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F1 | Storia del Gran Premio d’Italia

di Francesco Ferrandino
Pubblicato il 31 Agosto 2016 - 12:00
Tempo di lettura: 10 minuti
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F1 | Storia del Gran Premio d’Italia

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In Europa, il Gran Premio d’Italia ha una tradizione seconda soltanto al Gran Premio di Francia. La prima edizione si corse su un tracciato stradale vicino Montichiari, alle porte di Brescia, e a vincere fu un grande asso di quegli anni, Jules Goux. Ma già l’anno successivo, il 1922, viene costruito (sotto il patrocinio dell’Automobile Club di Milano) l’Autodromo di Monza, che da allora sarà la sede per antonomasia del Gran Premio, con sole 4 eccezioni: infatti nel 1937 la gara si disputa a Livorno (vittoria di Caracciola su Mercedes), mentre dieci anni dopo il “nostro” Gran Premio si corre tra le strade di Milano ancora in parte dissestate dal conflitto (vince il conte Trossi su Alfa) e nel 1948 al parco del Valentino di Torino, dove Wimille coglie l’ennesimo successo per la mitica Alfetta. L’ultima volta che la gara italiana si è disputata lontano da Monza è stata nel 1980, quando a Imola un giovane Nelson Piquet su Brabham si aggiudica la vittoria. Il brasiliano si ripeterà poi a Monza con altri tre successi (1983, ancora su Brabham, e infine 1986 e 1987 su Williams), risultando secondo solo a Schumacher (5 affermazioni, tutte con la Ferrari) tra i plurivincitori del Gran Premio d’Italia.

Nei suoi primi anni di vita il Gran Premio d’Italia, nelle innumerevoli varianti assunte dal circuito di Monza (che spesso comprendeva l’Anello di alta velocità), diviene subito uno dei più importanti appuntamenti della stagione agonistica: a vincere sono Case e piloti ormai leggendari, come Bordino, detto “il diavolo rosso”, e Salamano (entrambi su FIAT), Antonio Ascari e il conte Brilli-Peri (che rendono leggendaria l’Alfa Romeo P2), ma anche i cugini d’oltralpe trovano meritata gloria con le affermazioni di Benoist (Delage), oltre che di Charavel e Chiron sulle azzurre Bugatti.

Negli anni ’30 è Tazio Nuvolari a svettare con le sue tre vittorie (due su Alfa, l’ultima invece su Auto Union), ma il dominio germanico a metà decennio impone la sua legge: Mercedes e Auto Union, grazie a piloti come Stuck, Rosemeyer oltre allo stesso Caracciola e al “nostro” Luigi Fagioli (primo anche nel 1933 su Alfa), dal 1934 in poi monopolizzano tutte le edizioni fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Nel 1949 la vittoria di Albero Ascari (la prima delle tre ottenute dall’asso italiano) segna anche la prima affermazione della Ferrari nel Gran Premio d’Italia. La Casa di Maranello finora ha assommato in tutto ben 19 vittorie nella gara casalinga. L’appuntamento monzese costituisce da decenni una gara importante per la Ferrari sia nelle stagioni felici (qui la Ferrari ha spesso vinto matematicamente il titolo, come ad esempio nel 1975 con Lauda terzo e campione del mondo mentre il compagno Regazzoni vinceva la gara, o nel 1979 quando la doppietta Scheckter-Villeneuve suggellò il trionfo iridato del sudafricano), sia nelle stagioni buie: nel 1993 il secondo posto di Alesi venne accolto come una vittoria dai tifosi festanti, mentre nel 1988, nel mezzo di una stagione letteralmente dominata dalla McLaren Honda (che aveva vinto tutte le gare fin lì disputate), un’incomprensione tra il leader Senna e il doppiato Schlesser favorì una entusiasmante doppietta Ferrari con Berger e Alboreto proprio dopo un mese dalla scomparsa del mitico fondatore, Enzo Ferrari.

Tuttavia in alcune occasioni le gioie, lo diceva proprio il Drake, potevano essere davvero “terribili”, come quando nel 1961 le Ferrari dominarono il mondiale arrivando a Monza coi suoi piloti, Phil Hill e von Trips, in lotta per il titolo: al secondo giro una leggera toccata con Clark provocò una disastrosa uscita di pista per von Trips prima della Parabolica, in seguito alla quale il nobile pilota tedesco perse la vita insieme a 14 spettatori. Hill, ignaro, vinse corsa e titolo, sapendo solo a fine gara della tragedia.

L’incidente del 1961 non è il solo, purtroppo, a macchiare la storia del Gran Premio d’Italia, che nel 1928 fu teatro di quella che rimase per anni (fino alla tragedia di Le Mans nel 1955) la più grave sciagura nell’ambito dello sport automobilistico: la Talbot di Emilio Materassi, non si sa se per un guasto o un malore, uscì di pista all’inizio del rettilineo, saltando il fossato antistante le tribune e piombando sulla folla. Il bilancio, catastrofico, fu di 22 vittime, oltre al pilota toscano. Il contraccolpo emotivo fece annullare il Gran Premio per i due anni successivi.

Dopo le vittorie di Ascari con la Ferrari, Monza diviene terreno di caccia per Juan Manuel Fangio: se è fortunosa la prima vittoria nel 1953 (ottenuta all’ultima curva sfruttando proprio un guaio dell’italiano), senza discussione sono i due successivi trionfi con la Mercedes che gli danno altrettanti titoli mondiali. Il suo amico-rivale, Stirling Moss, lo eguaglia con tre successi tra il 1956 e il 1959 (su Maserati, Vanwall e Cooper), ma il titolo, come sappiamo, resterà una chimera per il fortissimo pilota inglese. Nel 1963 Jim Clark ottiene il suo primo titolo proprio grazie alla vittoria a Monza, mentre nel 1965 “l’altro scozzese”, il giovane Jackie Stewart, strappa la sua prima vittoria in Formula 1 battendo il suo caposquadra in BRM, Graham Hill (primo nel 1962), all’ultima curva.

Il 1966 è a suo modo una data storica per gli italiani: infatti la vittoria di Lodovico “Lulù” Scarfiotti con la Ferrari è l’ultima, a tutt’oggi, di un italiano a Monza a bordo della rossa di Maranello. L’anno successivo Clark, alla sua ultima gara sul circuito brianzolo, si rende protagonista di un’impresa che ancora oggi non è eccessivo considerare epica: dopo aver bucato una gomma, viene doppiato da tutti nella lunga sosta ai box, ritorna in pista, sorpassa progressivamente l’intero plotone sdoppiandosi, recupera un intero giro, ri-sorpassa tutti, ponendosi incredibilmente in testa alla gara. Purtroppo, un problema di pescaggio all’ultimo giro lo condanna al terzo posto, lasciando la vittoria alla Honda di Surtees (vincitore anche nel 1964, l’anno del suo mondiale, su Ferrari) che batte Brabham in volata.

Ecco, le volate: negli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70, a Monza la vittoria spesso si decideva letteralmente al fotofinish. Emblematica la corsa del 1971, quando addirittura si gridò allo scandalo perché le scie provocarono un frenetico e continuo cambio di posizioni, fino alla vittoria del semi-sconosciuto Gethin su BRM, che battè Ronnie Peterson di un battito di ciglia. Dall’anno successivo proprio per limitare l’impatto delle scie si iniziarono ad introdurre le chicane.

Il biondo svedese avrà modo di rifarsi negli anni successivi divenendo uno specialista del circuito con tre vittorie: memorabile quella del 1976 con una “povera” March infliggendo pesanti distacchi a tutti sull’asfalto viscido, nel giorno nel clamoroso ritorno di Niki Lauda alle corse poche settimane dopo il grave incidente del ‘Ring, una scena che vedremo tra alcuni giorni nel film “Rush” di Ron Howard. Lauda, pur non vincendo mai con la Ferrari a Monza, riesce comunque a scrivere il suo nome nell’albo d’oro con la Brabham Alfa nel 1978, proprio nel giorno in cui Peterson con la Lotus incorre nell’incidente in partenza che gli costerà poi la vita, e nel 1984, con la McLaren Porsche che gli darà il terzo mondiale.

Nella memoria del pubblico italiano resta dolce e amara l’edizione del 1970: durante le prove perde la vita il leader del Mondiale, l’austriaco Jochen Rindt, mentre in gara, dopo le consuete furibonde lotte a colpi di scia, vince la Ferrari del quasi debuttante Clay Regazzoni, svizzero di passaporto ma immediatamente adottato dal pubblico italiano. Clay, prima di fare il bis nella già ricordata edizione del 1975, “rischia” di ripetersi già nel 1972, quando il doppiato Pace, rientrando in pista dopo un testacoda, viene a contatto con la Ferrari che riporterà la rottura della sospensione.

Non sono rari gli episodi di possibili doppiette Ferrari a Monza poi sfumate per gli accidenti più assurdi. Nel 1972 anche l’altra rossa, quella di Ickx, viene fermata da un guasto elettrico regalando la vittoria alla Lotus di Fittipaldi. Nel 1974 il possibile en plein Regazzoni-Lauda, che avrebbe significato un quasi certo titolo mondiale per la Ferrari, viene vanificato per una doppia rottura di motore. Ma questo è niente rispetto all’incredibile biennio 1994-95. Entrambe le volte, le Ferrari di Alesi e Berger in testa alla corsa vengono messe fuori causa da accidenti, in pista e al box, che nemmeno un regista avrebbe osato inserire nel suo film: cambi, semiassi, cuscinetti, fino all’assurdo: nel 1995 una piccola telecamera per le riprese televisive, montata sulla macchina di Alesi, si stacca ad alta velocità colpendo la Ferrari di Berger che seguiva a poca distanza. L’austriaco può ancora oggi dirsi miracolato se a rimetterci fu solo la sospensione della sua 412 T2 e non la sua testa.

Negli anni ’80, oltre alle citate vittorie di Piquet e Lauda, c’è molta gloria per Alain Prost: il francese vince nel 1981 con la turbo Renault, si ripete nel 1985 con la McLaren Porsche lanciandosi verso il suo primo titolo, e fa tris nel 1989 con la McLaren motorizzata Honda nel weekend in cui ufficializza il suo passaggio alla Ferrari: i tifosi della rossa già lo acclamano come uno di loro, e Alain dal podio dona alla folla il trofeo vinto, facendo infuriare il capo della McLaren, Ron Dennis, che per contratto ne era il detentore. Il rivale per antonomasia di Prost, il brasiliano Ayrton Senna, dopo tre edizioni incredibilmente perse negli ultimi giri, sconfigge la “maledizione di Monza” vincendo nel 1990 e ripetendosi due anni più tardi.

Dopo quasi un decennio di digiuno, le sfortune ferrariste nella gara di casa terminano nel 1996 con la prima delle cinque affermazioni di Michael Schumacher, che si ripete nel 1998 (doppietta con Irvine), nel 2000 (quando si lancia verso il primo dei cinque titoli da ferrarista) nel giorno della morte del commissario Paolo Gislimberti (colpito da un detrito in un incidente alla Roggia), mentre nel 2003 riesce a fronteggiare la minaccia portata dalla potente Williams BMW di Montoya e riportandosi in quota per l’ennesima vittoria iridata.

“The One”, cioè lo stesso Montoya, ottiene qui a Monza il suo primo successo in Formula 1 nel 2001 con la Williams BMW, in una gara la cui atmosfera è pesantemente segnata dalla tragedia dell’11 settembre e si ripete nel 2005 con la McLaren Mercedes. Michael Schumacher ottiene la sua ultima vittoria al Gran Premio d’Italia nell’edizione 2006, infuocata dalle polemiche col rivale Alonso (su Renault) e dall’annuncio dello stesso Schumacher che dichiara il suo ritiro a fine stagione.

Il periodo di superiorità tecnica ferrarista regala gloria anche a Barrichello, vincitore nel 2002 e nel 2004 (con grande rimonta dal fondo insieme a Kaiser Schumi), che fa tris nel 2009 sulla Brawn con quella che resterà la sua ultima vittoria nel circus. Altri plurivincitori nelle ultime stagioni sono Alonso, che alla vittoria del 2007 su McLaren Mercedes ha aggiunto l’affermazione del 2010 con la Ferrari, Vettel e Hamilton: il tedesco nel 2008 ha ottenuto proprio qui la sua prima clamorosa affermazione in Formula 1 con la modesta Toro Rosso in una giornata flagellata dalla pioggia, per poi ripetersi con la Red Bull nel 2011 e nel 2013. Intervallato dalle affermazioni dell’inglese con la Mclaren nel 2012 e nel 2014 con la Mercedes. L’inglese si è ripetuto anche nell’edizione del 2015, con Nico Rosberg, campione in carica, vincitore dell’ultimo Gran Premio d’Italia nel 2016.

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