari è costretta ad un recupero che sembra sempre più difficile. Questo nonostante la chiara dimostrazione di forza che la Rossa aveva dato in prova sia a Singapore che qui, così come il ritmo impartito da Vettel alla sua rimonta durante la corsa di Sepang.

Certo, si può ripartire da qui, dagli aggiornamenti che hanno funzionato mostrando una Ferrari finalmente in grado di lottare sia su piste tortuose che da curvoni veloci, ma del ritmo te ne fai poco se il turbo ti abbandona a cinque minuti dalla fine delle libere o se Stroll ti mette una ruota sulle spalle quando la gara è già finita, obbligandoti forse a partire ad handicap al prossimo giro.

È proprio quella di fine gara l’immagine che più di tutte riassume il weekend malese. Mai un attimo di tranquillità a partire dalle qualifiche, ovvero da quando il tutto doveva andare per il verso giusto. Una cronologia di ielle su entrambe le vetture che si è protratta anche prima del via, con il ritiro della macchina di Kimi, fino a dopo la bandiera a scacchi. Un accanimento per certi versi assurdo e non meritato da parte di un team che in questa stagione partiva con la considerazione di chi parte a rincorrere e fino a Monza si è invece giocato i mondiali alla grande. 

Certo, 34 punti di distacco da Hamilton non sono molti rispetto ai 125 che mancano da assegnare, ma adesso si fa dura perché lo stesso si diceva pochi giorni fa quando il distacco era di 28 e il bottino di 150. A voler essere puramente ottimisti aver perso solo sei punti è una manna dal cielo viste le premesse, e mi fa sorridere che Hamilton non ne abbia guadagnati sette in più proprio grazie a Max Verstappen, la bestia nera dei tifosi della Ferrari. Tra l’altro, la bloggata di ieri gli ha evidentemente portato bene. 

Da Suzuka, però, ci vuole un cambio repentino. La possibilità che Seb debba sostituire il cambio dopo l’assurdo colpo preso da Stroll mette già ansia con sette giorni di distanza, ma perdere il mondiale anche per episodi così sarebbe davvero triste. 

È doveroso, però, ricordare una cosa: vent’anni fa di stagioni di attesa devastante ce ne vollero cinque prima di tornare sul tetto del mondo: anche se Hamilton dovesse chiuderla in anticipo, l’importante sarà non disunirsi a partire da chi comanda e continuare su questa strada, perché nessuno si aspettava questa Ferrari e ripartire da quanto fatto di buono quest’anno sarebbe la migliore base per lavorare al futuro.

In ogni caso nulla è ancora finito. Un signore tedesco un giorno ha detto “I’ve always believed that you should never, ever give up and you should always keep fighting even when there’s only a slightest chance”, “Ho sempre creduto che non devi mai mollare, e continuare a lottare anche quando c’è una piccolissima possibilità”. Si chiama Michael Schumacher e tra sette giorni, a Suzuka, si celebrerà il diciassettesimo anniversario dell’8 ottobre 2000. Se la sfiga ci vede benissimo, a volte ci sono anche occasioni in cui la voglia di ripartire può essere stimolata dai ricordi più belli.

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