F1 | Taxi Drivers. La F1 è diventata endurance

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 17 Settembre 2018 - 00:44
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Il Gran Premio di Singapore ha evidenziato un problema del quale si parla spesso negli ultimi anni, ovvero la progressiva trasformazione della Formula 1 in una sorta di categoria Endurance votata al risparmio di benzina e soprattutto gomme.

Il tutto, unito all’adozione delle Power Unit ibride nel 2014 ed alla diminuzione del numero totale a disposizione per una stagione, fino alle tre di questo 2018, ha fatto storcere il naso agli appassionati che non vedono più nella F1 la categoria regina, quella in cui il pilota deve spingere dal primo all’ultimo giro senza sosta.

La gara di Marina Bay ha esaltato questa tendenza con una giornata nella quale i piloti, per esigenza di strategia, hanno percorso le prime tornate successive al rientro ai box della Safety Car con un ritmo quasi imbarazzante. Con la pole position record fatta segnare in 1:36.015, il leader Lewis Hamilton ha infatti percorso i giri dal quinto all’undicesimo in un range tra l’1:48.5 ed il 46.7, con tre tornate in 1:47.5. Si tratta di qualcosa come undici secondi in più rispetto al tempo della pole.

Improvvisamente il 12° passaggio è stato chiuso in 1:45.5, con progressivo miglioramento in 44.9 e 44.4 per cercare di allungare sulla Ferrari di Vettel. Un ritmo inizialmente a rilento (e ricordiamo i tre giri sotto SC che hanno salvato un po’ di gomma) necessario per mantenere le Hypersoft di inizio gara fino al momento del pit stop, operato all’inizio del sedicesimo giro in risposta al cambio gomme del tedesco della Ferrari. 

Le cose non sono cambiate dopo aver montato gomme Soft, con la prospettiva di chiudere la gara con una sola sosta. Tra il 17° ed il 35° giro Hamilton ha girato sul ritmo dell’1.45 fino al momento in cui la lotta tra i doppiati davanti a lui non l’ha costretto a rallentare con il successivo riavvicinamento di Verstappen. Siamo ancora ad oltre nove secondi di distanza dal tempo della pole. Superata la minaccia Hamilton ha spinto un po’ di più, scendendo sul piede dell’1:44 e dell’1:43 nelle tornate finali, con un giro più veloce della propria gara fatto segnare in 1:42.913, sei secondi e nove più lento rispetto al tempo del sabato. 

Il giro più veloce della gara è stato fatto segnare da Kevin Magnussen nel corso della cinquantesima tornata in 1:41.905, al primo passaggio pulito dopo aver montato gomme Hypersoft due tornate prima. Siamo cinque secondi e nove oltre il tempo della pole ma, soprattutto, subito dopo il danese della Haas si è messo a girare sul ritmo dell’1:46/1:47.

Se di Hamilton possiamo dire che ha gestito la sua prima posizione spingendo solo quando necessario, i tempi di Verstappen che non aveva certo voglia di gestire allo stesso modo testimoniano un trend comune.

In questo caso i tempi della Williams di Sirotkin, al centro della grafica, lasciano senza parole. 

Se la gestione della benzina è un elemento che ha sempre fatto parte della Formula 1 nell’era senza rifornimenti, quella delle gomme e delle delle Power Unit hanno trasformato la Formula 1 in una categoria che corre gare endurance di un’ora e mezza. Se in qualifica si battono i record sul giro ricorrendo a manettini specifici e boost di potenza limitati, in gara bisogna andare al 70/80% delle possibilità (chissà, forse anche meno) togliendo ai piloti l’onere di spingere sempre e comunque; prerogativa ad esempio dell’era dei rifornimenti che, seppur mal visti da tanti appassionati, hanno regalato gare in cui il limite non era dato dall’usura degli pneumatici e dai flussometri vari ma unicamente dal piede di chi correva. 

Indicativo a proposito delle Power Unit fu il caso del Gran Premio del Brasile dell’anno scorso, nel quale Hamilton fresco di titolo andò a sbattere in qualifica dovendo così partire dal fondo. Con una PU fresca e la possibilità di spingere senza troppi pensieri l’inglese in gara è tornato sul gruppo con un ritmo indiavolato giungendo quarto al traguardo, dimostrando come senza troppi limiti queste F1 potessero andare ben più veloci. 

La gara di Marina Bay ha puntato i riflettori (è proprio il caso di dirlo…) su uno degli aspetti che sta veramente snaturando lo sport; molto più di un Halo che è sì indigesto alla vista ma ha una funzione nobile. Occorre una riflessione ed occorrono soprattutto soluzioni che permettano ai piloti di tornare ad essere tali e non dover correre sulle uova ed al risparmio dal primo all’ultimo giro. Per l’Endurance, d’altronde, c’è un’intera categoria (Il WEC) dove per assurdo tutti questi problemi non ci sono ed i piloti possono spingere molto di più.

Un’inversione dei ruoli senza senso.

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