L’ultimo articolo del nostro Speciale è dedicato alla figura di Schumi, raccontata da chi l’ha vissuto quotidianamente
Siamo arrivati all’ultima parte del nostro ricordo del 25° anniversario di Suzuka 2000, la gara che ha riportato la Ferrari alla vittoria del titolo mondiale piloti con Michael Schumacher. Se hai perso le parti precedenti, puoi rileggerle ai seguenti link: Prima parte, seconda parte, terza parte.
Nell’articolo pubblicato ieri, dedicato alla gara di Suzuka, abbiamo definito Schumi una sorta di anello di congiunzione di un team tornato a vincere; la figura centrale attorno alla quale hanno ruotato ingegneri, meccanici, elettronici in un lavoro di gruppo, una specie di orchestra pronta a suonare all’unisono.
C’è una parola ricorrente nei ricordi di chi c’è stato: famiglia. Non è un caso. Con tutte le persone che abbiamo ascoltato, questo termine è stato nominato almeno una volta. Perché l’ambiente che si era creato in quegli anni, all’interno della Scuderia Ferrari, era qualcosa di più di un semplice team. Schumi si prendeva cura dei suoi uomini e loro si prendevano cura di lui. Lui si preoccupava che ognuno fosse nelle migliori condizioni, non sono dal punto di vista professionale, e veniva ripagato con una dedizione totale e la disponibilità ad esserci sempre, ed essere dediti alla causa.
Parlando con le persone che hanno contribuito a questo Speciale, emergono in modo predominante due aspetti: il primo è la totale ammirazione per lo Schumacher professionista, per come ha cambiato lo sport ed è stato pioniere sotto certi aspetti. Il secondo è un affetto a livello personale nemmeno minimamente scalfito dopo venticinque anni: una sorta di adorazione per un ragazzo che ha lasciato il segno, nelle persone che hanno avuto un rapporto più stretto con lui, a livello personale tanto quanto quello professionale.
Per questa ultima parte, chiuso il racconto della cavalcata vincente in pista, abbiamo raccolto i ricordi e gli aneddoti non su Schumacher ma semplicemente su… Michael. Ecco, quindi, lo Schumi dietro le quinte, dal punto di vista dell’attenzione per i suoi uomini, la sua attitudine e preparazione ed il rapporto con i media, spesso definito superficialmente freddo.
Lasciamo quindi la parola a chi ci ha aiutato in questo viaggio, per capire e conoscere meglio la figura di Schumi.
L’attenzione al team, il rapporto con i suoi uomini
Schumi è stato fondamentale al fine del raggiungimento di un obiettivo così difficile come il ritorno al titolo mondiale. Questo è testimoniato anche dai nomi dei campioni che, dopo di lui, hanno provato senza successo a riportare l’iride a Maranello. Fernando Alonso e Sebastian Vettel hanno fallito: Charles Leclerc, al settimo anno, inizia a chiedersi se restare in Ferrari gli potrà mai garantire quella gioia. Lewis Hamilton, appena arrivato, è in grande difficoltà. Solo Kimi Raikkonen ha centrato il bersaglio al primo colpo, potendo però contare sulla scia di un ciclo vincente.
[Ignazio Lunetta] “Michael era molto allineato alla squadra. Se c’erano dei problemi se ne parlava all’interno e si cercava di parlarne il meno possibile all’esterno. Era di spalle abbastanza robuste e talmente sicuro di sé che anche quando c’erano problemi (tipo Canada 1999) non aveva senso stare a puntualizzare su chi fosse il colpevole. La squadra lo proteggeva e la cosa era reciproca. Come uomo squadra e persona corretta soprassedeva su alcune cose perché poteva permetterselo, era riconosciuto come uno dei migliori.
Se tu hai una persona che è sicura di sé, che è convinto di quello che fa che, e lavori al suo fianco, lo diventi anche tu. Non era tanto un motivatore, era un esempio. La sua sicurezza dava sicurezza anche a te e ti faceva lavorare meglio, senza mettere più pressione di quella che serviva.
Questo era fondamentale e su questo era capacissimo, e se lo poteva permettere dall’alto dei titoli vinti e della sicurezza di essere un campione del mondo. Sapeva bene quello che faceva. Quello ci aiutava moltissimo, anche dal punto di vista umano. C’era un interessamento a noi, lui voleva assicurarsi che le persone non avessero problemi, lavorassero con la mente sgombra. Era molto sensibile su queste cose mentre, probabilmente, altri piloti non se ne interessano.
Lui si interessava, voleva sempre essere informato su quello che ci succedeva, quello che facevamo, chiedeva se era tutto a posto a casa. Era una persona molto vicina. Si dava il massimo, perché vedevi che lui che era un esempio, vedevi quanto impegno e dedizione lui metteva e non potevi comportarti in una maniera diversa”.
[Francesco Cigarini] “Tutti i grandi campioni che vengono alla Ferrari sono ammaliati e inondati dalla passione e dalla pressione, ma non vincono. C’è riuscito solo lui e questo ti può solo dare l’idea di quello che ha fatto. Perché è troppo difficile, per ingranaggi interni, per politiche e tutto il resto essere così. Certo, c’è stata una combinazione di persone che erano completamente per lui, che ha innescato delle specie di guerrieri, che tuttora proteggono Michael perché lui proteggeva noi. E quando qualcuno parla male di lui lo vediamo subito.
[Modesto Menabue] “A Fiorano, quando scendeva dalla macchina chiedeva se si andava a giocare a calcio. In luglio finivamo alle dieci di sera, dove si trovava un posto?! Lui magari aveva fatto 300 giri durante la giornata e ed era pronto anche a giocare.
Era testimonial di una marca di orologi, un amico mi chiese se poteva averne uno uguale a quello che ci aveva regalato per la vittoria del primo mondiale, ovviamente pagandolo. Gli chiesi una mano e mi rispose che non c’erano problemi. Gli chiesi il prezzo e mi disse che me l’avrebbe fatto sapere. Mi fece avere l’orologio e fece finta di niente sul prezzo. Siamo andati avanti tre mesi finché non gli ho detto che senza sapere quanto gli dovevo dare glielo avrei restituito. La disponibilità era totale, per qualsiasi cosa si metteva davanti a tutti.
Rispetto a tante persone, non l’ho mai, mai e ripeto mai sentito lamentarsi di un motore, dicendo che era fiacco o che non andava. Era uno dei pochi piloti a rendersi conto che non si potevano raccontare certe cose agli ingegneri con la telemetria in mano, al massimo erano loro a poter segnalare se c’era un problema e stavi andando 5, 6, 7 km all’ora più lento rispetto al compagno di squadra. E il lavoro era difficile anche perché lui, con la sua abilità e costanza, mascherava tanti problemi.
Era attaccato al team, aveva sposato la nostra causa. Intorno a lui era stato fatto un cordone di sicurezza. Era sicuro dal punto di vista professionale e umano, e ha dato il suo meglio“.
Attitudine e preparazione, fino ai minimi dettagli
Schumacher è stato il primo pilota a farsi seguire da una palestra itinerante, alzando l’asticella della cura del fisico ad un livello superiore. La preparazione fisica non era, però, l’unico ambito al quale dedicava attenzione. La preparazione per essere al top riguardava tutti gli aspetti, fino ai minimi dettagli. Fino a provare ed adottare soluzioni completamente nuove per migliorare il suo livello di guida ed il suo comfort all’interno della monoposto. L’ossessione verso i dettagli è stata una delle chiavi del suo successo, sin dai primi anni in Formula 1.
[Lunetta] “Michael è stato un precursore dei piloti moderni, con la cura del fisico, l’approccio mentale alla gara, le strategie che spingeva moltissimo. Quando correva voleva essere gestito, mentre altri ti dicevano ‘io faccio il pilota e tu l’ingegnere’. Il suo arrivo è stato traumatico, nel senso positivo. Io ero terrorizzato perché noi non avevamo vinto niente e lui era due volte campione del mondo, ma dall’approccio che ha avuto ho capito che persona fosse, matura nonostante avesse ancora 26 anni quando arrivò da noi a fine ’95”.
[Cigarini] “Era infermabile, instancabile. Girava a Fiorano a degli orari assurdi. Si arrivava ad un certo punto della giornata che diventata buio e cominciava a chiedere due cose: la prima era il cambio della visiera e poi le luci del volante diventavano troppo forti, quindi andavamo a mettere una pellicola sopra, degli adesivi nella zona del limitatore perché la luce era troppo intensa. Una volta, per scherzo, gli abbiamo messo delle lucine ai lati dell’ala davanti…
Fino al 2000 le connessioni radio erano prevalentemente sul casco, con lui si è cominciato a spostare il tutto lato tuta per avere meno peso possibile sul collo e non sforzarlo di più con i G laterali. Con lui abbiamo provato una pellicola riscaldante per la visiera per non farla appannare, ed anche quello che oggi è l’head-up display. Si è andato sempre più a miniaturizzare e siamo partiti con l’elettronica del pilota sulla tuta e non più sulla testa.
Quando facevamo i test arrivava a tirare un po’ le fila di tutto quello che si stava provando. Michael è uno attento a qualsiasi particolare e allo stesso tempo vuole delle certezze. Quando non capiva una cosa o pensava che stessi dicendo una stupidata, faceva uno sguardo che… era meglio che tu fossi sicuro di quello che dicevi!
Se fosse rimasto nel 2007 e 2008 avrebbe due campionati del mondo in più, perché in quei due anni c’erano ancora due macchine incredibili. La mentalità era ancora quella messa da lui, c’era un meccanismo che gli avrebbe permesso di vincere anche quei due campionati.
È stato il primo ad avere il sedile con dei cuscinetti pneumatici. Fare il setup di quel sistema faceva sudare i meccanici solo a sentirne parlare. Inoltre lui voleva le cinture tirate bene per essere attaccato al sedile. Una volta uno di questi cuscini perdeva e lui non sapeva come dirlo preciso in italiano e disse ‘aria entra e esce’…
La prima gara che ho fatto ascoltandolo in radio è stata Imola 2006. Aveva Alonso tutti i giri incollato, apriva la radio ed ero più agitato io al box fermo che lui in macchina. E mi chiedevo ‘Ma davvero quest’uomo è lì che corre con questo qua che sta cercando di mangiarselo?’. Anche da queste cose capisci quanto era sotto controllo in qualsiasi situazione”.
[Mauro Madrigali] “Partecipava molto, allora si lavorava tanto e si stava insieme fino a tardi. Lui stava lì con noi a vedere mentre montavamo la macchina. Ci seguiva, era curioso di vedere come lavoravamo, come si montava e come si faceva l’assetto. Insomma voleva sapere cosa succedeva prima che toccasse a lui”.
[Menabue] “Andava in palestra con il suo fisioterapista indiano Balbir (Singh, ndr), e non so chi usciva più stanco dei due. Aveva il suo coach sempre con sé che lo faceva lavorare, che lo facesse mangiare in maniera oculata tra carboidrati, vitamine. Poi, fuori dal contesto delle gare e dei test, gli piaceva comunque mangiare.. se gli davi un piatto di tortelloni ci pensava lui!”
[Ettore Giovannelli] “Era un mostro e per questo lo amavano in Ferrari. Riusciva a dare dei feedback pazzeschi e spesso, quando gli ingegneri gli dicevano che una cosa non si poteva fare lui spingeva e li convinceva a fare come suggeriva lui”.
L’italiano e la lingua
Uno dei grandi tormentoni che hanno accompagnato l’avventura di Schumi in Ferrari ha riguardato l’utilizzo della nostra lingua. Negli anni della sua permanenza in Ferrari, ma anche successivamente, si sono sprecate le critiche sul fatto che, pubblicamente, Schumi preferisse esprimersi in inglese. Per molto tempo questa scelta è stata percepita come un rifiuto nei confronti della nostra lingua o della nostra cultura. Semplicemente, non era vero. Eppure ci sono voluti diversi anni affinché la verità venisse a galla. E, come al solito, questa era completamente diversa.
[Gianfranco Mazzoni] “Tutti quanti dicevano che era il solito tedesco. A parte il fatto che lui e la squadra parlavano l’inglese perché la squadra è composta da tante persone che vengono da tutto il mondo, ma a parte quello lui lo capiva benissimo l’italiano e con noi parlava la nostra lingua. Però siccome era uno molto preciso non voleva magari essere preso in giro se sbagliava delle parole. Quindi c’era un grande equivoco e la gente lo criticava per quello”.
[Menabue] “Michael, fondamentalmente, era un timidissimo. Non è che non volesse parlare italiano perché non lo sapeva. Lo sapeva bene, lui aveva paura di dire delle cose sbagliate davanti al microfono. Con noi a cena, a mangiare, parlava italiano. Parlavamo di calcio, di cibo, di tutto. Di Formula 1 non si parlava quasi mai, la tavola non era il momento di ricominciare a parlare del lavoro”.
[Giovannelli] “Non tutti gli altri giornalisti parlavano l’inglese. Lui aveva un contratto con RTL, la tv tedesca che aveva i diritti. Ad un certo punto chiese se non ci fosse un giornalista in Rai che parlasse tedesco e fui chiamato io. Noi eravamo sempre con lui. Per i test si andava a provare, provare e riprovare. Se non era Magny-Cours era Barcellona, se non era Valencia era Jerez, a volte anche Silverstone, Imola. C’era chi gli scremava i treni di gomme, soprattutto Badoer e poi arrivava lui a lavorare.
Per le interviste, io parlando tedesco non avevo nessun problema di comunicazione. Facevamo sempre le interviste, dopo i test o quando era necessario. Loro facevano le prime tre o quattro domande: erano molto precisi, tecnici. Io invece per il mercato italiano facevo le mie tre domande, sempre in tedesco, e lui era tranquillo. Quindi lui con me a un certo punto si sentiva sereno, perché non c’era problema di misunderstanding.
Aveva sempre paura di essere frainteso, per cui cercava di evitare le incomprensioni in altre lingue, che fossero l’inglese o l’italiano. Invece in tedesco si era reso conto che io dicevo quello che c’era da dire, senza aggiungere o cambiare, e quindi lui si era aperto”.
Il rapporto con i media
Anche questo è stato un aspetto “controverso” nel corso della carriera di Michael. Il rapporto con i media è stato spesso descritto come freddo, con il tedesco più volte considerato scontroso e poco incline ad avere un approccio un po’ più sciolto. Anche sotto questo aspetto, con il tempo, si è fatta poi strada la verità: in questo caso, abbiamo due testimoni d’eccezione a raccontarci, per esperienza diretta, come fosse avere a che fare con lui.
[Mazzoni] “Io ho commentato tutti i suoi 308 Gran Premi (prima per la radio, poi per la televisione, ndr). E non c’è stata una volta che mi abbia risposto male. È stato sempre molto disponibile, anche quando c’erano state delle situazioni difficili. Io non gli ho mai fatto delle grandi richieste. Forse una cosa curiosa è che quando lui arrivò nel 1991 in Belgio non sapevamo chi fosse e non lo conoscevamo. Quando arrivava un pilota nuovo per me era importante conoscerlo e instaurare un rapporto. Perché sarebbe potuto essere un potenziale campione. Quando arrivò Schumacher spuntò dal nulla, aveva fatto delle gare di durata ma non avevamo nessun appiglio.
L’anno dopo (il 1992, ndr) eravamo in Canada: successe che ero da un antiquario e stavo trattando un orologio particolare. Entrò lui con Corinna, guardò questo orologio e mi disse ‘se non lo compri tu lo compro io’. E a quel punto gli ho detto ‘prendilo tu’. Era un affare spaventoso: lui apprezzò e da lì cominciò un rapporto diverso. Mi servì quell’opportunità per instaurare un rapporto più stretto.
Lui sapeva che io lo avevo criticato su Jerez, però non me l’ha mai fatto pesare. Nel 1998 ognuno stava un po’ sulle sue, ma dopo ci siamo sciolti. Non mi ha mai accusato di nulla, anche perché non era il caso. A volte, quando è capitato, abbiamo trascorso delle bellissime serate insieme, anche con la sua famiglia, quando andavamo in montagna. E alla famiglia teneva moltissimo. Una volta eravamo in montagna e vidi che Corinna lavava i panni del bimbo. Li voleva fare lei perché voleva essere sicura che gli abiti venissero lavati in maniera giusta.
Lui era una persona normalissima. Poi so che ha aiutato delle persone della squadra senza che venisse raccontato. Era, è, mi piace usare il presente, tuttora un’ottima persona. E poi va ricordato che quando sei un campione sei sottoposto a tante pressioni, a tante richieste. Hai tanta gente attorno che ti chiede qualcosa. A volte per difenderti puoi sembrare scontroso. Ma lui non lo è”.
[Giovannelli] “Io facevo la sua ombra, sia ai Gran Premi che ai test. Mi ricordo una volta in particolare: lui andava sempre ad aprire il garage la mattina dall’interno. Una volta ho sentito che stava aprendo e mi sono messo davanti. Lui mi ha visto così davanti e mi ha detto che aveva preso anche paura. ‘E allora proprio mi perseguiti…’, mi disse con ironia.
C’era anche un collega di RTL, un cameraman, che era proprio un suo amico vero con cui erano stati fatti degli speciali per RTL e per la RAI. Mi consigliò di approcciarlo non direttamente con domande sul suo lavoro, ma di chiedergli ogni tanto anche come andava, dei suoi bambini, di come stavano, perché era un grande papà e uomo di famiglia. E funzionò.
Con me alla fine, non voglio dire che c’era un’amicizia, ma c’era una grande simpatia, grande rispetto anche del lavoro reciproco, perché lui sapeva che io avevo bisogno di lui. Quando poi noi abbiamo iniziato a realizzare tanti pezzi, si rese conto che la percezione che l’Italia aveva di lui era migliorata e quindi era contento.
Lui voleva solo vincere, non gli interessava niente di niente, per cui era concentratissimo. Giusto ai test si concedeva una pausa in momenti morti nel paddock con un pallone che si portava dietro. Ogni tanto mi chiedeva di mettermi lontano e giocavamo a lanciarci la palla, poi magari su univa qualcuno e si faceva una partitella”.
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Siamo arrivati alla fine di questo Speciale. Teniamo a ringraziare ancora una volta, alla fine di questo viaggio, tutte le persone che hanno contribuito alla sua realizzazione, in ordine assolutamente sparso. Grazie quindi a Gianfranco Mazzoni, Ignazio Lunetta, Francesco Cigarini, Ettore Giovannelli, Modesto Menabue, Mauro Madrigali, Paolo Bombara; per i loro contributi preziosi e per averci aiutato a portarvi indietro nel tempo e ricordare un avvenimento storico per la Ferrari, per lo sport italiano e per Michael Schumacher.
Un ringraziamento speciale va anche a Sabine Kehm, la storica manager di Michael, per aver appoggiato questa iniziativa e per essere sempre disponibile.
In chiusura, teniamo a ricordare un piccolo ma importante dettaglio emerso dalle chiacchierate svolte in queste settimane: la volontà di parlare di Michael preferibilmente al presente. A dimostrazione di quanto, l’affetto nei suoi confronti, da parte di chi l’ha vissuto da vicino, sia inalterato dopo tutto questo tempo.
Come se la sua influenza fosse, ancora oggi, forte come allora. Forte come lui sulle piste di tutto il mondo.
Forza Michael.
Immagine di copertina: Media Ansa
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