L’asset F1 è in crescita dal punto di vista del valore aziendale. Ma non mancano i punti di domanda sulla gestione Liberty
Solo negli ultimi due mesi la F1 ha chiuso collaborazioni con nomi di importanza mondiale quali Santander, Lego, LVMH e Hot Wheels. Si tratta solo degli ultimi tra i tanti marchi che, in questi anni, si sono accordati per partrnership pluriennali con il Circus sotto la guida di Liberty Media, la società che a settembre 2016 ha annunciato di aver trovato l’accordo per acquisire la F1 per un valore stimato di circa 8 miliardi; iniziando attivamente nel 2018 a rimodellarla a sua immagine e somiglianza.
Il mantra è sempre più chiaro: “la F1 non è più uno sport ma una piattaforma di intrattenimento”. L’attività in pista, insomma, è declassata nel complesso da piatto principale del cenone a musica di sottofondo suonata da banda locale. Gli autodromi sono spesso pieni non solo per quello che succede quando si spengono i semafori ma anche per quello che c’è a disposizione quando i motori sono spenti. Attività collaterali, “attivazioni” in gergo, concerti e via dicendo. Il retropaddock è diventato un grande mercato itinerante colmo e ricolmo di attività per i fan che hanno, o meno, attinenza con la pista.
Puntare tutto su un pubblico nuovo, allevato in buona percentuale con una Serie TV che strizza l’occhio alle Soap Opera come Drive To Survive e con un ingente investimento sul digitale – sempre nel linguaggio dei giovani – è servito sicuramente ad avere meno problemi nel direzionare la F1 verso una narrazione più social che televisiva. Forse non è un caso (anzi, dovrebbe essere anche fonte di preoccupazione) che, mentre i numeri sulle maggiori piattaforme sono aumentati in modo spropositato (partendo, va detto, dallo zero dell’era Ecclestone), lato televisioni la F1 stia faticando. Negli USA (unico paese con tre GP) gli ascolti si sono plafonati. Da noi sappiamo che i livelli sono i più bassi di sempre ormai da un paio d’anni. Come se la F1 fosse diventata uno sport da seguire più su Instagram che in diretta.
Tutto è comunque legittimo per un’azienda che fa business. La F1 per Liberty non è uno sport ma un asset e, come tale, l’obiettivo è aumentarne il valore ai fini – non si sa quando – di una futura vendita con lauto margine. Sotto questo punto di vista, le linea intrapresa dà ragione alla corporazione americana. L’elenco delle collaborazioni è infinito e, per chi ci ha fatto caso, il prolungamento dei contratti di molti GP punta già oltre il 2030, per aumentare il valore “attuale” e potersi porre meglio a livello di credibilità, da qui a qualche tempo, con un potenziale acquirente.
Non è dato sapere a quanto ammonti, ad oggi, il valore totale della F1 sotto Liberty Media. È noto però il fastidio per le dichiarazioni di qualche tempo fa del Presidente della FIA Ben Sulayem, il quale aveva commentato le voci di una proposta di acquisto attorno ai 20 miliardi ad inizio 2023 indicando quel valore come troppo alto.
Restano, comunque, delle questioni non ancora risolte definitivamente. Quella legata all’ingresso di Andretti perdura da mesi e ha visto, prima di tutto, una lotta di potere con la FIA. La Federazione ha detto “per noi la candidatura è ok” lasciando alla FOM il compito di dire “no”. Sullo sfondo le presunte minacce ricevute direttamente da Mario Andretti per voce di Greg Maffei in quel di Miami e, in generale, una non accettazione generale da parte del mondo F1 all’arrivo di un undicesimo team per diversi motivi, economici prima di tutto. Questione sulla quale sta indigando anche il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti dopo la richiesta di delucidazioni da parte del Congresso.
L’Antitrust, intanto, sta facendo il suo per quanto riguarda l’acquisizione delle quote di Dorna, con cui Liberty punta a guidare non solo la serie più famosa a quattro ruote ma anche quella a due; tra l’altro è tutto pronto per la nuova “identity” della MotoGP, che verrà svelata a fine campionato. Come successo al termine del 2017 con la F1.
C’è poi il capitolo Domenicali. La scorsa settimana il Daily Mail ha svelato che potrebbero esserci delle ombre per il rinnovo del CEO della F1, in carica da inizio 2021 (e quindi, ad oggi, con una permanenza già superiore per il Circus a Chase Carey) e con ancora, si dice, un anno di contratto previsto. Al momento, almeno pubblicamente, non ci sono state smentite da parte dei diretti interessati e sarà, quindi, da capire se queste ombre sono vere o solo frutto della lunga pausa del Circus tra Singapore e Austin.
La pista, in tutto questo, resta funzionale alle esigenze dei contratti televisivi (come per le Sprint) ma, spesso, sembra fare da contorno invece che essere il centro degli eventi. Anche questo, evidentemente, significa essere parte di un asset.
---
Stai visualizzando da visitatore. Accedi o registrati per navigare su P300.it con alcuni vantaggi
È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.