Nel secondo articolo del nostro Speciale parliamo del 2000, anno in cui la Ferrari non poteva più sbagliare l’obiettivo iridato
Oggi la seconda parte del nostro Speciale “Suzuka25”. Se ti sei perso la prima, puoi recuperarla da questo link.
La Ferrari entra nel nuovo millennio con l’obiettivo di sfatare, finalmente, il tabù del titolo piloti che manca dal 1979. Si parte da una base sempre più solida, con il titolo mondiale costruttori conquistato nel 1999 e uno Schumacher pronto a tornare capo squadra dopo l’infortunio di Silverstone.
La nuova monoposto, la F1-2000, deve proseguire la scia di competitività mostrata, in crescendo, dalla F300 prima e dalla F399 poi. Al fianco del tedesco non c’è più Eddie Irvine, accasatosi in Jaguar dopo aver sfiorato il titolo piloti. Il sostituto è Rubens Barrichello: il brasiliano, proveniente dalla Stewart, ha corso delle buone stagioni sin dal suo esordio ed è la nuova scelta per affiancare Schumi.
[Paolo Bombara] “Archiviata la ‘macchia’ del 1997, e un duello mal conclusosi tra Schumacher e Jacques Villeneuve (figlio di quel Gilles che per i ferraristi fu più mito del suo compagno di squadra Jody Scheckter, nonostante proprio lui fosse, all’alba del 2000, l’ultimo pilota campione del mondo con la rossa, nel 1979), il 2000 si trasformò nella resa dei conti tra due giganti del volante: Michael Schumacher e Mika Hakkinen.
Il finlandese aveva già conteso a Michael e vinto il titolo nel 1998. I due avrebbero inscenato per tutta la stagione una sfida nobile, feroce, vissuta con un’intensità che solo la Formula 1 dei tempi d’oro sapeva offrire. Elettrizzante, stressante, palpitante, ma nel segno del fair play. Una stagione lunga 17 Gran Premi, stranamente (è accaduto solo quell’anno) separati sempre da due settimane d’intervallo, come per scandire a cadenza regolare, come con un metronomo, emozioni e colpi di scena”.
La Formula 1 degli anni 2000 era diversa e più tirata per i meccanici rispetto ad ora, soprattutto in tempi nei quali il Parco Chiuso non era limitante come oggi anche in termini di orari.
[Ignazio Lunetta] “Io sono stato ingegnere di Michael dal 1996 al 1999. Per quanto riguarda il 2000 c’era stata una ristrutturazione della squadra: avevamo fatto i due team interni, il Test Team (con a capo Luigi Mazzola) e il Racing Team, di cui ero a capo io. In quel periodo normalmente chi assumeva quella funzione aveva in mano tutta la squadra. Successivamente sarebbe arrivata anche la figura del capo dell’ingegneria”.
[Mauro Madrigali] “Al giovedì si facevano le verifiche, al venerdì l’avviamento prima delle libere, che si disputavano al mattino e pomeriggio. Al sabato la situazione iniziava a diventare tesa, perché avevamo l’avviamento alle 6.45. Ti dovevi alzare alle 5.30/6 per fare colazione e andare in pista. E poi dipendeva sempre da quanto si era distanti dal tracciato.
Al sabato c’erano le prove libere la mattina e le qualifiche al pomeriggio. La FIA ti riconsegnava la macchina dopo le verifiche anche alle 15:30 e, rispetto ad ora, era da smontare tutta: mozzi, semiassi, cambio, motore, a volte cambiavi anche il serbatoio. Tra una cosa e l’altra succedeva di fare le 2 o le 3 di mattina quando alla domenica, alle 7.30, c’era l’avviamento oltre alle prove di pit stop. E poi c’era il warm up (mezz’ora di prova in configurazione da gara, ndr) e se avevi un problema durante l’avviamento dovevi, ovviamente, risolverlo prima di scendere in pista.
Il sabato sera era proprio devastante. A volte anche il venerdì, ma ci sono stati dei sabati nei quali abbiamo fatto il giro dell’orologio, tutta la notte a lavorare. Specialmente all’inizio del mondiale, nelle prime gare, potevano esserci problemi che richiedevano più tempo prima di entrare a regime”.
Anche la vita dei meccanici, insomma, non era facile. Ma come sarebbe stata la stagione 2000, la prima del nuovo millennio? Quali aspettative c’erano, dopo tre anni terminati senza gioie a fine campionato?
[Gianfranco Mazzoni] “All’inizio ci chiedevamo se Schumacher avesse recuperato nel fisico e nella testa dall’incidente di Silverstone. Nelle ultime due gare dell’anno prima aveva dimostrato che lui era tornato subito in palla, però volevamo vedere se in quel 2000 ci sarebbero state delle conseguenze per l’incidente che aveva subito.
Dai primi test precampionato mi resi conto che era molto concentrato, un trascinatore, una furia. Mentalmente voleva riprendersi quello che pensava di aver perso in quegli ultimi anni. Partì fortissimo, aveva un nuovo compagno di squadra, Barrichello, che si sarebbe piegato un po’ alla logica di squadra. Tutta la squadra era concentrata su di lui, spingeva soprattutto Schumacher”.
[Lunetta] “In quegli anni iniziavamo la stagione sempre in inferiorità tecnica, poi crescevamo durante l’anno e riuscivamo ad essere competitivi verso la metà stagione in poi. Quell’anno eravamo ancora un po’ in inferiorità, non tantissimo, però ci sono stati 3-4 Gran Premi molto particolari per condizioni climatiche, con basso grip (noi su quelle situazioni, sia con vettura che col pilota eravamo molto forti). Iniziammo la stagione vincendo tre GP di fila”.
[Bombara] “La stagione 2000 non fu certo avara di emozioni. L’inizio fu dirompente per la Ferrari e Schumacher, dominatori dei primi tre Gran Premi — Australia, Brasile e San Marino — nonostante la McLaren del rivale Hakkinen e di Coulthard si fosse subito dimostrata velocissima, col finlandese autore di tre pole position.
Ma l’affidabilità meccanica non era pari alla velocità della monoposto britannica e in quelle prime gare le giocò brutti scherzi. A Imola, la strategia soste della Ferrari per il tedesco si rivelò vincente. Poi, però, arrivarono le McLaren con una doppietta a Silverstone, in una gara per certi versi quasi surreale: con un meteo che, durante le prove abbondantemente bagnate, mise in evidenza i limiti dell’epoca di certe infrastrutture del tracciato (e non fu un caso: Bernie Ecclestone aveva appositamente anticipato la gara ad aprile per smuovere certe resistenze del comitato organizzatore BRDC).
Barrichello conquistò la pole position e condusse la prima parte di gara, ma poi non poté resistere. Vinse Coulthard davanti a Hakkinen, mentre Schumacher, che proprio da quella gara iniziò a perdere un po’ il ritmo, si accontentò del terzo posto. Come spesso accadeva nella storia, la squadra di Woking non impartì ordini per favorire il campione del mondo in carica, Hakkinen. Un errore strategico che Ron Dennis, forse, rimpianse più tardi.
Seconda doppietta McLaren, a ruoli invertiti, nel successivo GP di Spagna, e solo quinto posto per Schumacher, coinvolto in un incidente durante il rifornimento: il tubo rimase incastrato nel bocchettone, e nel conseguente caos rimase ferito il capomeccanico Nigel Stepney. A quel punto, ricordo che l’entusiasmo dei tifosi ferraristi cominciò a vacillare. Il sogno mondiale sembrava scivolare via.
Ci vollero due settimane esatte per scacciare quei pensieri cupi: al Nürburgring, Schumi rispose vincendo con autorità il GP d’Europa. A Monaco, invece, la sorte lo tradì: guasto allo scarico mentre dominava. Non andò molto meglio a Hakkinen, ritardato fin dalle prime battute da una lunga sosta ai box e poi solo sesto.
In Canada, nonostante la pioggia, il sole tornò metaforicamente a splendere per Schumi, che vinse partendo dalla pole position — primo a riuscirci quell’anno. Hakkinen quarto, Barrichello secondo per una bella doppietta Ferrari. Psicologicamente, il popolo rosso cominciava nuovamente a sognare.
Poi venne l’estate, e con essa nuove delusioni: due successi McLaren e altrettante amarezze Ferrari. In Francia, problemi al motore costrinsero Schumacher al ritiro. Per sua fortuna, Ron Dennis & Co. furono recidivi e vinse Coulthard davanti a Hakkinen, per poi ripetersi a ruoli invertiti in Austria.
A Spielberg, però, Michael non completò nemmeno il primo giro, eliminato da una tamponata di Ricardo Zonta. A fine gara, il campionato regalò un episodio ai limiti del regolamento (anzi oltre): sulla vettura del vincitore, Hakkinen, i commissari FIA trovarono una centralina non correttamente sigillata. L’esame dimostrò che non era stata manomessa, ma il clamore fu enorme. Tutto si risolse in una mezza bolla di sapone: Hakkinen fu considerato incolpevole e conservò i dieci punti della vittoria, mentre alla McLaren furono decurtati i dieci punti corrispondenti nella classifica costruttori.
La rabbia per quella tamponata non ebbe nemmeno tempo di scemare che, al GP seguente, quello di Germania, sempre alla prima curva, il tedesco — secondo in griglia — venne nuovamente centrato, questa volta da Giancarlo Fisichella, e costretto al ritiro.
A Hockenheim, però, il Cavallino tornò a ruggire, anche se non col cavallo atteso. Lo fece con la straordinaria rimonta di Barrichello dal 18° posto alla vittoria, in una gara memorabile: prima l’invasione di pista di un ex dipendente Mercedes, poi la pioggia, infine la scelta del brasiliano di restare in pista con gomme da asciutto nel finale.
In Ungheria, Hakkinen fu di un altro pianeta: scomparve dai radar dei rivali fin dall’inizio, vincendo senza mai essere minacciato. Schumacher limitò i danni, ma il finlandese era ormai in testa al mondiale di sei punti. Il popolo rosso iniziò allora le sue solite danze propiziatorie e scaramantiche.
Il momento simbolo dell’anno, e forse di un’intera epoca, fu Spa-Francorchamps. Schumacher e Hakkinen si affrontarono a viso aperto, come gladiatori in un testa a testa ardimentoso e un altalenarsi al comando. Hakkinen staccò la pole, poi mantenne il comando finché, su pista che si asciugava, commise un errore: mezzo testacoda e un’escursione per prati. Schumacher ne approfittò e passò in testa.
Più tardi, con pista asciutta, Hakkinen tornò a farsi minaccioso. Un primo tentativo di sorpasso, chiuso da Michael con fermezza, gli fece capire che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa. E così fece.
Sul lungo rettilineo di Kemmel, davanti ai due si trovò la BAR del doppiato Zonta. Schumacher lo superò a sinistra, da copione, ma ritardando il più possibile la manovra per costringere Hakkinen a sollevare il piede. Il finlandese non lo fece, e in un lampo si tuffò dall’altra parte.
A oltre 300 km/h, il rischio era immenso. Zonta non si mosse dalla sua traiettoria e Hakkinen completò un sorpasso mozzafiato: una manovra da leggenda, e forse anche una tragedia solo sfiorata se Zonta si fosse spostato come, nel 1982 sempre in Belgio, ma a Zolder, aveva fatto Jochen Mass con Gilles Villeneuve in quelle funeste qualificazioni.
Dopo la gara, a un giornalista che gli chiese in conferenza stampa cosa avesse detto a Schumacher, gesticolando con le mani appena scesi dalle loro vetture, Mika rispose sorridendo sornione e con serafica calma: ‘Oh, niente di speciale. Stavamo solo contando insieme i punti del campionato'”.
Forse non fu il sorpasso del secolo, ma certamente uno di quei pochi che restano nella storia. Sicuramente, in quel momento, era il sorpasso del 21° secolo, cominciato proprio quell’anno“.
Ricardo Zonta, anni dopo, ricordò quell’episodio vissuto letteralmente in prima fila, raccontando la freddezza nel restare immobile una volta accortosi di cosa stava per succedere e del commento via radio del suo ingegnere di allora, Jock Clear, appena dopo il sorpasso: “Quei due sono pazzi”.
[Bombara] “Per l’euforia di quel sorpasso un giovane ospite del box McLaren, su di giri per l’adrenalina, scappò fuori dal motorhome ad urlare come un matto per il Paddock. Il suo nome era Nico Rosberg. Aveva 15 anni e, un paio d’anni dopo, avrebbe svolto il suo primo test in F1 con la Williams”.
[Lunetta] “Quella situazione (il sorpasso di Hakkinen) è stata molto romanzata. La verità è che per errore fu montata sulla vettura un’ala posteriore diversa, da alto carico. La cosa fu macroscopica anche perché c’era Zonta in mezzo, ma fu un errore tecnico fatto dalla squadra e Michael non c’entrava nulla, avevamo diversi chilometri in meno in rettilineo.
La macchina era bilanciata e nella prima parte, bagnata, Michael aveva preso un vantaggio perché aveva molto carico aerodinamico e per le capacità sue. Ma non era una cosa voluta, perché anche quando è bagnato a Spa non si sceglie quel tipo di ala: c’erano praticamente due o tre step di carico in più. Quindi tornammo da SPA avviliti.
Durante il debriefing del lunedì Mr. Todt ci disse che se volevamo ancora vincere il mondiale dovevamo portare a casa le ultime quattro gare. Non era una sparata, aveva ragione, c’era solo da mettere a posto le cose, e cercare di non fare più errori perché comunque eravamo competitivi”.
Monza diventa un crocevia tremendo per le sorti del mondiale. Davanti ai tifosi della Rossa, il team di Maranello non può più permettersi di sbagliare dopo un recupero incredibile da parte di Hakkinen e della McLaren. Il colpo di Spa è ancora fresco ed è necessario, per certi versi imperativo, dare una spallata forte all’avversario se si vuole essere ancora in corsa.
[Mazzoni] “Arrivammo a Monza e ricordo che c’era una tensione notevole all’ambiente della Ferrari. Montezemolo aveva fatto anche una riunione terribile, pesante, con tutti i vertici, un po’ per motivarli, ma poi anche perché lui che viveva appassionatamente come primo tifoso, dopo vent’anni non ce la faceva più”.
Le qualifiche sorridono alla Rossa. Michael si prende la Pole per 27 millesimi su Barrichello per una prima fila tutta Ferrari. Hakkinen è terzo. La gara, però, assume connotati drammatici dopo mezzo minuto: Schumi scatta bene seguito da Hakkinen, che si libera subito del brasiliano della Ferrari, ma dietro di loro succede il putiferio.
Paolo Gislimberti è un ragazzo di 33 anni nato a Trento. È, da anni, un Leone della CEA, il servizio antincendio che opera sui nostri tracciati. Ha una moglie, Elena, che attende la loro primogenita, Lisa. Per il Gran Premio d’Italia 2000 la postazione di Gisli, come lo chiamano gli amici, è nei pressi della variante della Roggia, sul lato sinistro arrivando dalla Curva Grande.
Proprio alla Roggia, nel corso di quel primo giro, si innesca un incidente tremendo con sei piloti coinvolti: Barrichello, Coulthard, le Jordan di Trulli e Frentzen, la Arrows di De La Rosa, la Jaguar di Herbert. Entra la Safety Car. I piloti sono illesi ma l’attenzione si sposta al di là del muretto interno: Paolo viene colpito in pieno da una delle ruote perse dalla Jordan di Frentzen.
Viene soccorso immediatamente dal medico della FIA, il Professor Sid Watkins (colui che, sei anni prima, fu testimone delle tragedie di Roland Ratzenberger ed Ayrton Senna ad Imola) e portato in ospedale al San Gerardo di Monza. Purtroppo, non c’è niente da fare. Le ferite riportate gli sono fatali.
La notizia del suo decesso si farà strada in Autodromo nella parte finale della gara che, dopo nove giri di Safety Car, riparte con Schumacher davanti ad Hakkinen. La corsa, mentre chi è a casa attende notizie dall’ospedale, si svolge con il tedesco che tiene testa al finlandese, arrivando a quasi otto secondi di vantaggio prima dell’unica sosta e gestendo il margine nella seconda parte di gara.
La guerra di nervi con Mika si chiude con poco meno di quattro secondi di vantaggio dopo 53 giri e un’invasione di pista che sa di liberazione, con Michael costretto a rientrare ai box schivando i tifosi dalla Parabolica in poi. Il tedesco torna a due punti in classifica con ancora tre gare da disputare e festeggia sul podio per una vittoria scaccia crisi. Quello che succede pochi minuti dopo ha, invece dell’incredibile.
[Mazzoni] “Scoppiò in un pianto liberatorio, molto umano e di fronte a quella cosa ci chiedemmo se avesse la forza per andare avanti. Qualcuno disse che piangeva perché aveva raggiunto le 41 vittorie di Senna, qualcun altro che aveva saputo quell’incidente mortale del commissario”.
Il video della conferenza stampa post Monza è un documento che, ancora oggi, provoca emozioni in chi lo rivede. Nel momento in cui gli viene ricordato di aver affiancato Senna a quota 41 vittorie, alla domanda “Significa molto per te?”, Schumi, già in difficoltà dalla risposta precedente, cede. Il tedesco scoppia in un pianto a dirotto che lascia di sasso tutti, a partire da Mika Hakkinen e dal fratello Ralf, terzo sul podio, che si rimbalzano le domande con il finlandese, quasi commosso a sua volta, che tenta di consolare il rivale per il titolo; con il quale, quel 1° maggio del 1994, aveva condiviso il podio di Imola.
Difficile immaginare cosa passò per la testa di Schumi in quel momento. Ma, esattamente quel giorno, la corazza che lo aveva accompagnato, almeno pubblicamente, fino a quel momento fece capire che sotto c’era qualcosa di diverso, di umano per chi lo considerava solo un robot da pista.
Schumi prova a riprendere la conferenza stampa, schiva per la seconda volta la stessa domanda sul record di Senna (ah, l’insistenza dei giornalisti…) ma non riesce a proseguire. Viene a sapere più tardi, davanti ai microfoni dei media, della scomparsa di Paolo Gislimberti, commentando così prima di andarsene: “A volte nella vita è meglio fermarsi e riflettere”. Il funerale si svolge quattro giorni dopo a Lavis, in provincia di Trento.
La Ferrari è presente con Stefano Domenicali, Claudio Berro, Luca Badoer e un mazzo di 110 rose rosse inviate da Barrichello. Corone di fiori vengono inviate anche dalla FIA, da Bernie Ecclestone e da diverse scuderie. Tra i piloti ci sono anche Gaston Mazzacane della Minardi, Jarno Trulli e Heinz-Harald Frentzen, dalla cui Jordan si è staccata la ruota che ne ha segnato il destino. L’associazione dei piloti, in accordo con i team, apre un fondo per aiutare la moglie Elena e la futura nascitura.
Venticinque anni dopo, teniamo ad inviare un abbraccio e un pensiero alla famiglia di Paolo.
La Ferrari esce trionfatrice da Monza e il mondiale prende la piega sperata dopo le delusioni delle ultime gare.
[Mazzoni] “La realtà è che era stata una settimana feroce, era stato un periodo di grande pressione. Poi c’era anche un’altra questione durante tutta la stagione, si parlava di un accordo FIAT con la General Motors, con Agnelli che stava trattando con il presidente della FIAT, Fresco e si diceva che la General Motors in realtà volesse comprare a Ferrari. C’erano tante tensioni, con un campionato che sfuggiva da 21 anni.
Dopo la vittoria di Monza le cose si misero un po’ meglio e andammo a Indianapolis, tornando a correre in America. Anche se il tracciato non era quello per la 500 miglia di cui condivideva il rettilineo principale e la curva 1 (percorse in senso opposto alla Indy)”.
[Bombara] “Schumacher realizzò la pole position e Jean Todt, forse, peccò quel giorno di un po’ di presunzione o carenza di empatia storica. Ricordo i sorrisi divertiti di noi europei e la smorfia tutt’altro che divertita di Anton Hulman (per tutti “Tony”) George, proprietario dell’Indianapolis Speedway, quando Todt chiese che venisse asfaltata la striscia di mattoni del traguardo per agevolare la partenza a Michael. Una richiesta tecnicamente fondata ma simbolicamente impossibile: avrebbe significato cancellare l’ultima vestigia rimanente del mitico Brickyard, ovvero del tracciato originale dell’ovale di Indianapolis, tutto in mattoni.
La richiesta fu respinta con disdegno e, al via — su pista umida — Schumacher scattò benissimo, ma Coulthard lo bruciò sullo spunto. Anzi bruciò tutti, semaforo compreso, partendo in anticipo. Sarebbe stata penalità. Dopo una difesa decisamente intensa dello scozzese sul bagnato nei primi giri, ed un sorpasso al pelo di Michael (con i fantasmi di Spa ’98 all’orizzonte), la McLaren provò allora a scombinare le carte anticipando la sosta di Hakkinen: montate le slick, il finlandese rimontò a grandi passi, ma il motore lo tradì. Nuovo colpo di scena: successo di Schumacher, ritiro del finlandese e classifica ribaltata. Michael tornò in testa con otto punti di vantaggio a due gare dal termine e solo venti punti disponibili”.
[Lunetta] “In quelle condizioni, un po’ per il pilota e un po’ per la gestione nostra, eravamo molto competitivi”.
[Mazzoni] “Tutte le scuderie portarono dei supermotori. Quello della McLaren-Mercedes, si ruppe. Mi ricordo non la disperazione ma la faccia impietrita di Norbert Haug, il capo della Mercedes, quando ci fu la fumata del motore di Hakkinen.
Le cose si misero bene, perché nelle ultime due gare non sarebbe bastata la vittoria ad Hakkinen sia in Giappone che in Malesia per vincere il Mondiale, perché se Schumacher fosse arrivato secondo in entrambe le gare avrebbe chiuso la pratica. Questo creava una tensione da una parte e dall’altra. Mi ricordo che ci fu un test al Mugello dove Schumacher non doveva andare e invece andò lo stesso”.
E poi arrivò Suzuka…
Immagine di copertina: Media Ansa
AVVISO: Se vuoi ricevere le notifiche dei nuovi articoli pubblicati, scegliendo tu per quali categorie abilitare gli avvisi, collegati al nostro NUOVO GRUPPO TELEGRAM
Stai visualizzando da visitatore. Accedi o registrati per navigare su P300.it con alcuni vantaggi
È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.
Supporta P300.it
Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi sostenere il nostro lavoro, puoi aiutarci con un piccolo contributo.P300.it è una realtà totalmente indipendente, il tuo supporto è per noi importante.