F1 | Liberty Media, la F1 e il giorno del Ringraziamento. Otto anni di puro business: ma lo Sport, quello vero, è un’altra cosa

Autore: Alessandro Secchi
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Pubblicato il 10 Luglio 2025 - 11:00
Tempo di lettura: 24 minuti
F1 | Liberty Media, la F1 e il giorno del Ringraziamento. Otto anni di puro business: ma lo Sport, quello vero, è un’altra cosa
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Rappresentazione di una famiglia, una tradizione e del sacrificato di turno: in questo caso lo Sport F1

Nel 2017 Liberty Media completava l’acquisto della F1. Da allora, il Circus ha cambiato rotta drasticamente, prendendo la via dell’intrattenimento a tutti i costi dal punto di vista sportivo, imprenditoriale, commerciale e mediatico. In questa lunga analisi ripercorriamo, sin dagli inizi, la gestione Liberty e come il mondo della F1 è stato cambiato ed è destinato a cambiare durante questi anni; con lo sport sempre meno preponderante in favore di spettacolo puro, moda, lifestyle e cultura per abbracciare un pubblico sempre più ampio; con tutte le conseguenze del caso. Buona lettura.

Il 23 gennaio 2017 il sito della F1 annunciava l’acquisizione definitiva del Circus da parte di Liberty Media Corporation, azienda statunitense con base a Englewood, Colorado. Liberty, che per comodità chiameremo d’ora in poi LM, è uno dei tanti fondi americani che operano in diversi settori. In questo caso parliamo di media, intrattenimento e sport.

I fondi e le aziende di investimento hanno un chiaro obiettivo: acquisire un bene – chiamato in gergo asset – ad un certo costo per trarne profitto, mantenendolo o vendendolo al raggiungimento di un obiettivo prefissato. Non importa di quale settore si stia parlando, conta solo il risultato finale.

Il Thanksgiving Day, o giorno del Ringraziamento, è una festa che si celebra negli Stati Uniti (il quarto giovedì di novembre) e in Canada (il secondo lunedì di ottobre). In origine veniva festeggiato per ringraziare il Signore del frutto di un anno di raccolto e ha una data di nascita risalente, addirittura, al 1621. Si festeggia mangiando un tacchino, rigorosamente ripienissimo con ricette variegate.

Qual è il filo che unisce Liberty Media e il giorno del Ringraziamento? Ovviamente la Formula 1. È un paragone un po’ azzardato, se vogliamo, però è quello secondo noi più attinente per raccontare la storia di una famiglia (LM), un tacchino (la Formula 1) e gli ingredienti adibiti a riempirlo per il giorno del Ringraziamento, ovvero la vendita; le millemila partnership che stanno caratterizzando questa mega operazione su scala mondiale, le iniziative per acquisire visibilità e valore e tutti gli altri accordi commerciali di ogni ordine e genere.

Social e TV

Partiamo da lontano, evidentemente. L’era Ecclestone era ormai arrivata a conclusione e il padre padrone del Circus, dopo decine d’anni di regno incontrastato, era rimasto indietro dal punto di vista dell’immagine e della promozione dello sport. LM, che ha l’obiettivo, come qualsiasi fondo, di guadagnare sul lavoro svolto su un asset (ciò che è la F1 per lei), ha portato avanti le sue indagini di mercato individuando il fronte web come un mare da cui attingere. Spettatori, appassionati? No, clienti. Ma ci arriveremo.

L’apertura al mondo social è stata prorompente, una specie di liberi tutti. In questi otto anni di gestione i piloti sono passati dall’essere semplici atleti a personaggi: televisivi, di moda, dei role model e aggiungete quanto più vi aggrada. L’apertura alle loro vite private è diventata un modo per “connettere” il nuovo pubblico che si stava per costruire, al fine di collegare il pilota-personaggio non solo al suo ruolo di atleta ma anche a quello di persona al di fuori delle corse. LM lo dice chiaro e tondo: “Sin dall’inizio, Liberty Media ha posto i piloti nel ruolo di star dello spettacolo, calcolando che i giovani si sarebbero connessi alla F1 attraverso le loro personalità”.

Dal punto di vista sportivo, il primo grande cortocircuito dell’operazione F1 riguarda Drive To Survive. La serie su Netflix, prodotta in collaborazione col Circus e con telecamere presenti durante i weekend di gara, andata in onda per la prima volta nel 2019, sarebbe potuta essere un magnifico spot per lo “Sport Formula 1” viste le immense possibilità a disposizione.

Invece, da 8 stagioni, rappresenta nient’altro che l’applicazione del termine “drama”, ovvero il romanzare, inventare rivalità che non esistono e rendere il tutto una specie di soap-opera a quattro ruote; utile non a mostrare il vero lato dello sport ma ad aumentare la fanbase, raccogliendo innanzitutto i cosiddetti “occasionali”, utenti o potenziali clienti da agganciare con la scusa del prodotto generalista per poi intrattenerli con tutta una serie di altre possibilità e attività.

La fanbase, grazie a Drive To Survive, ha avuto un incremento importante negli USA, nuovo mercato di riferimento dove LM sta cercando, a colpi di spallate, di spostare le radici del Circus. Prova ne sono lo shift degli orari di partenza un’ora più avanti per le gare europee per venire incontro al pubblico americano (inizialmente lo start fu portato dalle 14:00 alle 15:10 per motivi pubblicitari, per poi tornare alle 15:00) e, soprattutto, l’ingresso, nel 2022 e 2023, di due nuovi Gran Premi negli States: quello di Miami (inizialmente approvato fino al 2031 e recentemente rinnovato per altri dieci anni…) e quello di Las Vegas, organizzato direttamente da LM con l’acquisto di un ampio terreno per realizzare tutta la struttura dei box / Paddock Club, oltre ad uffici da “sede”.

L’operazione di americanizzazione è quindi chiara e prosegue a pieno ritmo, con tre GP in calendario insieme ad Austin mentre, in Europa, viene vista male la convivenza di due gare in Italia (con Imola che, fuori dal calendario 2026, è alla ricerca di un posto per il futuro) e un luogo sacro come Spa-Francorchamps è costretto a rimanere in alternanza, un anno sì ed uno no.

Il sondaggio promosso dalla F1 nel 2021, a quattro anni dall’ingresso come proprietaria di Liberty Media, parlava del 34% di utenti che seguivano lo Sport da massimo cinque anni. Un dato infinitamente preoccupante vista la storia iniziata nel 1950. Pochi giorni fa LM e la F1 hanno pubblicato i risultati del sondaggio 2025, che ha visto scendere la percentuale dal 34% al 27%, così come il numero di persone che hanno partecipato (da 170.000 a 100.000). Ma ciò che preoccupa di più, nell’ultimo Global Survey, è la completa assenza di domande e risposte relative alla parte sportiva del Circus, sostituite da tutta una serie di questioni legate alla moda, al lifestyle e alla loro importanza nel mondo della F1. Il tutto con un ampio spazio (1/5 del report) dedicato alla situazione in USA.

LM annuncia con gioia i record di presenze di spettatori nei circuiti, diventati delle specie di centri commerciali nei quali i più grandi marchi del mondo sono in gara per essere presenti indipendentemente da quello che succede in pista. Già in Qatar, ma ora anche a Silverstone per il GP 2025, Qatar Airways ha avuto a disposizione uno grande spazio all’interno del Paddock dove ha allestito un… barbiere, nota attività della compagnia aerea. La F1, quindi, non è più (solo) uno sport ma, a detta della stessa LM, una piattaforma che deve unire temi come “Lifestyle, intrattenimento puro, musica, costume, forme di spettacolo” per coinvolgere i giovani.

Nel piano mediatico rientra, ovviamente, anche “F1 The Movie”, il film uscito il 25 giugno con protagonista Brad Pitt. Un’operazione alla Drive to Survive ma in formato cinema, per andare ad intercettare ancora nuovo pubblico completamente ignaro dell’esistenza della F1 in mercati ancora inesplorati. Peccato che, in questo caso soprattutto, il drama abbia raggiunto livelli abbastanza irreali, considerato che la trama prevede il ritorno al volante di un vecchio campione dopo “soli” trent’anni dal primo ritiro e che tutto quello che non è prettamente azione in pista (e comparto tecnologico, di alto livello) lasci molto a desiderare.

Se soli tre o quattro anni di assenza dalla F1 sarebbero proibitivi nel mondo reale, trenta sono uno schiaffo alla credibilità. La trama fatica a reggersi in piedi, il realismo non c’è, mentre Pitt nel film è un vero e proprio “bastardo senza gloria” (per richiamare un altro suo film) che dovrebbe essere sospeso una gara dopo l’altra per quello che combina in pista. Il tutto mentre, nel mondo reale, si critica Verstappen per azioni che, in confronto a queste, lo fanno passare per un santo.

In definitiva, vale lo stesso discorso fatto per Drive To Survive: potenzialità incredibili sprecate per un “arcade” dei film e solo per “catturare” occasionali a cui vendere un prodotto. Un altro grande peccato.

Social parte 2: influencer e Media in pista

Visibilità a tutti i costi: l’espansione tramite i social è stata un elemento cardine dell’azione di LM, ottenuto tramite molteplici attività con l’obiettivo di catturare giovani e portare, col tempo, alla nascita di un vero e proprio fenomeno, quello degli influencer che parlano di F1. Una conseguenza non sappiamo quanto prevista che ha portato, di riflesso, ad un ritorno di visibilità basato esclusivamente sui numeri.

L’influencer guadagna follower con contenuti di vario tipo (in alcuni casi criticabili o mancanti di competenze, in altri utilizzando contenuti protetti dal copyright) e viene chiamato, spesso solo sulla base dei conteggi, da addetti ai lavori, team o dalla stessa F1 per creare contenuti e creare della nuova visibilità per il Circus. Spesso, come abbiamo purtroppo potuto verificare noi di P300.it negli ultimi tempi, l’aver guadagnato followers coincide nella convinzione dell’influencer con l’aver guadagnato credibilità ed autorevolezza; come se essere più popolari alimenti la convinzione di appartenere ad uno status sociale superiore.

Questo nuovo tipo di comunicazione, che non ha bisogno di alcuna certificazione ma si basa solo sul concetto del “pubblico qualcosa” e delle interazioni, minaccia da tempo l’informazione tradizionale. Non a caso, negli ultimi anni, la ripartizione tra accessi alla stampa e quella a VIP e influencer vari nel Paddock è cambiata in favore di questi ultimi due. Difficilmente, però, vedrete un influencer con presenza in pista parlare male di qualcosa legato alla F1, criticarne il format o muovere una qualsiasi considerazione non positiva.

Partners

Fino ad ora abbiamo parlato di due termini specifici: Asset (la F1) e Clienti (gli appassionati). Ora passiamo ad altre tre parole: Partner, Activations ed Experience. Soprattutto negli ultimi tempi non c’è mese, se non settimana, in cui la F1 non annunci una partnership con un grande marchio, spesso completamente slegato dal mondo del Circus. Quelli bravi chiamano questo fenomeno come FOMO, “Fear Of Missing Out”, paura di non esserci. Una considerazione:

Una volta la FOMO era applicabile al solo GP di Monaco, l’evento più glamour dell’anno nel quale esserci era essenziale a livello di immagine per VIP, imprenditori facoltosi, personaggi famosi e di caratura elevata in generale. Poco importava che non si fosse minimamente a conoscenza dell’esistenza di una gara e che un pilota sarebbe potuto essere scambiato per un meccanico e viceversa.

La FOMO del 2025 è applicata a tutto il Circus. La F1 è diventata l’equivalente di Montecarlo e i suoi VIP sono diventati i marchi, che salgono sul carro solo e soltanto per il ritorno di immagine (e di affari) che il Circus in quanto piattaforma oggi offre. Abbiamo quindi il marchio di moda con tutte le sue branch, che siano orologi, borse, gioielli e via dicendo. Le coppe del podio vengono mostrate in cofanetti dal valore più alto delle coppe stesse. Poi ci sono le banche, le criptovalute, le carte di credito e le aziende petrolifere.

Passiamo al “food and beverage”: birra, pasta, champagne, vodka (!), vino (ultima novità almeno alla pubblicazione di questo pezzo), patatine, bevande energetiche, snack, fast food e quant’altro. Le uniche attinenze con il mondo del motore sono quelle legate ai prodotti a tema auto, come fatto (magistralmente, va riconosciuto) da Lego e Hot Wheels, senza dubbio le attività meglio riuscite. In compenso, sui social qualcuno fa notare le iniziative legate a “Don’t drink and drive” che ora sembrano, quanto meno, passate di moda di fronte agli affari…

I comunicati stampa di annuncio di queste partnership vertono su frasi motivazionali e dichiarazioni per lo più standard, che raccontano entusiaste di come la F1 e il brand “X” abbiano incredibilmente sempre in comune dei valori di perfezione, forza, distinzione, unicità, [inserire a caso]: che si tratti di patatine o mattoncini poco importa. Le dichiarazioni non lasciano ormai più nulla al caso, specificando che la finalità della partnership è quella di unire i fan della F1 a quelli del prodotto “Y”, in modo da allargare il bacino di utenza degli uni e degli altri.

Le parole chiave di questi comunicati sono “Activations” ed “Experience”, ovvero le attività tramite le quali i marchi di cui sopra si promuovono all’interno del Paddock o nelle Fanzone nei confronti degli appass… dei clienti. Almeno una di queste due parole è sempre presente: verrebbe da preoccuparsi se non si trovassero entrambe.

Il portfolio GP

Il reparto Partners rappresenta una buona parte della farcitura del nostro amato tacchino, alla quale seguono gli altri accordi commerciali con fornitori vari e, altro grande argomento, con gli organizzatori dei GP. La F1 ha appena comunicato il calendario 2026 (alle 7 del mattino europee, sempre per rimarcare quanto il vecchio continente sia importante) e questo non include il GP dell’Emilia-Romagna. Imola, dopo il no a recuperare l’edizione del 2023, annullata per l’alluvione che ha colpito la regione, lotterà quanto meno per tornare in calendario in futuro.

Ad oggi la situazione dei contratti con i vari organizzatori è la seguente:

Partendo da un concetto generale, i contratti firmati con gli organizzatori rappresentano un valore. Di fronte ad un potenziale acquirente, presentarsi con X accordi a lunga scadenza fornisce più potere di contrattazione e più valore generale per l’asset. Da qui alcune scadenze lunghissime, già oltre il 2030 con il picco di Miami (in attesa di Las Vegas, organizzata direttamente da LM) al 2041, il che ha suscitato non poche polemiche soprattutto in contrapposizione con quello che sta succedendo ad Imola. Polemiche arrivate anche dal popolo americano così come per la decisione, freschissima, di infilare il GP del Canada 2026 allo stesso orario della 500 miglia di Indianapolis. La gara di Montréal scatterà, infatti, quando ad Indy le monoposto saranno in pista da poco più di un’ora. Una sovrapposizione che in diversi non hanno propriamente gradito, data la sacralità della gara più veloce del mondo.

La gara dell’Emilia-Romagna di poche settimane sarà l’ultima, almeno per ora. Nonostante il tracciato italiano abbia risposto “sì” all’emergenza Covid e sia in credito di un’edizione, con costi comunque affrontati a livello organizzativo, non sarà recuperata. La raccolta firme a favore della gara è arrivata a quota 40.000, ma agli occhi del business questo conta sempre poco. Non è quindi certo che Imola possa tornare in calendario in futuro. A tal proposito, Sindaco di Imola e Presidente della Regione hanno rilasciato un comunicato molto completo, mentre Stefano Domenicali non ha escluso un ritorno dal 2027 ma con la logica della “rotazione tra piste classiche europee”. Altra dichiarazione preoccupante per la storia della F1.

Oltre ad Imola, ci sono altre due piste europee pronte a lasciare. Una la conosciamo già, ovvero Zandvoort, che chiuderà la sua esperienza nel 2026. L’altra è il Circuit de Catalunya: il contratto è in scadenza l’anno prossimo, quando il GP di Spagna passerà come denominazione al nuovo grande evento di Madrid, una specie di Miami europea. Per Barcellona ci sarà, quindi, da capire con che nome verrà disputata la sua ultima edizione e cosa ne sarà del suo futuro, al momento incerto.

Una piccola parentesi riguarda Monte Carlo che, per restare nel giro al di là della sua vena glamour, si è dovuta arrendere sotto diversi aspetti che la rendevano ancora più unica, quali fee da pagare, libere al venerdì e non più al giovedì, sponsorizzazioni lungo il tracciato in mano alla FOM così come la regia.

La de-europeizzazione della F1 continua con il GP del Belgio a Spa-Francorchamps, il quale ha sì rinnovato fino al 2031 ma sarà protagonista della nuova invenzione di LM, ovvero la rotazione dei GP. A Spa non si correrà nel 2028 e 2030: questo apre il fronte ad un nuovo modo di gestire i contratti. Immaginate di avere a disposizione un massimo di gare da disputare, 24 attualmente, ma 27/28 contratti firmati con gli organizzatori. Si tratta di un altro modo di accrescere il valore dell’asset, con il futuro compratore che potrà contare su più contratti (e più location) per organizzare il calendario anno dopo anno.

La F1, comunque, è in continua ricerca di nuovi orizzonti, non solo a livello di partner ma anche di organizzatori. Si parla da tempo di Sud Africa, del Ruanda (dove la FIA ha organizzato i Prize Giving 2024) e della Thailandia, che ha lanciato ufficialmente il suo progetto con l’obiettivo di entrare nel mondiale nel 2028. Non bisogna dimenticare l’evento saltato in Vietnam, un buco nell’acqua clamoroso con pit building già costruito e mal ridotto dopo cinque anni, senza mai essere stato utilizzato. Inoltre, è previsto lo spostamento del GP dell’Arabia Saudita nel nuovo futuristico circuito di Qiddiyah, che dalle simulazioni somiglia più ad un tracciato da Mario Kart che ad una pista da F1.

La tendenza, comunque, è chiara: il futuro della F1 sarà ancor più fuori dall’Europa di quanto non lo sia già ora. Il vecchio continente non rappresenterà più lo snodo centrale del mondo del Circus ma avrà la stessa importanza degli altri, o forse meno. E qui gioverebbe, però, ricordare che tutti i team hanno sede in Europa, la stragrande maggioranza direttamente nei pressi di Silverstone come Aston Martin, Mercedes, Red Bull, Haas, McLaren, Williams, Alpine, la futura Cadillac. Restano Ferrari (Maranello), Racing Bulls (Faenza) e Sauber (Hinwil, Svizzera).

L’elemento discriminante per l’organizzazione di un GP è, ovviamente, la disponibilità economica a supporto degli eventi: non a caso abbiamo GP in Bahrain, Qatar, Arabia Saudita e Abu Dhabi, paesi dal portafoglio a più piani, che non hanno mai avuto una tradizione automobilistica/motoristica e che difficilmente l’avranno in futuro, nonostante la presenza annuale della F1.

A tal proposito, meritano una menzione due esperimenti portati avanti quando Liberty Media ancora non c’era, quelli dell’India e della Corea del Sud. Al Buddh International Circuit si è corso per appena tre anni, dal 2011 al 2013, su un tracciato che viene ricordato più per le polemiche legate alla sua costruzione, con l’espropriazione di alcuni terreni, che per le gare che si sono disputate, l’ultima delle quali ha consegnato il quarto ed ultimo titolo a Sebastian Vettel. A Yeongam le cose sono andate più o meno nello stesso modo, con quattro edizioni disputate dal 2010 al 2013, l’ultima delle quali ricordata per il fuoristrada in pista davanti alle monoposto…

Non è quindi certo che andare in esplorazione di nuovi territori, sacrificando magari location sicure in Europa, rappresenti una strategia di successo. Può esserlo forse per i freddi numeri, che sommano la fanbase attuale della F1 a quella che potenzialmente potrebbe essere acquisita. Ma, in uno sport mosso prevalentemente dalla passione, i numeri possono contare fino ad un certo punto: gli esempi di India e Corea ne sono una prova, mentre il concetto è molto più difficile da far capire a chi lo sport lo considera solo un’azienda da far fruttare.

Ci sarebbe anche da parlare dei diritti umani in acceso contrasto con le politiche inclusive del Circus (vi ricordate il “We race as one”?). Ma, a quanto pare, certi temi contano relativamente quando si parla di affari. Come dimenticare, tra l’altro, il GP dell’Arabia Saudita 2022 corso a Jeddah con i missili che cadevano a 15/20 km dal circuito, con LM schierata a difesa dell’evento e riunioni su riunioni con piloti giustamente preoccupati dalla situazione.

Infine, un accenno all’aumento dei prezzi dei biglietti per assistere ai GP operato in questi ultimi anni. Sotto la guida di LM i rincari visti almeno in Italia, in buona parte giustificati dall’aumento delle richieste della stessa padrona del Circus, sono stanti ingenti, conditi da alcune limitazioni importanti per quanto riguarda l’esperienza dei fan. Una su tutte come esempio: un tempo, durante le prove libere del venerdì, con un biglietto si poteva girare per tutte le tribune godendosi la giornata da punti diversi, magari sfruttando l’occasione per scattare qualche foto.

Da un anno con l’altro, il venerdì è stato equiparato a sabato e domenica – con ritocco dei prezzi – anche per quanto riguarda i posti a sedere. Biglietto con posto numerato e tanti saluti. È un dettaglio, ma anche questo rende l’idea della politica di massimizzazione dei profitti. In questo rientrano anche le Sprint ed il concetto per il quale “ogni giorno deve contare qualcosa”, un modo per giustificare l’aumento dei prezzi.

Un po’ di domande

Fino ad ora abbiamo parlato di Asset, Partners, Sponsors, Activations, Experience, Organizzatori, Contratti. Tutti elementi che concorrono ad infarcire la nostra amata F1, immaginata oggi come un bel tacchino pronto ad essere cotto. Ora qualche domanda:

Fino a quando il tacchino andrà riempito?

Ovvero, qual è il limite da raggiungere per Liberty Media tra espansione ed aumento del valore del suo asset? Il limite stabilito, al suo raggiungimento, definirà il momento della vendita al miglior offerente che, in questi ultimi tempi, sembra poter arrivare solo dall’Arabia. Il piano di rinnovo con gli organizzatori dei GP potrebbe far presagire che si voglia mantenere le redini almeno fino al 2030; dipenderà anche dalla capacità del tacchino di recepire ingredienti e farciture.

Arriverà infatti un momento nel quale, sul carro, non ci sarà fisicamente più posto per salire, ovvero quando tutti i settori commerciali di riferimento avranno almeno un brand presente a bordo, arrivando così alla saturazione di posti e scaffali. Nel momento in cui LM avrà capito di non poter più raggiungere pubblico ulteriore e di essere arrivata al limite di espansione, inizieranno i ragionamenti sulla cottura e la consumazione del tacchino.

Comunicati e dichiarazioni incentrate solo sul business

Scorrendo rapidamente le ultime decine di comunicati di partnership, accordi e sponsorizzazioni varie, la domanda principale che sorge è semplice quanto ingenua. In tutto questo, dove si parla di gare, sport, racing? Semplicemente, da nessuna parte.

Le dichiarazioni da parte dei rappresentanti di LM potrebbero essere associabili ad una qualsiasi azienda di qualsiasi settore. L’ultimo intervento dell’AD Derek Chang, all’Autosport Business Exchange a Monaco, rende benissimo l’idea di quello che la F1 rappresenta per il fondo americano. Sentir dire che Miami ha portato la F1 ad un livello diverso mentre, sui social, migliaia di persone si sono scagliate contro il rinnovo fino al 2041, è un piccolo indizio sulla sconnessione tra considerazione dello sport tra chi lo comanda e chi lo segue.

Sostenere con orgoglio che l’interesse delle persone per i piloti ora non è solo per quello che fanno in pista ma anche per ciò che succede nella loro vita privata, che la F1 è un prodotto trasformato in intrattenimento (con il grande esempio di Drive To Survive) e confermare che il Circus non è più basato su un sistema di sponsorizzazioni ma sulla vendita ai consumatori (gli ex appassionati, ora diventati clienti), fa capire chiaramente qual è il disegno alle spalle dell’acquisto del 2017.

“Credo abbiate visto che la popolarità continua ad aumentare per la Formula 1, con l’arrivo continuo di nuove persone. Bambini, fan casuali e tutto questo genere di cose”. Questa è una delle frasi più indicative, soprattutto nel riferimento ai fan casuali che rappresentano il vero core business di questa grande espansione. Un’espansione che, a causa del Covid, si è fermata in Cina, “paese da 1,4 miliardi di persone che amano lo sport” con Guanyu Zhou che, “purtroppo, non è sulla griglia quest’anno ma forse un giorno tornerà”. Chiaro il messaggio?

Tornando a “comunicati e dichiarazioni incentrate solo sul business”, è freschissima la notizia del via della Commissione Europea all’acquisto di Motomondiale e Superbike sempre da parte di Liberty. Ed ecco le dichiarazioni di Chang: “La MotoGP è un asset sportivo premium estremamente attraente, con gare incredibili, una fanbase appassionata e un solido profilo di cash flow. Crediamo che lo sport e il brand abbiano un potenziale di crescita significativo, che cercheremo di realizzare approfondendo il legame con il pubblico storico e ampliando la portata globale”.

“Asset sportivo”, “cash flow”, “portata globale”, “brand”. Non vi ricorda qualcosa?

Dov’è il racing in tutto questo?

Certamente, la componente racing nella strategia di LM c’è, ma non è quella che pensiamo noi. Perché, se si torna indietro ai cambiamenti che sono stati apportati alla F1 in quanto sport, è molto facile capire che sono stati incentrati solo e soltanto ai fini dell’aumento della visibilità televisiva e degli introiti più che al miglioramento della componente sportiva in sé.

Le Sprint rappresentano l’elemento portante sul quale ci siamo scagliati a più riprese per il loro totale non-sense dal punto di vista sportivo e della competizione. Ed è proprio sulla Sprint che Liberty Media ha fatto il primo grande passo indietro, dopo aver capito di aver calpestato la tradizione della F1. Come non ricordare che, alla sua introduzione nel 2021, il risultato della gara veniva considerato come griglia per la gara vera, annullando di fatto l’importanza delle qualifiche e, oltretutto, assegnando la pole per le statistiche a chi vinceva la corsetta da 100 km.

Al quarto anno, la Sprint è diventata un evento a sé con una sua qualifica, mentre la qualifica per la gara vera è tornata ad essere disputata al sabato pomeriggio come storia e tradizione vogliono. Ovviamente il tutto è stato giustificato con la necessità di fare tentativi; la realtà è che si voleva trasformare il format del weekend in qualcosa di eccessivamente diverso dalla storia e più di qualcuno, evidentemente, ha storto il naso.

Il tutto per una gara corta che porterà sì effetti dal punto di vista televisivo ma, allo stesso tempo, delegittima l’importanza della gara della domenica e spesso porta a risultati fuorvianti in termini di competitività, vista la sola sessione di prove libere e la totale incertezza dal punto di vista degli assetti.

Incertezza che, se per gli appassionati di lunga data è nemica del motorsport, per LM è motivo di vanto poiché più possibilità di vittoria ci sono per tutti e più l’asset diventa appetibile. Il tentativo di controllare ed appianare le prestazioni delle monoposto tramite il Budget Cap ha sì portato ad un avvicinamento dei gap ma, alla fine, sono sempre gli stessi quattro team a vincere le gare. Lo stesso succede con le gomme, con la richiesta a Pirelli di creare pneumatici che portino a dell’incertezza in pista nella decisione delle strategie di gara. Riporto anche qui le dichiarazioni di Mario Isola dopo il GP del Giappone:

“A Suzuka, anche se in una gara non esattamente esaltante dal punto di vista dell’azione in pista, tutti hanno espresso la loro soddisfazione per aver potuto migliorare continuamente i loro tempi fino alla fine di ogni stint. Dobbiamo però contemperare questo aspetto con la volontà, che tutti i protagonisti del nostro sport nutrono, di creare le condizioni per gare incerte e spettacolari: le gomme e il loro comportamento sono una parte importante del quadro e noi, come partner della Formula 1, vogliamo essere proattivi”.

A tal proposito, il regolamento tecnico 2026 sta facendo girare parecchio la testa agli addetti ai lavori e questo tema sarà molto importante da valutare. Un passo troppo lungo nella ricerca dell’appianamento dei valori potrebbe causare un mezzo disastro e la riunione del Bahrain alla luce del sole, per capire se andare avanti o meno con questo regolamento, fa capire che in qualche stanza i grattacapi ci sono. D’altronde, con Audi al suo ingresso appositamente grazie a questo regolamento, la scelta di andare avanti non poteva che essere assolutamente obbligata.

In generale, anche la parte sportiva della F1 è stata piegata in favore del business, con un tentativo di rendere più compiacente al pubblico il format di gara tramite l’introduzione della Sprint, sulla quale LM ha dovuto fare più di un passo indietro. Va anche ricordato il punto addizionale per il giro veloce, introdotto nel 2019 e non più presente da quest’anno, che aveva reso gli ultimi giri di gara un terno al lotto tra chi rientrava ai box appositamente per montare gomme fresche e conquistare il punticino a disposizione, magari togliendolo ad un rivale. Una parentesi fortunatamente chiusa.

Alla fine del giorno del Ringraziamento

Cosa succede alla fine del giorno del Ringraziamento, una volta che il tacchino è stato sacrificato per la soddisfazione (e la pancia piena) dei commensali? Cosa rimane di quel tacchino, infarcito e riempito con tanta cura e smania di assaporarlo in compagnia? Esatto: nulla.

Credere che un fondo d’investimento abbia a cuore le sorti del suo asset una volta che se ne sarà liberato è un po’ come credere agli asini che volano. Le sorti sono a cuore solo dal momento in cui viene acquistato al momento in cui viene venduto. La storia del tacchino è una metafora valevole per tutte le aziende che operano in questi termini e qui calza decisamente a pennello, soprattutto quando si vedono partnership di tutti i tipi arrivare di settimana in settimana, condite da comunicati che sanno parlare solo di business e mai di sport.

Non avremmo pubblicato questa lunga retrospettiva, altamente ed aspramente critica sullo status attuale del Circus, se non ci interessasse nulla delle sorti della F1. Proprio perché all’interno di questo gruppo ci sono persone che seguono questo sport da decenni, conoscono il pre Liberty Media e hanno visto il dopo, questo racconto è doveroso per riassumere una situazione di scollamento tra come la F1 viene venduta al pubblico e quello che la F1 è attualmente. Una situazione nella quale si percepisce la mancanza di passione per questo sport ma solo quella per gli affari.

Il via alla stesura definitiva di questo pezzo, in cantiere da mesi, è arrivato proprio dal rinnovo di Miami al 2041 e dalle reazioni scatenate con, da una parte, l’esaltazione della parte Corporate del Circus (e qui gli attori coinvolti sono tutti gli addetti ai lavori, molti media compresi), dall’altra la fanbase cosciente di quello che sta succedendo alla F1.

Il Circus è stato letteralmente affossato da migliaia di critiche, con percentuali superiori al 90% di commenti negativi; anche da parte di quel pubblico americano che Liberty sta tentando con tutte le forze di conquistare e che, dopo sette anni, segue in TV con una media di soli 1,3 milioni di spettatori: poco più della metà che in Italia (2,4 per il 2025) ma con una popolazione sei volte più ampia.

Da quando LM ha preso per mano le redini della F1 il pubblico USA si è raddoppiato, partendo però da un valore bassissimo nel paese che oggi conta tre GP. Inutile sottolineare nuovamente che tre appuntamenti negli States possono essere supportati ma due in Italia, patria della Ferrari, rappresentano un problema.

È indubbio che, dal punto di vista puramente aziendale, LM abbia adottato con successo tutte le politiche necessarie al raggiungimento del suo obiettivo: trarre profitto dall’acquisizione di questo asset. Succede anche nel calcio, anche se le dinamiche sono leggermente diverse: non basta fare investimenti, bisogna anche saper fare giocare la squadra altrimenti si viene retrocessi. Ma qual è l’obiettivo della F1 in quanto sport? O meglio, ne esiste uno o la verità è che, ormai, le gare sono un pretesto per vendere experience ai clienti, il nuovo nome degli appassionati, durante i weekend?

Il problema si verifica quando si capisce chiaramente che la parte ludica, sportiva dell’asset è diventata un accessorio, ed è quello che è successo con la F1. Più volte si è sentito dire che i vecchi appassionati devono farsi una ragione del progresso, facendo implicitamente capire che questo non è più uno sport per loro. Se, però, LM ha potuto comprare la F1, è anche grazie al pubblico che l’ha sostenuta in ogni modo sin dalla sua nascita nel 1950. E, a proposito di anniversari, mandare in onda sul suo canale Youtube solo gare dal 2008 per celebrare il 75° del Circus è indicativo della considerazione per storia e tradizione.

Presentarsi cambiando lo storico logo, come per dire “Siamo arrivati noi, adesso vi facciamo vedere come si fanno le cose” aveva già messo tutti sull’attenti, ma era ancora presto per preoccuparsi. È poi arrivato Drive To Survive che, unito alla gestione social un po’ modaiola, un po’ da intrattenimento a se stante, ha contribuito a far partire un ringiovanimento del pubblico come mai si era visto, di fatto snobbando la vecchia generazione per crearne una nuova. Una tattica non intrapresa in questi termini nemmeno dalla Formula E, avviata nel 2014, che può vantare sì una fanbase più giovane ma anche 64 anni di storia in meno.

Lato sportivo, abbiamo già ampiamente discusso il tentativo (fallito) di ribaltare il format del weekend con la Sprint, dando un calcio a tradizione e storia. Ora le gare corte sono un supplemento e non fanno più parte integrante del main event. Probabilmente aumenteranno come numero ma, almeno ad ora, l’impatto negativo riguarda “solo” l’essere semplicemente un anticipo della corsa vera, ma su basi più incerte. Resta una magra consolazione.

La de-europeizzazione è chiaramente in corso su una base prettamente economica. Chi paga di più ospita i GP e, ovviamente, chi ha più risorse non è in Europa. Vedremo fino a che punto ci si spingerà sotto questo fronte.

Questa sarà l’ultima analisi sulla gestione di Liberty Media della F1 che pubblicheremo su queste pagine a meno di eventi importanza rilevante. Crediamo di aver fatto il possibile per spiegare come questo sistema sia utile solo e soltanto a chi porta avanti l’asset in termini aziendali e non sportivi. Non ci siamo mai tirati indietro dal sollevare critiche e non si tratta, come più volte ci è stato contestato, di cercare un pretesto per farci vedere; tutto questo è spinto dall’enorme passione che abbiamo sempre avuto per la Formula 1 in quanto SPORT – lo scriviamo in maiuscolo – sin da quando abbiamo iniziato a conoscere le “macchinine che correvano in tondo”. Un concetto probabilmente astratto per molti attori di oggi e molti nuovi fan, catturati attraverso l’extra e non il core, l’elemento vitale della F1: l’azione in pista. Il sondaggio 2025 lo certifica.

In questi anni ci sarebbe piaciuto parlare di più di sport inteso come azione, gare, confronti, piloti, che poi è quello che dovrebbe essere ed è quello che ci ha portati, anni fa, ad aprire questo sito con dei principi chiari: lasciare da parte il gossip, l’extra e concentrarci sulle corse, sui sorpassi, sulle lotte in pista, sui weekend in generale ed il loro svolgimento in termini di tempi, strategie, vittorie di forza o inaspettate. Invece siamo stati qui a raccontare di accordi, food and beverage, paesi da conquistare, “Immersive fan zones and activations” e concerti. Questa è la realtà della F1 2.0, almeno fino a quando la proprietà resterà questa.

Se ci fosse interessato l’essere visibili o diventare influencer, fare sfilate nel Paddock e tutto quello che sembra essere oggi alla moda, avremmo iniziato a produrre contenuti compiacenti esattamente come la stragrande maggioranza dei media. Mentre, di certo, non ci saremmo mai permessi di criticare con toni duri (ma sempre argomentando) le soluzioni progressivamente trovate per “ingrossare il tacchino”.

Abbiamo tralasciato volutamente da questi discorsi l’impossibilità di avere degli accrediti per regole di accettazione che premiano la visibilità, spesso tossica, di cui si è parlato ad inizio analisi. Pertanto non pubblicheremo più, da ora in avanti, notizie riguardanti le nuove partnership che verranno rilasciate da LM, concentrandoci solo sul campionato; nella speranza che altre idee pro spettacolo non ne vadano a minare la credibilità oltre quanto tentato fino ad ora.

Questo è il secondo passo dopo la decisione di ridurre la copertura durante i weekend, pur mantenendo attive analisi di gara e articoli di commento, sempre nell’ambito dell’integrità e del non pubblicare solo ciò che è più conveniente, a costo di risultare impopolari. Abbiamo lavorato sempre così e difficilmente si cambierà.

L’unica speranza è che, in qualche modo, si possa prima o poi tornare a parlare più di Sport, quello vero. Se sarà necessario un cambio in alto, che arrivi il prima possibile. Per il resto, buona festa del Ringraziamento a tutti.

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